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Freelance e precari in Italia: una fotografia delle cause e degli effetti

Alessia Cerantola descrive in maniera attenta il mercato del lavoro del giornalismo italiano con sftruttatori e sfruttati.

 

Un giornalismo precario rende precaria la democrazia

 

Prima di impiccarsi a un albero del giardino della propria casa in Puglia, Pierpaolo Faggiano ha rivelato in una lettera le ragioni del suo gesto estremo: tra queste, le sue precarie condizioni lavorative. Per decenni il giornalista 41enne aveva regolarmente lavorato come collaboratore per un giornale locale, guadagnando a malapena dai 4 ai 20 euro ad articolo. In seguito al suicidio di Faggiano molti giornalisti hanno cominciato a criticare l’ingiusto ambiente dei media italiani, che protegge solo un piccolo numero di lavoratori regolari, costringendo tutti gli altri a sopravvivere di misere entrate.

 

L’incidente ha scatenato un’ondata di proteste tra i giornalisti e i blogger del paese, che hanno iniziato a chiedere, attraverso piattaforme d’informazione online e dimostrazioni in piazza, condizioni lavorative più dignitose. Nei loro discorsi hanno puntato il dito contro il crescente numero di testate che usano freelancer sottopagati come regolari collaboratori. Le proteste hanno centrato l’attenzione sui punti critici di un sistema dell’informazione di vecchio stile e gerontocratico, e la pratica molto diffusa del nepotismo nel processo di assunzione dei giornalisti, che minaccia il giornalismo di qualità. I dimostranti hanno denunciato il fatto che i media italiani non favoriscono un mercato del lavoro libero e competitivo.

 

Molto lavoro sottopagato

 

Era già evidente da tempo prima del suicidio di Faggiano che la situazione fosse disperata. “Negli ultimi due o tre anni c’è più consapevolezza delle condizioni di lavoro illegali che opprimono i giornalisti”, ha detto Maria Raffaella Cosentino, cronista freelance di 31 anni. Cosentino si trovava nella città di Rosarno, in Calabria, e a Castel Volturno, in Campania, durante i violenti scontri tra i lavoratori a giornata immigrati e i residenti nel 2010. Si è resa conto in quel momento che molti giornalisti delle tivù locali e nazionali e della carta stampata che si stavano occupando dell’evento erano pagati meno dei 50 euro al giorno che gli stessi raccoglitori di frutta e verdure chiedevano ai loro padroni. Cosentino ha deciso di scrivere un e-book sul tema, “Quattro per cinque”, e di lanciare una campagna “Non lavoro per meno di cinquanta euro”, invitando i giornalisti a non accettare lavori con compensi di meno di 50 euro ad articolo.

 

Secondo un’indagine nazionale fatta nel 2010 dall’Ordine dei giornalisti la pratica di sottopagare i giornalisti viene portata avanti senza distinzione da giornali nazionali, riviste e stazioni televisive. Lo studio ha rivelato che molti giornali di carta e online come Il Messaggero, la Repubblica, Il Tempo o l’agenzia di notizie ANSA, pagano dai 2 a una media di 20 euro ad articolo, qualunque sia la lunghezza. In alcuni casi, i cronisti che hanno scritto per il quotidiano il Manifesto, hanno detto di non essere mai stati pagati.

 

La situazione non è diversa per le stazioni televisive, dove alcuni giornalisti locali vengono pagati anche 12 euro per riprendere, montare, scrivere e registrare l’audio per un servizio. Le condizioni non sono migliori nemmeno per l’emittente televisiva nazionale RAI. “Ho fatto due servizi di 15~20 minuti l’uno per la RAI”, ha raccontato Roberta Barcella, una videogiornalista freelance di 40 anni. “Ho lavorato per circa un mese per produrre ciascun video, e ho ricevuto otto mesi dopo un compenso netto di 900 euro, inclusi i costi del mio cameraman”.

 

Il settore dell’informazione e della comunicazione sta soffrendo ovunque. Ma mentre le testate di altri paesi del mondo stanno sperimentando strategie e investendo sull’innovazione, il giornalismo italiano sta lottando a fatica con una propria crisi d’identità. “[Il giornalismo italiano] è troppo spesso ingessato, clientelare, rivolto al passato, assurdamente autoreferenziale. Non si limita a raccontare i problemi di questo Paese, ne fa parte in pieno”, ha dichiarato in un’intervista Roberto Bonzio, ex giornalista di Reuters e fondatore di Italiani di Frontiera.

 

In base alle regole ufficiali, un aspirante giornalista in Italia ha due possibilità per ottenere il tesserino professionale dall’Ordine dei giornalisti, l’organizzazione approvata dallo stato che regola il giornalismo italiano. La prima opzione è quella di frequentare un tirocinio di 18 mesi in una redazione, o di iscriversi a una delle 16 scuole riconosciute dall’Ordine, passando un esame nazionale finale che dà la qualifica di giornalista professionista, a tempo pieno.

 

La seconda opzione per diventare un giornalista è di diventare pubblicisti, quindi part-time. In questo caso, i candidati devono provare di aver svolto per due anni attività giornalistica presentando all’Ordine regionale di appartenenza circa 60~80 articoli pubblicati e congruamente retribuiti.
Ma avere la licenza per scrivere non garantisce necessariamente un lavoro giornalistico.

 

Uno status ambiguo

 

Oltre a questa distinzione, dice Roberto Bonzio, i giornalisti italiani possono essere divisi in due categorie: l’élite che beneficia di un contratto giornalistico regolare, e tutto il resto. “[Questa minoranza privilegiata] è come un fortino d’altri tempi. Fuori, a tirare la carretta, collaboratori sottopagati, molti giornalisti a tempo pieno senza tutele, costretti spesso a subire ricatti o capricci dei propri capiredattori”.

 

La condizione di questo gruppo di esclusi è così poco chiara, che è difficile persino definire la loro situazione lavorativa. Molti si definiscono freelancer o precari.

 

Ma la parola “freelance”, usata comunemente per riferirsi a lavoratori autonomi che scrivono per vari clienti per periodi di tempo ben definiti, in Italia è usato in modo ambiguo per riferirsi a una confusa vasta gamma di professionisti dell’informazione, dai lavoratori a pezzo ai collaboratori fissi, ma senza contratto. Precario, dall’altro lato, è un termine usato per riferirsi a giornalisti che lavorano con contratti temporanei e a tempo determinato, e che vivono in situazioni finanziarie precarie a causa di questo tipo di condizione.

 

In un paese dove il reddito medio annuale nel 2009 ammontava a 16mila euro, secondo le stime dell’OCSE, un sondaggio del giornale online LSDI ha rivelato che oltre il 55 percento dei freelancer italiani e circa il 50 percento dei giornalisti precari guadagnano meno di 5mila euro l’anno. Solo circa il 19 percento dei giornalisti sono dipendenti a tempo pieno. I loro contratti variano dai 30 ai 50mila euro l’anno.

 

Il sondaggio ha rivelato inoltre che il numero di giornalisti disoccupati è salito circa a 5mila persone alla fine del 2010, una crescita che rappresenta il 44 percento rispetto al 2002. Quando la questione di freelancer e precari è stata portata in Parlamento nel 2011, i ministri italiani hanno condannato lo sfruttamento dei giornalisti e hanno fatto appello agli editori per pagamenti più decorosi. Hanno anche espresso la loro preoccupazione per il fatto che i giornalisti sottopagati sono più facilmente soggetti alle minacce.

 

La commissione cultura del Parlamento il 26 ottobre 2011 ha approvato un decreto affermando il diritto dei giornalisti di ricevere un “equo compenso”, ma l’atto è solo allo stadio iniziale del processo legislativo. Quando e se verrà approvato, alla fine dovrebbe fornire una cornice legale contro lo sfruttamento dei giornalisti.

 

“Una volta i giovani giornalisti facevano la loro gavetta fino a raggiungere la posizione di lavoratori a tempo pieno”, ha commentato Alessandra Comazzi, rappresentante del sindacato giornalistico FNSI. “Ma adesso i freelancer italiani sono fermi in un limbo eterno di praticanti sfruttati”.

 

 

Un mercato del lavoro stagnante e gerontocratico

 

I giornalisti che fanno domanda di una posizione a tempo pieno spesso incontrano un sistema di reclutamento che si basa ampliamente sul nepotismo. Se si chiede come siano riusciti a ottenere un contratto regolare a tempo pieno, molti giornalisti si riferiscono alla fortuna, altri semplicemente non rispondono.

 

Le offerte di lavoro nel settore del giornalismo sono pubblicizzate di rado e il processo di assunzione dipende perlopiù dalle proprie conoscenze. Questo meccanismo influisce pesantemente sulla qualità dei giornalisti delle redazioni, che non sono assunti necessariamente in base al proprio merito.

 

“La ragione per cui il giornalismo italiano, in particolare quello televisivo, è di qualità molto bassa è dovuto al fatto che la selezione degli individui che sono ammessi nel sistema avviene dopo l’esclusione delle persone migliori, e di chiunque desideri occuparsi di giornalismo come servizio pubblico”, ha detto Wolfgang Achtner, un giornalista televisivo che vive a Roma lavorando come corrispondente per ABC news, CNN e Press TV e con una lunga esperienza sulla televisione italiana.

 

Per di più, il mercato dell’informazione, già piccolo, è parzialmente controllato dall’Ordine dei giornalisti. Spesso, uno dei primi requisiti per mandare la domanda di lavoro è di essere giornalisti autorizzati dall’Ordine. La struttura di molte redazioni rispecchia quella dell’Ordine perché è fatta da giornalisti che ne fanno parte.

 

Anche se l’Ordine dei giornalisti sta lottando per un accordo con il sindacato dei FNSI e la Federazione degli editori e giornalisti (FIEG) per aumentare i compensi dei freelancer e precari, i giornalisti con o senza tesserino, considerano ormai l’Ordine come uno dei principali responsabili di un mercato lavorativo stagnante e gerontocratico.

 

“L’Ordine è un relitto fascista il cui scopo primario è di perpetrare sé stesso. Libertà della stampa, indipendenza o qualità dell’informazione non sono i suoi obiettivi”, ha detto Nicole Martinelli, redattrice statunitense di IJNET che ha lavorato come giornalista freelance iscritta all’Ordine italiano per circa dieci anni. “Non puoi essere un giornalista professionista di alcuno standard senza appartenere all’Ordine. È il collo di bottiglia della professione, che costringe molti talenti a rimanere fuori”.

 

La risposta dell’Ordine alle proteste e richieste dei freelancer è arrivata l’8 settembre 2011 con il lancio di un nuovo portale internet dedicato alla condivisione di notizie ed esperienze dai giornalisti precari. Il sito serve da piattaforma per discutere il disegno di legge della cosiddetta Carta di Firenze. Il documento è stato concepito come uno strumento per chiedere migliori paghe per freelancer e precari. In teoria, permette all’Ordine di prendere misure disciplinari contro lo sfruttamento dei giornalisti.

 

Durante una dimostrazione che si è tenuta a Firenze il 7 e 8 ottobre, in cui alcune centinaia di giornalisti si sono riunite per chiedere migliori condizioni lavorative, è stato firmato un accordo tra l’Ordine e i freelancer e precari. “[Il portale e la dimostrazione] non sono abbastanza e arrivano troppo tardi, assolutamente. Ma meglio tardi che mai”, ha commentato un gruppo giornalistico italiano su LinkedIn.

 

Mentre in molti hanno espresso i loro dubbi sull’Ordine dei giornalisti, nelle piattaforme di social media online, i partecipanti della dimostrazione a Firenze hanno affermato il loro impegno a migliorare la situazione dei giornalisti italiani sottopagati. “Il nostro obiettivo non è di intaccare le condizioni lavorative dei colleghi che hanno un contratto a tempo pieno, ma chiediamo un adeguato compenso per gli altri”, ha detto Nicola Chiarini dell’associazione dei freelancer del Veneto. “Un giornalismo precario è una democrazia precaria”.

 

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