Mentre sempre più realtà chiedono a gran voce la “liberazione†delle informazioni del settore pubblico, la vera partita pare giocarsi intorno ai dati privati, i nostri, che vengono venduti a scopi commerciali e di ‘sicurezza’ globale
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(a. f.) – Wikileaks torna a parlare, e lo fa da ‘spia’ che denuncia le Spie. A finire sotto la lente dell’organizzazione di Assange, infatti, è un sistema globale di intercettazioni di massa perpetrato ai nostri danni dai contractor delle intelligence occidentali, ma non solo. Scenari hollywoodiani – si legge nel post della stessa Wikileaks – che da oggi sono realtà , come rivelato dalle centinaia di documenti contenuti nel data-base reso pubblico da WL e provenienti da 160 contractor impegnati nel settore della sorveglianza di massa.
La squadra assemblata da Assange e soci per questa nuova data-inchiesta è piuttosto nutrita. Oltre a Bugged Planet e la ONG Privacy International, anche sei testate giornalistiche di altrettanti Paesi, e questa volta c’è pure l’Italia (le cui due principali testate si erano rifiutate, per bocca dello stesso Assange, di partecipare al cosiddetto Cable Gate) con L’Espresso, insieme a ARD (Germania), il Bureau of Investigative Journalism (Regno Unito), Hindu (India), OWNI (Francia) e il Washington Post (USA).
L’inchiesta, denominata Spy Files, è tuttora in divenire, e ai 287 documenti resi noti il 1 dicembre se ne aggiungeranno altri nei prossimi giorni e nel corso dell’anno in arrivo.
Attraverso una semplice interfaccia è possibile ricercare le informazioni per Paese o per azienda (le aziende italiane sono 9, tra cui RCS): tipologia di prodotti venduti e (laddove disponibili) i rappresentanti chiave dell’azienda, l’indirizzo, il sito Web e la localizzazione attraverso Google Map, oltre ai link a brochure e altro materiale ‘liberati’ Wikileaks e Privacy International. (Per ulteriori informazioni sul data-base si può contattare direttamente il Bureau a info@thebureauinvestigates.com).
In un post sul proprio sito, infine, Privacy International denuncia le stesse trame da Panopticon, delineando un interessante parallelo tra Big Data (i grandi insiemi di dati) e Big Brother (il grande fratello che tutto vede e tutto sa … e tutto rivende, è proprio il caso di dire).
Secondo P.I. l’ambiente iper-mediale in cui siamo immersi contiene ogni cosa che ci riguarda, dal lavoro allo svago, ed è disseminato dalle infinite tracce digitali (i Big Data) che lasciamo muovendoci, pensando, agendo al suo interno.
Uno scenario orwelliano popolato da curiosissimi, avidi attori: provider di servizi Internet, cloud e mobile, aziende di hosting, giganti delle telecomunicazioni e della finanza, unitamente a qualche nuovo organismo nato in seno al mercato digitale; tutti ingurgitano e processano volumi inimmaginabili di dati e informazioni che riguardano ognuno di noi, dando vita ad un complesso cyber-industriale di massa che si alimenta dello sfruttamento commerciale di queste informazioni.
In un mondo globalizzato come il nostro – continua Privacy International – la cyber-sicurezza industriale non conosce confini, e spetta alla società civile, nonché a realtà come la stessa P.I., vigilare in difesa dei diritti e della democrazia.
Se – come sosteneva Alistair Croll – la trasparenza dei dati è una corsa alle armi, la sua guerra è appena iniziata.