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Etica, nuovi codici per il giornalismo digitale

Si possono impunemente ‘’rubare’’ tweet o post dagli account di persone inconsapevoli o citare scritti di minorenni senza chiedere il permesso? Negli Stati Uniti si diffonde la convinzione che la crescita di Internet abbia creato la necessità di definire un codice di etica e di rispetto della privacy digitali.

 

Un mese fa Poynter aveva dedicato un simposio a questo tema e la settimana scorsa se ne è parlato nuovamente a Chicago, all’ International Digital Ethics Symposium. Qui è emerso con chiarezza come blogger e giornalisti  violino costantemente i codici etici del giornalismo e come sia quindi necessario aggiornare le regole per adattarle all’ era digitale.

 

Un resoconto di una giornalista di Readwrite   

 

 

 

Toward A Digital Code Of Ethics For Journalists & Researchers

di Fruzsina Eördögh

(Readwrite.com)

 

“Rubare” tweet e post da Facebook

 

Docenti universitari e ricercatori si sono concentrati sulle implicazioni dell’utilizzo di dati provenienti dagli account di persone inconsapevoli  su YouTube, Facebook, Tumblr e Twitter. Come giornalista specializzata in tecnologia e cultura digitale, ho usato spesso messaggi  sui social media per i miei articoli senza il permesso dell’ autore. Raramente ho cercato di contattarli per segnalare che li avevo citati e a volte ho ricevuto lamentele da parte di persone che erano state citate senza il loro permesso, incluse alcune che utilizzavano uno pseudonimo.  Sono stata anche bloccata da una giornalista che ammiro per aver (presumibilmente) usato i suoi tweet, danneggiandone l’ immagine.

 

In mia difesa, posso dire che non sono la sola a usare messaggi di persone sui social media  senza il loro permesso. Lo fanno tutti. Anche testate tradizionali come Fox News e CNN, che regolarmente citano tweet in reazione a vicende di cronaca e nessuno  reagisce. A volte questi messaggi sui social media vengono raccolti per celebrare  la abilità nelle previsioni di qualcuno, altre volte per denunciare la cultura razzista.

 

La stessa cosa vale anche per i ricercatori. Se fra il luglio 2010 e l’ ottobre 2011 hai postato un tweet, allora sei entrato a far parte di una banca dati usata dai ricercatori, uno dei 244 archivi analoghi esistenti.

 

Durante il culmine della vicenda ‘’Violentacrez’’, il troll che ha imperversato per anni online provocando gli utenti e spingendoli a discussioni infinite, un sito web, The Awl sosteneva che qualsiasi cosa venga pubblicato su Internet sia pubblico e quindi a disposizione di giornalisti (e ricercatori). Anche i messaggi fra amici.  Annette Markham, una docente della Umea University in Svezia, ha sostenuto una tesi analoga, definendo ‘’presunta’’ la mancanza di privacy su Twitter: questo perché i soggetti in questo modo renderebbero le loro informazioni e i loro messaggi pubblici e quindi non avrebbero alcun diritto alla privacy.
Ma questa convinzione è falsa. Gli utenti hanno il diritto di sapere cosa sta succedendo con la loro comunicazione, e non hanno il dovere di partecipare a sondaggi, ricerche, o a entrare negli articoli dei media, se non vogliono. La comunicazione tra amici è in realtà solo comunicazione tra amici. Raccogliere quei dati potrebbe essere una violazione del copyright.

 

 

E i bambini?

 

Valerie Fazel dell’ Arizona State University ha sollevato la questione delle implicazioni etiche dell’ uso di testi di minorenni per compiere delle ricerche.

 

I giornalisti devono capire che anche nella attuale cultura del blogging, in cui la gente viene pagata per essere professionalmente irrispettosa, i bambini devono avere la stessa protezione che hanno nei media tradizionali: parlare con i genitori e cercare di avere il permesso di citarli, specialmente se uno ne deve parlare in un contesto negativo.

 

La linea viene superata molto più spesso di quanto si pensi: Buzzfeed lo ha fatto recentemente durante la notte delle elezioni raccogliendo un campione di tweet che usavano epiteti razzisti o che parlavano di ‘’ammazzare’’ il presidente (altri esempi qui). Questa violazione dell’ etica sembra accidentale, dovuta a un copia e incolla frutto del protocollo che si usa in questi. Nessuno si preoccupò di verificare l’età degli autori dei messaggi: ma perché, chi ha tempo per farlo?

 

Guardando con attenzione però si poteva capire che almeno un terzo di quegli utenti di Twitter erano chiaramente minorenni. Non solo sembravano scritti nel classico stile giovanile, ma alcuni facevano riferimento esplicito ai college. La vicenda ha costretto alcuni di loro a chiudere i propri account, mentre sono stati pochi quelli che hanno denunciato l’ intrusione. E alcuni hanno peggiorato la situazione rivelando di essere diventati famosi su internet per il loro razzismo. Quattro di loro hanno chiesto a Buzzfeed di rimuovere i loro tweet, cosa che poi è stata fatta.
E ‘ improbabile che i genitori di questi ragazzi denunceranno la testata. Probabilmente non leggono Buzzfeed e i loro ragazzi non racconteranno l’ incidente. Ma i genitori avrebbero tutto il diritto di essere furiosi con Buzzfeed (oltre che con i loro stessi figli, ovviamente).

Qual è il prossimo passo sul piano dell’ etica giornalistica?

 

Data la diffusione di queste pratiche, è ancora possibile per i giornalisti digitali mantenere accettabili standard etici? Prima di pontificare, certo, bisogna valutare e decidere se linkare i tweet scritti dai minori senza chiedere il loro permesso sia sbagliato o meno. Devono essere i giornalisti a fermarsi, se si ritiene che pubblicare tweet e citare i testi dei bambini senza permesso non sia lecito. Ma non si possono fare le regole a mano a mano che si va avanti, senza pensare a lungo termine.

 

Abbiamo bisogno quindi di avere una visione comune di ciò che è o non è corretto. E per questo è molto importante il fatto che Poynter abbia cominciato a lavorare su questo tema tenendo a ottobre un primo simposio sull’ argomento.

 

E’ solo l’ inizio di un processo lungo e difficile. Ma è bene che sia così. In fondo stiamo parlando del nostro futuro digitale, dopo tutto.

 

 

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