Il sito journalism.co.uk ha raccolto una serie di osservazioni di giornalisti britannici sentiti nell’ ambito dell’ inchiesta, di cui ci sembra interessante proporre la traduzione.
Ricordiamo che la Leveson Inquiry è strutturata in due parti.  La prima esamina le relazioni dei media conm gli attori pubblici, polizia, politici, pubblico. La seconda valuta la portata delle attività illegali commesse dai giornalisti coinvolti.
Alla base dell’inchiesta la domanda: chi controlla i controllori? Questione interessante, su cui alla fine si articola l’ ampio sito web dedicato al lavoro di indagine. Una scelta – probabilmente impensabile in Italia – che permette a chiunque di essere aggiornato sui progressi dell’inchiesta giorno dopo giorno e anche tramite video.
L’ obiettivo finale: ‘ individuare una serie di raccomandazioni e regole in grado di garantire la libertà di stampa e mantenere standard professionali alti’.
Ecco l’ articolo originale:
Journalism and the internet: Editors’ quotes from the Leveson inquiry
(traduzione a cura di Claudia Dani)
Che sia intesa come fonte di preoccupazione o di opportunità , la questione Internet è stata regolarmente sollevata, nelle ultime settimane, dai testimoni sentiti nell’ ambito dell’ inchiesta Leveson. Nonostante molte di queste deposizione non siano state riprese dai media, esse offrono spunti interessanti riguardo a come i media mainstream e i giornalisti giudichino le sfide e le opportunità che la rete offre.
Dalla prima parte dell’inchiesta, che per il momento risulta “temporaneamente chiusa”, abbiamo raccolto attraverso le trascrizioni alcune delle osservazioni e dei commenti espressi da giornalisti di quotidiani e magazine nazionali a Lord Leveson dall’ inizio di quest’anno. Le affermazioni riguardano in particolare internet: in relazione alla gestione dei contenuti online, delle ultime notizie e delle voci sui social media e la questione dei contenuti pubblicati fuori della giurisdizione del Regno Unito.
Misurarsi con le dimensioni globali del web:
Se i media mainstream in Gran Bretagna non saranno in grado di rapportarsi alle notizie disponibili gratuitamente altrove, diventeranno sempre più irrilevanti, soprattutto per i più giovani. Lo dico perché, come anticipato in precedenza, il Mail Online, questa settimana, è diventato il più grande sito al mondo, con oltre 100milioni di utenti unici, e questo è la prova eloquente che esiste una grande richiesta di giornalismo britannico a livello globale.
La connotazione globale contenuta nel termine World Wide Web è letteralmente vero, e il centro del business mondiale dell’ informazione non è il Regno Unito (non è più il Regno Unito), ma sono gli Stati Uniti. In questo senso Internet è l’incarnazione dell’ impero principale e suggerirei l’ ipotesi che il direttore del Mail Online possa mettere nero su bianco in qualche documento da allegare all’ inchiesta gli enormi problemi che Internet pone sia per la carta stampata che per la sua regolamentazione.
John Witherow, Sunday Times
Beh, chiaramente qualsiasi tipo di regolamentazione che viene fuori da questo processo credo che debba tenere conto di ciò che accade su Internet; ma, nel nostro passaggio verso le piattaforme digitali, continuiamo ad essere legati dalla autoregolamentazione di quel momento, e continuerà a essere così. Invece, e per noi credo che sia una grande minaccia, là fuori ci sono dei media non regolamentati, che possono sistemarsi in ‘mare aperto’ e evitare la regolamentazione. Credo che questo sia un grande dilemma da affrontare: come possiamo andare avanti con la stampa e i media digitali del nostro paese che continuano ad essere responsabili se là fuori ci sono degli elementi canaglia?
La crescita del potere individuale sulle piattaforme sociali:
James Harding, Times
Se guardiamo alla velocità con cui le persone guadagnano follower su Twitter, ad esempio, o attraverso Facebook o attraverso il loro blog,  vediamo che si tratta di gente che ha un pubblico ampio, a volte più dei grandi quotidiani nazionali, e penso che questo si sentirà , presto. Ci sentiremo come se fossimo in un mondo strano, nel quale esistono vincoli importanti alla pubblicazione di una notizia su un quotidiano o in spazi che fanno capo alla testata di un quotidiano, mentre quei vincoli possono facilmente essere elusi dagli altri mezzi di comunicazione digitale.
Le regole nel mondo digitale:
Dominic Mohan, Sun
Una cosa che vorrei emergesse da questa inchiesta è che Internet e la stampa dovrebbero avere delle condizioni paritarie, perché la mancanza di parità potrebbe essere un colpo potenzialmente mortale per l’ industria dei giornali, che è già ferita. Penso che la combinazione di una stampa iper-regolamentata e di una informazione digitale deregolata sia un aspetto molto, molto preoccupante per un settore che impiega migliaia di persone.
Tony Gallagher, Telegraph
Come ho detto, sono molto attratto dall’ idea di un servizio arbitrale che potrebbe essere fornito da un nuovo organismo (una delle ipotesi emerse nel corso dell’ inchiesta, ndr). Penso che se quel servizio arbitrale fosse a basso costo, potrebbe essere un ottimo modo per convincere i fornitori di news online .. se si renderanno conto che il loro accesso ad un sistema poco dispendioso, veloce ed equilibrato sarebbe subordinato all’ accettazione di questo nuovo ‘organismo’, quest’ ultimo sarebbe molto appetibile.
Alan Rusbridger, Guardian
E’ un dato di fatto che siamo tutti sulla strada che porta a redazioni sempre più digitali, spingendoci in una competizione con un mondo digitale che dieci anni fa non esisteva.  Non si può negare il fatto che più regole ci sono e più uno sembrerebbe in posizione di svantaggio rispetto a persone che hanno meno regole. Ma penso anche che se noi lavoriamo per un giornalismo che rispetta standard ed etica del codice professionale, alla fine questo risulterà un vantaggio per le nostre testate. E basta quindi con questa ossessione per tutte quelle persone che sono là fuori e che non operano con quel tipo di codice.
Un ‘marchio di qualità ’ per i fornitori di contenuti online:
Chris Blackhurst, Independent
Ovviamente Internet è fonte di preoccupazione, ma mi sembra che si stia esagerando con i timori per quelle persone che scrivono sui blog, per dire quello che vogliono sulla rete. Ma quante volte accade, nella realtà , che una notizia non sia vera fino a che non la riferisce una testata giornalistica riconoscibile e affidabile? E questo succede sempre.
Sì, c’è una blogosfera la fuori, ma … fino a quando una vicenda non viene ripresa dalla BBC, o fino a quando non è pubblicata su Independent, il Guardian, il Times o il  Sun o qualsiasi altra testata, non viene considerata come vera. E quindi potremmo pensare a una sorta di badge, di logo, tipo marchio di qualità oppure di origine controllata. Tra l’ altro, se si vuole questo standard è necessario giocare secondo le regole. Io non la vedo come una cosa che complicherebbe il mio modo di fare il giornalista, e non pregiudicherebbe il modo in cui l’ Independent porta avanti la sua attività .
Richard Wallace, Daily Mirror
Penso che ci sia già , qui, una opportunità ,  abbiamo solo bisogno di afferrarla. Qualunque saranno le nuove forme di regolazione che nasceranno da questa inchiesta, credo che ci sia nel mondo digitale, fra i distributori di informazione, una volontà di riunirsi in una sorta di struttura, questo perché fornirebbe loro prestigio. Nel mondo di Internet, c’è solo un sacco di rumore, e ciò che i consumatori cercano, e il business anche, è un po’ di ordine, e penso che i blogger legittimati,  i fornitori di notizie legittimati potrebbe dare il benvenuto alla possibilità di partecipare alla nuova ‘forma’, di possedere un marchio di qualità , perché avrebbe un effetto diretto sulle loro attività .
Fare soldi:
John Witherow, Sunday Times
I giornali, in questo momento, sono coinvolti in una rivoluzione totale. Non si è mai vista una tale sfida in più di 200 anni, una sfida di gran lunga superiore a quella radiofonica o televisiva: è la parola stampata online che lancia la sfida, in maniera digitale, eogni giornale si chiede: come si fa a continuare a pubblicare allo stesso tempo in formato cartaceo e digitale, cercando di fare abbastanza soldi per finanziare un buon giornalismo? E poi, ancora: quanto tempo sopravviverà la stampa? Come si possono fare soldi da tablet e interneti? Si tratta di una delle più grandi sfide che attendono l’ editoria da quando esiste.
Alan Rusbridger, Guardian
E’ in corso una feroce rivoluzione digitale e la stampa si trova li nel mezzo, proprio nel momento di massima crisi economica. Ci sono grandi opportunità al suo interno (…). Ritengo che il Guardian in questo momento sia un player importante a livello globale, ma abbiamo di fronte enormi sfide sul piano della ricerca di un modello di business convincente. Ma voglio vedere il giornalismo del Guardian continuare e crescere, ed è una cosa secondaria se sulla carta o sul digitale.
Ian Hislop, Private Eye
Potrei dire qualcosa del tipo: una generazione che vuole tutto gratis ha già capito che è molto difficile fare film e dischi, ma ora sta cominciando a dire “Voglio giornalismo gratis”, ma penso che dovremmo cercare di resistere. Non sono d’ accordo con molti miei colleghi; non riesco a capire perché il giornalismo, che, al suo meglio, è un mestiere terribilmente nobile, dovrebbe essere svenduto, e perché persone che possono analizzare le informazioni, che scrivono bene, piacevolmente e in modo analitico, dovrebbero vedersi portare via tutto ciò che hanno fatto per nulla. Insomma, guardando altrove, mi sento enormemente rincuorato dalla scoperta che sul sito di Le Canard Enchaîné c’ è scritto: ‘Andatevi a comprare l’ edizione cartacea’. Stanno facendo molto bene.
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L’ adattamento dei processi editoriali:
Tony Gallagher, Telegraph
Nelle redazioni tradizionali, gli articoli vengono scritti, inviati al desk, girati alla direzione per valutarne l’ importanza. Con Internet e le esigenze di velocità del digitale, per competere contro le testate online, abbiamo deciso che  i giornalisti esperti potevano bypassare il desk che consente loro di auto-pubblicare i loro articoli dopo una revisione praticamente istantanea. Ma questo vale comunque per servizi su argomenti non controversi e non per temi particolarmente spinosi.
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