Un “compromesso” in cui l’autore consente esplicitament il diritto a riprodurla, utilizzarla o modificarla liberamente, a seconda delle tipologie delle licenze — oggi usate da milioni di persone ed organizzazioni, tra cui artisti, giornalisti, istituzioni, programmatori e quant’altri vogliono condividere in maniera ampia e diffusa le proprie opere — soprattutto online.
di Bernardo Parrella
La ricorrenza è stata festeggiata un po’ in tutto il mondo, dal Costarica alla Nuova Zelanda all’Indonesia, mentre la serata italiana si è tenuta domenica 16 dicembre a Torino, curata dal Centro Nexa su Internet & Società e dal gruppo di lavoro Creative Commons Italia. Dove è stato dato l’annuncio ufficiale dell’arrivo di Federico Morando a Project Lead di CC-Italia (finora svolto da Juan Carlos De Martin). Ce ne offre un resoconto (con tanto di ottime foto!), un pezzo su Apogeonline firmato da Simone Aliprandi, animatore del sito-progetto Copyleft-Italia e legale specializzato sul tema. Il quale ha curato (nel 2010) un manuale operativo che guida passo a passo all’uso delle licenze Creative Commons, e quest’anno anche un’utile ricerca sul “copyright nell’era digitale” soprattutto per l’ambito italiano — appena rivisitata e mirata a un’analisi della proprietà intellettuale che tenga conto debitamente della visuale delle “persone comuni” e non solo degli opertori del settore o degli esperti.
A ribadire la spinta del movimento globale per la “cultura libera”, va poi segnalata un’idea decisamente avanzata e solo apparentemente provocatoria: il gruppo Students for Free Culture propone di eliminare o sganciare le licenze Creative Commons più restrittive (NC, per usi non commerciali, e ND, per impedisce le opere derivate) perchè queste “non promuovono né rafforzano il digital commons”. Come dettagliato in un apposito intervento online, il focus qui è sulla spinta a condividere i contenuti culturali in senso lato, oltre che a riusare pubblicamente dati di ogni tipo, stimolando così l’interoperabilità che fa da volano alla creazione di un “open commons” davvero tale.
Se è vero che l’innovazione delle CC non e’ stata tanto quella di fissare una nuova realtà giuridica, quanto piuttosto quella di standardizzare una varietà di regimi giuridici composti (anche mediante un’efficace iconografia e un ficcante messaggio sociale), il successo sul campo in questi 10 anni rivela un fatto semplice ma cruciale: la centralità del coinvolgimento di base per garantire una sempre maggiore diffusione dell’informazione partecipata e della cultura condivisa.