Archivi audiovisivi, una vasta memoria sociale e un bene da valorizzare economicamente

 

Gli archivi audiovisivi dei broadcaster pubblici e privati hanno una forte valenza sociale, che deve essere pubblicamente riconosciuta parallelamente al loro valore economico, in modo da poterne sostenere i costi, che appaiono molto onerosi e forse, dati i tempi di crisi, non più sostenibili dalla sola contribuzione pubblica.

Su questi temi si è discusso nel corso di una Giornata su “Servizio pubblico e memoria sociale”  organizzata a Lugano dalla Radio Televisione Svizzera.

 

L’ impegno della FIAT/IFTA, la Federazione Internazionale degli Archivi Televisivi , che raggruppa le divisioni di archiviazione audiovisiva di alcuni dei più grossi broadcaster mondiali e di musei e videoteche.

 

 

di Antonio Rossano

 

Sono rimasto letteralmente a bocca aperta, venerdì scorso, 5 ottobre, quando Jan Muller ha presentato il Netherland Institute for Sound and Vision , il più grosso archivio di immagini audio-video-fotografiche olandese, tra i più grandi e moderni in Europa, di cui è direttore, durante la giornata organizzata a Lugano dalla Radio Televisione Svizzera dal titolo “Servizio pubblico e memoria sociale”.

 

“Heaven, Hell and Purgatory, Encased in Glass” (“Paradiso, Inferno e Purgatorio, racchiusi in vetro”) è il titolo di un articolo del New York Times nel quale si parla della spettacolarità architettonica rappresentata dall’edificio, e non potrei trovare una migliore descrizione . Certo il contenitore (l’edificio) è davvero singolare, un enorme scatolone di cristallo multicolore, un astronave aliena sfuggita dalla tavolozza di un pittore che aveva perso il controllo dei suoi colori… ma il contenuto (centinaia di migliaia di ore di video, milioni di immagini, etc.. in una struttura tecnologicamente spaziale)  lo è forse ancora di più e forse vale la pena farsi un giro sul sito.

 

Muller in realtà era alla sua prima uscita come direttore della FIAT/IFTA , la Federazione Internazionale degli Archivi Televisivi , ente poco conosciuto alle nostre latitudini, che raggruppa le divisioni di archiviazione audiovisiva di alcuni dei più grossi broadcaster mondiali, musei e videoteche. Per questo motivo forse il suo intervento si è limitato ad una descrizione della sua struttura di provenienza, senza entrare a fondo in quello che era il tema centrale della giornata: il ruolo degli archivi televisivi come memoria sociale, come grande deposito di risorse da valorizzare, culturalmente ed economicamente.

 

Sì perché, come ha affermato Raymond Loretan, presidente della SRG SSR, la radio televisione svizzera, gli archivi sono un bene sociale oltre che un valore di mercato. “La memoria collettiva di un paese è un elemento fondamentale della sua identità” – ha affermato Loretan – “e gli archivi televisivi ne sono parte importante. Un paese deve avere quindi una gestione dei propri archivi audiovisivi solida. E la memoria non deve servire ad uniformare gli individui nel ricordo, ma come base identitaria per la costruzione del futuro del paese.

 

Il prof. Giuseppe Richeri, della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università della Svizzera Italiana, ha compiuto un breve escursus sulle origini della memoria, prima (medioevo) come strumento e quindi tecnica di memorizzazione (memotecniche) dei libri, finalizzata all’apprendimento ed alla divulgazione, poi divenuta memoria collettiva con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, divenendo quindi oggetto di studio per sociologi e psicologi.

 

E se la memoria collettiva dal ‘700 in poi è stata veicolata da uno degli enti primari della socializzazione, la scuola, la televisione ha poi integrata questa nella funzione, fino anche a superarla.  Ma, avverte Richeri, con l’avvento dei nuovi media e la conseguente frammentazione del pubblico, il rapporto tra memoria collettiva e televisione è andato letteralmente in crisi. Nasce quindi l’esigenza che la televisione trovi negli archivi televisivi un luogo, se non un mezzo, per fare fronte a questa frammentazione della memoria e quindi dell’identità colletiva.

 

Ma forse la cosa più importante cui il prof. Richeri ha accennato è sfuggita e non è stata ripresa dagli altri relatori: il fatto che esiste oggi, a livello internazionale, un grande dibattito tra chi sostiene che, se gli archivi audiovisivi sono in gran parte dei broadcaster pubblici, anche la loro fruizione debba essere pubblica, e chi invece, a torto o a ragione, li vede come una nuova ed importante fonte di reddito.

 

Ed a questo proposito, Roberto Rossetto, direttore delle teche RAI, ha anche ricordato come l’estensione a 70 anni per il diritto di copyright, approvata recentemente dall’Unione Europea, abbia praticamente deprivato gli archivi di una grande quantità di contenuti, essendo questi, a seguito della estensione, rientrati in possesso degli autori e quindi non più di pubblico dominio.

 

Insomma, se da un lato si afferma e si riconosce il valore sociale e culturale degli archivi audiovisivi, dall’altro la necessità principale sembrerebbe quella di poterli trasformare in un valore di mercato , anche per poterne sostenere i costi di gestione che, dai dati emersi, appaiono effettivamente onerosi e forse, dati i tempi di crisi, non più sostenibili dalla sola contribuzione pubblica.