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Donne e media, un cammino lungo un anno

Una breve retrospettiva e analisi per un anno di lavoro sul progetto “Donne e Media” di Associazione Pulitzer, iniziato a Roma con LSDI e FNSI lo scorso novembre. Un percorso sui generi che è transitato tra i molti problemi dell’ informazione nel nostro paese e che proseguirà nel prossimo autunno.


Portare il dibattito tra la gente è stato il problema principale, ma non il solo, in un paese, l’ Italia che è una sterminata pianura culturale frazionata in migliaia di orticelli, ognuno circondato da un invalicabile steccato

 

 

di Antonio Rossano

 

 

Il 25 novembre 2011 a Roma, presso l’Università “La Sapienza” si è svolto il primo incontro “Donne e Media” di Associazione Pulitzer. In realtà il progetto, l’idea radice, si era sviluppata qualche mese prima, a partire dal mese di giugno, tra un gruppo di iscritti all’Associazione.

 

Non è che mancassero in Italia associazioni, enti, gruppi o movimenti che avessero al centro delle proprie attività queste tematiche. E non era proprio necessario che ce ne fosse un altro.

 

La vera questione centrale era però che, la maggior parte di queste discussioni era trainata da  movimenti che avevano nelle proprie viscere la questione. Femminismo, post-femminismo, difesa della donna e le altre importanti parti di questa grande e complessa questione. Cose che però non appartenevano ad Associazione Pulitzer, nata per lo sviluppo dell’informazione dal basso, della progettualità non-profit nel mondo del giornalismo, della difesa e del sostegno alla libertà di espressione e manifestazione del pensiero.

 

Avvertivamo il bisogno di porre al centro un’altra questione, che era per noi altrettanto viscerale, l’avevamo nel DNA: quella di una corretta informazione, di un giornalismo rispettoso della sua funzione sociale e di “paladino” dell’informazione. Abbiamo tentato di farlo anche bene ( l’associazione è popolata da giornalisti e cittadini “attivi”) forse, con angolazione diversa e atipica, con partecipazione di donne e uomini, a prescindere dal “genere”, nel loro particolare ruolo di “esseri umani pensanti”.

 

Ed è stato proprio per questo che il primo incontro è stato organizzato con LSDI e FNSI, volevamo fosse chiaro il senso e l’intenzione.

 

Obiettivo primario di questo progetto riuscire a portare il dibattito fuori dalla rete, tra la gente.
La sensazione era che molti movimenti fossero “prigionieri” nel virtuale, incapaci di trasformare l’energia digitale della partecipazione in un qualcosa di più coinvolgente che traesse la propria genuinità da un gesto molto semplice, ma anche ormai desueto: alzarsi dalla propria postazione informatica e raggiungere una meta esterna, dove altre persone si erano recate con lo stesso obiettivo, ovvero quello di dare una dimensione umana e reale alle tante “faccine” e discussioni che quotidianamente avevano luogo tra le maglie della rete. Che non è poco. Le ultime vicende nostrane, come ad esempio quella di Brindisi, ci portano a considerare che a volte, come un flusso memetico autonomo, le informazioni in rete ed in particolar modo sui Social  tendano a seguire percorsi propri, autonomi e indipendenti dalla realtà e dall’evento da cui traggono origine.

 

E portare la discussione tra la gente non è stato semplice, a Roma, a Reggio Calabria, a Perugia, a Torino ed a Napoli. Anzi, forse l’ostacolo più grande. Per vari motivi. Il primo, che abbiamo riscontrato quasi subito, è che l’Italia è una sterminata pianura culturale ma frazionata in migliaia di orticelli, ognuno circondato da un invalicabile steccato. Non è sufficiente avere una buona idea, un valore comune. Come quello che può essere sostenere una corretta informazione e rappresentazione del femminile. Se non sei della “parrocchia” politica giusta quel gruppo o quell’assessore alle pari opportunità, non si schioda. Se non appartieni o non sei conosciuto in uno di quei movimenti che vanno per la maggiore, ti snobbano. Poi ci sono gli “influencers”, ovvero i signori della rete. Quelli che agitano e governano le emozioni digitali e che quando lanciano un tweet o postano uno stato, questi acquisisce valore di verità assoluta. Ed anche questo è un problema che andrà trattato, come Associazione.

 

Siamo andati in giro per l’Italia con donne competenti, quelle presenti sul tema, che avevano realmente qualcosa da dire: Milly Buonanno, docente alla Sapienza e direttrice in quella università di un osservatorio sui generi conosciuto a livello internazionale, ci ha raccontato le differenze tra il femminismo degli anni ’70 e le rappresentazioni mediali del femminile contemporaneo. Antonella Beccaria, blogger, scrittrice e giornalista, ci ha parlato a Roma del modo con cui i giornalisti descrivevano le violenze sulle donne, quando ancora la questione “femminicidio” non era divenuta oggetto di dibattito pubblico. Loredana Lipperini, la conduttrice di Farnenight,  che ha scelto di non conformarsi ad alcun movimento od etichetta e che ogni giorno sul suo blog racconta storie di donne. Giovanna Cosenza, blogger, docente di semiotica all’Università di Bologna, le cui analisi sui significati dei segni, le immagini ed il linguaggio nella rappresentazione del femminile sono un nostro punto di riferimento imprescindibile. Cristina Sivieri Tagliabue, giornalista e imprenditrice, fondatrice di Women Mag, dalla ironia sottile e concreta. Francesca Dovetto, linguista, docente all’università “Federico II” di Napoli, ci ha insegnato a dare peso alle parole ed anche ad avere fiducia nella loro possibilità di cambiare. Jane Martinson, women’s editor del Guardian, ci ha mostrato quanto gli inglesi sono più avanti di noi in tante cose ma anche, quanta strada devono ancora fare. Paola Pallavicini, docente di storia dei media all’Università di Torino, ha spiegato la relazione profonda tra leggi e rappresentazioni, nella storia italiana. Enza Panebianco, fondatrice e responsabile di Femminismo a Sud, ci ha raccontato come linguaggio, rappresentazione, fascismo, razzismo non siano che facce della stessa medaglia, della stessa mentalità. Mariacristina Spinosa, assessora alle pari opportunità del comune di Torino, consapevole che anche nelle istituzioni la mentalità sessista è rilanciata dai media. Laura Preite, Patrizia Corgnati, ed altre ancora, ognuna con il suo contributo prezioso e la sua esperienza unica.

 

Ognuna di queste donne ha dato un parere competente, ci ha fatto crescere e resi più consapevoli. Ma quello che, nella maggior parte degli incontri, è stato l’elemento più importante, è stato l’incontro ed il dibattito con il pubblico. Donne e uomini sono intervenuti, portando la propria esperienza, testimonianza, difficoltà. Le relatrici divenivano non più referenze di se stesse, ma interlocutrici alla “pari”, in gioco come il pubblico, come il pubblico pronte ad ascoltare. E ad imparare.

 

Ma Donne e Media non è stato solo questo. È stato un piccolo osservatorio dei fenomeni femminili che ha rilanciato in rete argomenti e tematiche attraverso la sua pagina Facebook, che oggi conta circa 1000 iscritti e, per esempio, lanciato in rete  il video scandaloso della “Donna del Festival” con oltre 95mila visualizzazioni e dal quale è nata una petizione alla Direttrice Generale della RAI, Lorenza Lei, che ha raccolto in pochi giorni quasi 4000 firme.

 

Il progetto “Donne e Media” di Associazione Pulitzer adesso si ferma per riprendere fiato. Per mettere un punto fermo su queste esperienze e riorganizzare le idee. Il gruppo delle Pari Opportunità, coordinato da Natascha Fioretti, con Monica Capo, Sara Sbaffi ed il sostegno di Eleonora Pantò, Vittorio Pasteris, Angela Farina ed altri associati, ha intenzione di proseguire ed ampliare questo discorso, con nuove ed interessanti iniziative.

 

 

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