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da Has the revolt begun against Apple’s iPad app fees?
di  John Naughton
(Guardian)
Come cambiano le cose! Solo pochi mesi fa gli editori di periodici e quotidiani, esasperati dal fatto che il web permettesse ai lettori di accedere ai contenuti liberamente (in più scettici da sempre nei confronti del paywall) decisero che iPad era un biglietto d’ ingresso per avere nuovi abbonati. E da allora in poi decisero che avrebbero pubblicato i loro contenuti non come pagina web ma tramite un’ app per iPad.
Avevano la possibilità di utilizzare un dispositivo innovativo che poteva mostrare i loro prodotti in colori vividi, e che poteva forzare taccagni e scrocconi a pagare per il privilegio di accedervi.
Questo era possibile perché nulla accade su iPad senza passare per iTunes e Apple Store, ed in più, Steve Jobs aveva i dettagli delle carte di credito degli utenti. Così la corsa ai contenuti free che sul web era la situazione normale sarebbe dovuta diventare una cosa del passato. Di conseguenza gli editori hanno cominciato a fare grandi investimenti e sforzi per sviluppare applicazioni per il dispositivo.
L’ Economist ne ha creata una particolarmente sofisticata che sembra superiore alla versione cartacea della testata. Rupert Murdoch ha realizzato un quotidiano solo per iPad che esce a New York. Anche Condè Nast, gruppo fino ad allora sprezzante nei confronti delle elettroniche, ha iniziato a pubblicare alcune delle sue testate a pagamento su iTunes (il New Yorker). Tutti hanno creato prodotti eccellenti.
Ci sono state, ovviamente, anche polemiche: si verificano sempre quando si ha a che fare con Apple. Per prima cosa, Apple riscuote il 30% dei costi di ogni app venduta. E poi c’ è la questione della gestione dei dati degli utenti. Molti editori vorrebbero disperatamente averli a disposizione per il loro lavoro di marketing, ma Apple è ferma su questo punto e non vuole cedere le informazioni ‘sensibili’ sugli abbonati via iPad o iPhone.Tutti questi dati afferma Jobs, apparterebbero alla mela.
Gli editori hanno stretto i denti e si sono consolati pensando che alla fine sarebbero stati comunque pagati per i loro contenuti online. E questo rappresentava per loro un notevole miglioramento rispetto alla precedente condizione di ‘sfruttamento’ sul web.
Poi, a febbraio di quest’anno, la bomba di Apple sulle applicazioni per gli abbonamenti.
Per i periodici su iPad gli editori possono stabilire la durata dell’ abbonamento – settimanale, mensile, trimestrale, annuale- gli utenti scelgono un periodo e cliccano per acquistarlo e l’ addebito finisce sulla carta di credito associata all’ account di iTunes. La bomba consisteva  nell’ annuncio che da quel momento in poi gli editori che vendevano abbonamenti tramite quelle applicazioni avrebbero dovuto versare il 30% di ogni ricavo ad Apple.
“La nostra filosofia è semplice – ha spiegato Jobs -, quando Apple ha un nuovo abbonato tramite app, guadagna un 30% sulla vendita di quella applicazione. Quando l’ editore acquisisce un nuovo utente o questo si abbona ad ulteriori contenuti, l’ editore prende il 100% e Apple nulla”. E invece, va ricordato, la regola numero uno di Jobs è che Apple deve guadagnare sempre.
(…) La compagnia più colpita è stata Amazon, ma non era chiaro se altri editori utilizzatori di iPad avrebbero seguito la linea di Amazon.
La prima indicazione era stata data dal Finacial Times, che aveva lanciato un’ app sul web simile a Amazon Cloud Reader. Poi la settimana scorsa è arrivato il colpo di grazia: il FT  ha deciso di togliere le sue app per iPad e iPhone da iTunes Store.
Il messaggio ad Apple è chiaro ora: ‘’get real or get lostìì, sii chiaro circa gli abbonamenti o perderai.
Così finisce il primo round. Il secondo inizierà a breve. Comprate i biglietti ora, sul web.
(a cura di Claudia Dani)