Twitter, per i media mainstream è ancora solo un megafono
Uno studio del Pew Reasearch Center su 3.600 tweet pubblicati in una settimana sulle 13 principali testate giornalistiche Usa mostra come l’ utilizzo della piattaforma da parte dei media mainstream riveli una scarsa propensione a far diventare il social media parte integrante del processo di creazione delle notizie o parte integrante del rapporto lettore-giornale
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Le redazioni tendono ancora ad utilizzare Twitter  a senso unico, quasi esclusivamente come uno strumento di promozione  e diffusione della propria produzione, sfruttando invece molto poco l’ opportunità principale della piattaforma, la condivisione di contenuti esterni e la possibilità di sviluppare relazioni.
Una ricerca appena realizzata dal Pew Research – racconta Piero Macrì sull’ Osservatorio europeo di giornalismo (Ejo) – ha accertato che il 93% dei tweet fanno riferimento a contenuti pubblicati sul proprio sito. I link esterni sono praticamente inesistenti, così come rari sono i tweet privi di link. La logica con cui si utilizza Twitter è, quindi, associata indissolubilmente a un contenuto distribuito in prima istanza attraverso il proprio giornale online.
Il grafico in alto è molto chiaro.
Lo studio del Pew Research Center’s Project for Excellence in Journalism ha coinvolto 13 fra le più famose testate giornalistiche, esaminando più di 3.600 tweet nel corso di una settimana.
In particolare lo studio, come osserva Tagliaerbe, ha rilevato:
• In media, le testate giornalistiche offrono 41 “twitter feed†differenti. Agli estremi il Washington Post, con 98 feed, e il Daily Caller, con uno solo. Anche il numero di contenuti postati su Twitter è molto diverso: in media si contano 33 tweet al giorno, con punte massime di 100 e minime di 10.
• La maggioranza delle testate giornalistiche posta su Twitter solo contenuti propri, per portare gli utenti al proprio sito web: il 93% dei tweet contiene infatti link che puntano esclusivamente al sito della testata. Solo il 2% dei tweet analizzati contiene notizie raccolte fuori dalla testata, o informazioni di prima mano di qualche lettore. E solo l’1% sono retweet presi da qualche fonte esterna alla testata stessa (vedi immagine qui sopra).
• I 4/5 dei contenuti promossi su Twitter sono presenti sulle vecchie piattaforme. Come dire che per Twitter non vengono creati contenuti nuovi, ma è solo uno strumento per rilanciare contenuti già presenti altrove.
• Dall’esame di 13 “twitter feed†di singoli giornalisti è emerso che il 3% di questi è una richiesta di informazioni, una percentuale simile a quella delle testate. La differenza è che il 6% dei tweet dei giornalisti è risultato essere un retweet di contenuti di terzi, contro l’1% dei retweet delle testate.
La ricerca denuncia quindi una palese inefficienza nel rispondere a commenti di utenti o lettori, osserva Macrì, che riporta a questo proposito un commento di PierLuca Santoro nel suo blog Il Giornalaio:
“Nonostante partecipazione del lettore, socialità della notizia, twitter journalism, ed altro ancora siano entranti nel lessico corrente di chi si occupa, a vario titolo, di informazione, la pratica continua ad essere assolutamente inadeguata rispetto a quanto viene teorizzato a gran voce“.
Sono poche, pochissime le aziende che hanno compreso come effettivamente utilizzare al meglio i media sociali; pochi quelli che lo utilizzano in un modo diverso da una comune piattaforma distributiva dei contenuti. In base ai dati diffusi da Pew Research le organizzazioni editoriali più prolifiche in termini di tweet postati nella settimane risultano essere il Washington Post, 664 tweet la settimana, l’Huffington Post con 415 e il New York Times con 391. Molto più conservativo tra i grandi giornali appare il Wall Street Journal che produce soltanto 104 tweet la settimana.
Al di là di di eventi episodici che hanno fatto intravedere come Twitter potesse essere uno strumento partecipativo in grado di abilitare una forma giornalistica innovativa, si pensi alle rivolte dei paesi arabi, alla guerra in Libia, l’utilizzo mainstream – conclude l’ Ejo – rivela una scarsa propensione a far diventare il social media parte integrante del processo di creazione delle notizie o parte integrante del rapporto lettore-giornale.