Dati sulla pubblicità disastrosi, ma gli editori Usa sono ‘’ottimisti’’ sul futuro della carta
Nonostante i dati – disastrosi per i quotidiani Usa – sull’ andamento della pubblicità , gli editori restano fiduciosi sul futuro del settore, convinti che la stampa continuerà a giocare un ruolo importante nelle loro attività editoriali.
Lo rivela una ricerca condotta dal ‘’ Donald W. Reynolds Journalism Institute’’ e resa nota qualche giorno fa, secondo cui  – racconta Newsandtech - più del 60% degli editori americani sono ‘’molto o abbastanza ottimisti’’, il 31% sono incerti e solo il 4% sono nettamente pessimistici.
Sei editori su 10 sostengono di non immaginare la possibilità di non pubblicare un giorno una edizione su carta; e, fra di essi, gli editori di piccole testate sono quelli meno propensi a immaginare la scomparsa del’ edicazione a stampa.
Inoltre, il 77% degli editori interpellati (458 interviste a un campione che rappresenta circa un terzo dei quotidiani negli Stati Uniti) non immaginano neanche un giorno in cui potrebbero essere costretti a uscire solo qalche giorno alla settimana.
Di fronte a questo scenario ottimistico si staglia però il quadro drammatico dei dati sui ricavi pubblicitari: quelli su carta nella prima metà di quest’ anno sono calati 25 volte più rapidamente rispetto alla crescita di quelli digitali, confermando – spiega Alan D. Mutter sul suo Reflections of a Newsosaur  - la debolezza della risposta dei giornali ai cambiamenti del paesaggio mediatico. Che, tra l’ altro, nel settore della pubblicità digitale sono calati da uno share del 17% del 2005 a poco meno del 10% del 2011.
Mutter cita i dati diffusi qualche giorno fa dalla Newspapers Association of America, secondo cui nei primi sei mesi del 2012 le vendite di inserzioni sui giornali su carta negli Usa sono scese di 796,8 milioni di  dollari, l’ 8,0%, rispetto allo stesso periodo dell’ anno precedente. Mentre nello stesso periodo, osserva la NAA, le vendite digitali sono cresciute di 31,4 milioni di dollari, cioè dell’ 1,9%, rispetto allo stesso periodo nel 2011.
Per cui – sottolinea Newsosaur – , il calo nel campo della carta è stato 25 volte superiore alla crescita di quelli online, nonostante le strategie di digital first  – qualunque cosa questo significhi – articolata da quasi ogni editore e testata.
Ma ecco, per chi volesse approfondire, le altre valutazioni di Mutter:
Nel primo trimestre 2012 le vendite complessive di pubblicità su tutti i media digitali negli Stati Uniti è salito del 15%, raggiungendo la cifra record di 8,4 miliardi di dollari, secondo l’ Internet Advertising Bureau.
Nello stesso periodo, tuttavia, la pubblicità online sui quotidiani è salita solo dell’ 1%, a 816 milioni dollari, conquistando una quota di appena il 9,7% del mercato.
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Come abbiamo visto tempo fa, i quotidiani controllavano il 17% del mercato pubblicitario digitale nel 2003 e una rispettabile quota del 15 nel 2007.
La riduzione della quota può essere in parte attribuito alla crescita vertiginosa negli ultimi dieci anni del numero di player nel mercato della pubblicità digitale. Ma una parte altrettanto importante del problema è che i giornali, con poca fantasia, hanno cercato di esportare il loro modello economico, che aveva fatto la fortuna della stampa, al mondo digitale.
Fin dal debutto del web, gli editori per la maggior parte hanno seguito due linee,  basate sul modello di pubblicità che li aveva assistito così bene per tante generazioni: prezzi pesanti per i ‘’piccoli annunci’’ (classified ads) web e tariffe degli spazi in stile carta, con banner calcolati in migliaia di click.
Se la pubblicità su carta ha tenuto in piedi i quotidiani per almeno un decennio dopo la nascita di internet – diventato di massa alla metà degli anni Novanta -, le vendite di inserzioni sono cominciate a scendere in maniera consistente, dopo il 2005, quando avevano toccato un massimo storico di 49,4 miliardi dollari. Nel 2011, stampa e digitale ammontano a un po’ meno di 24 miliardi. E il declino è continuato durante tutto questo anno.
A causa del crollo che si è verificato nel corso degli ultimi sette anni in ogni categoria di inserzioni per la stampa (vedere qui sotto il confronto fra il primo semestre 2005 e oggi), gli editori vanno perdendo sempre più clienti per gli anacronistici prodotti digitali che hanno da offrire.
Questo fenomeno è illustrato in maniera netta dal crollo impressionante dei piccoli annunci, che si è ridotto dell’ 80% circa dal 2005. Parte di questo declino è, naturalmente, un risultato della Grande Recessione da cui ancora non siamo usciti completamente. Ma, come  visto in precedenza, ci sono stati anche notevoli cambiamenti strutturali nel modo in cui i consumatori consumano e gli uomini del marketing fanno marketing. E non ci sono motivi sufficienti per credere che la pubblicità aziendale torni al suo antico splendore quando l’ economia riprenderà a funzionare a pieno regime.
Rimane la pubblicità locale – l’ ultimo flusso di reddito residuo significativo per i giornali – per una varietà di ragioni analizzate  qui, qui, qui e qui.
Mentre  nei giornali il settore andava avvizzendo, i media nativi digitali si sono concentrati sullo sviluppo non solo di pubblico, ma anche di enormi database di informazioni su quel pubblico. Ora stanno vendendo l’accesso ai dati relativi quell’ audience  in modi economicamente efficaci  e altamente mirati. Come esempio del fenomeno, vedere questo
Poiché alle aziende editoriali di quotidiani è mancata la creatività e/o la necessità inderogabile di sviluppare formati digitali competitivi nei quasi due decenni di vita di Internet, gli editori oggi stanno cercando di far leva sul nuovo modello del Digital First nel tentativo di gestire il declino apparentemente inarrestabile della loro esistenza.
Affrontare uno di questi due compiti da solo sarebbe scoraggiante. Ma la sfida a fare entrambe le cose allo stesso tempo, è più che epico.
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Lo squilibrio sempre più acuto è segnalato anche da  Rick Edmonds con un ampio articolo su Poynter dal titolo molto efficace: ‘’Newspapers get $1 in new digital ad revenue for every $25 in print ad revenue lost’’. Un dollaro guadagnato nell’ online contro 25 dollari persi su carta (vedi su Lsdi il dibattito che si era sviluppato nei mesi scorsi su questi dati).