L’ Huffington Post e i blogger, la gauche accusata di sostenere gli ‘’sfuttatori’’
Mentre in Italia si discute se il 2012 segnerà la rinascita del blog, in Francia ci si chiede se il blogger sia un mestiere e se ci si possa vivere – I responsabili della edizione d’ oltralpe dell’ HuffPO, di area socialista, sono sotto accusa per aver accolto in pieno i principi dell’ economia della gratitudine che regola i rapporti fra la grande testata Usa e i blogger – Ma c’ è chi dice che le polemiche sono solo ipocrisia, visto che in Francia, da tempo, tutte le testate avrebbero con i blogger lo stesso comportamento – E intanto c’ è anche chi ritiene il blog un’ arte da coltivare senza dover per forza ‘’reclamare uno status giuridico o fare corporazione’’, uno spazio di libertà : Il blogger e l’ autore non sanno se un giorno guadagneranno dei soldi, ma sono liberi – Da noi Pier Luca Santoro chiede però di fare un po’ di luce sui blog, citando una campagna sponsorizzata da Enel e il vezzo di alcuni blogger di non segnalare affatto di che cosa si tratta: insomma non sarebbe male, come Santoro da qualche tempo sta sottolineando, procedere all’elaborazione condivisa di un codice di autodisciplina per chi fa informazione attraverso blog e social networkÂ
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Blog e blogger tornano al centro della scena.  Mentre in Italia si discute di morte e rinascita del blog, in Francia si chiedono se bloggare sia un’ arte oppure un mestiere di cui si possa vivere.
Insomma se e come andare oltre la cosiddetta ‘’economia della gratitudine’’, che domina i rapporti fra testate e blogger.
La domanda non è peregrina perché è imminente il varo di una edizione francese dell’ Huffington Post.
Ma anche la blogosfera italiana dovrebbe rizzare le antenne perché presto Arianna Huffington potrebbe sbarcare anche in Italia e bisognerà fare i conti con la politica ‘’retributiva’’ del colosso americano. Ma intanto, come segnala Pier Luca Santoro sul suo Giornalaio, sarebbe il caso di cominciare a fare un po’ di luce sui blog
La visibilità e le bollette del gas
Ma torniamo alla Francia.
L’ Huffington Post, come si ricorderà , è accusato di sfruttare i blogger che scrivono per la testata senza ricevere un centesimo di dollaro – in cambio solo di un po’ di visibilità e di prestigio - ma contribuendo in modo sostanzioso alla fortuna della casa madre.
I blogger Usa hanno aperto una vertenza dopo l’ acquisto della testata da parte di AOL, chiedendo almeno un po’ dei 315 milioni di dollari incassati da Arianna Huffington e soci. E in Francia, alla vigilia del lancio, la blogosfera è in fermento. Il dibattito tra l’ altro si tinge anche di sfumature politiche visto che questa volta è la gauche ad essere accusata di stare dalla parte dei sfruttatori.
Al centro della polemica Anne Sinclair (ex giornalista televisiva e madame Strauss-Kahn) e Mathieu Pigasse, uno dei nuovi editori di leMonde, incaricati di gestire sul piano editoriale e su quello finanziario l’ edizione francese del blog Usa. Entrambi di area socialista, sono accusati di aver assimilato pienamente la politica di sfruttamento dei blogger praticata dalla casa madre.
Perché la sinistra sostiene la non remunerazione dei blogger? Si chiede Anthony Rivat sull’ Observatoire des medias, citando una mail inviata qualche giorno fa da Anne Sinclair per reclutare i blogger.
« Questi contributi non saranno remunerati e saranno l’ equivalente delle column pubblicate da altri media. Ma noi assicureremo la maggiore visibilità possibile, almeno lo speso, alla forza d’ urto dell’ Huffington», scriveva la giornalista.
Ma gli internauti non l’ hanno presa bene.
« Né EDF (in nostro Enel, ndr), né France télécom vi abbonano le bollette per la vostra notorietà , anche se ne avete tanta », ha risposto ad esempio Pierre Serisier, giornalista e blogger per lemonde.fr.
E Roland Pavot (GdeC), blogger indipendente, lamenta che i suoi colleghi siano « attirati dal loro orgoglio e dal loro bisogno di riconoscenza ». Il suo principale rammarico, oltre allo « sfruttamento delle competenze a fini di arricchimento » del sito, è la perdita della libertà di espressione degli autori.
 Ma – replica Eric Mettout su l’ Express  – è curioso vedere Anthony Rivat meravigliarsi perché due personalità della sinistra francese, ‘’avversari del profitto delle multinazionali’’, siano stati incaricati di mettere in piedi questo ‘’sfruttamento delle competenze a fini di arricchimento del sito’’, quando in Francia lo fanno già tutti. E non da poco tempo.
 Ecco – spiega Mettout -: i blogger fanno bene a protestare, a trattare. Ma la cosa si complica quando qualcuno mi vuole convincere che
1) Anne Sinclair e Mathieu Pigasse prestino le loro competenze di sinistra (!) a una volgare operazione di destra, contribuendo alla pauperizzazione di un nuovo lumpenproletariat proveniente dalla blogosfera; e
2) che tutto ciò sia non solo intollerabile, ma una assoluta novità . Come se in Francia i siti di informazione non accogliessero già senza compenso dei blogger, quasi sempre volontari e soprattutto maggiorenni, vaccinati, coscienti e consenzienti.
Lo fanno tutti – spiega Mettout -, a cominciare dal suo giornale, L’ Express. E – continua – succede a leMonde, all’ Obs, a Libération, al Figaro, a 20Minutes, oltre che al Post, a Rue89, e succederà sicuramente anche a NewsRing. Peggio (meglio?), con le Plus, Express Yourself, You… lo sfruttamento si estende ormai a tutti gli internauti, chiamati ad arricchire spontaneamente l’ offerta editoriale con un punto di vista che si spera sia differente –, ma sempre non pagato.
 In entrambi i casi i termini del ‘’contratto’’ sono identici (e ben riassunti dalla mail della Sinclair riprodotta prima).
 Provate a sostituire Huffington Post con le testate che abbiamo citato e vedrete – continua Mettout – quali sono le relazioni che le legano ai blogger: loro scrivono, noi pubblichiamo, loro forniscono contenuti originali, noi mettiamo loro a disposizione la nostra vetrina, la nostra rete, la nostra ‘’forza de frappe’’. E’ tutto chiaro, non ci sono clausole nascoste o trabocchetti, nessuno frega nessuno e, una volta che loro hanno accettato di stare al gioco, le due parti dovrebbero essere contente – e lo sono, da noi per lo meno, sempre. Non è un braccio di ferro, nessuno obbliga nessuno e io occupo una posizione che mi permette di sapere bene che quando un blogger non è d’ accordo il ‘’contratto’’ non si fa.
 Certo, poi tutto evolve. E niente impedisce a un blogger di disconnettersi, di traslocare, di riprendere la sua indipendenza, di cercare di meglio altrove o.. di trattare (…).
Solo un’ altra considerazione. Come si fa a difendere il mondo della gratuità o a sputare sulla legge Hadopi attaccando gli artisti nei loro soldi e nei loro diritti e nello stesso tempo a incenerire quelli che spingono la logica fino all’ estremo proponendo ai blogger di esprimersi ‘’liberamente’’, e ancora una volta in piena coscienza, sul loro sito?
 Lo dico seriamente: per me la rivoluzione Web – specialmente per noi giornalisti – ribolle proprio qui, in queste parole nuove, diverse, emancipate, provocanti, fascinose… che ci obbligano a considerare il nostro lavoro, l’ informazione, i nostri media, i nostri lettori, in maniera diversa.
 Ma sarebbe la stessa cosa se li pagassero! ribatteranno i miei contraddittori – convinti che facendo questo discorso io difenda il mio pezzo di lesso e quello della mia corporazione di privilegiati.
Io, invece, non credo affatto che sia così – conclude Mettout -. E chiudo con un aneddoto: quando Arianna Huffington è venuta a fare il suo show a Parigi, qualche settimana fa, ha scoperto a Parigi, durante la sua cena al CFJ (il Centro di formazione al giornalismo), che i siti di informazione giornalistica francesi ospitavano dei blogger non retribuiti, mentre negli Usa questo accade solo per i siti partecipativi come il suo. Se ho ben capito, i blogger del New York Times, per esempio, sono esclusivamente giornalisti e le opinioni graziosamente concesse vengono relegate nelle pagine dei columnist, i commentatori, esperti esterni e non pagati.
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Bloggare è un’ arte e sa di libertà Â
Ma allora, quello del blogger è un mestiere? Certo, commenta Thierry Crouzet , anche se tutto dipende da che cosa si intende per mestiere. E’ come chiedersi se scrittore, pittore, scultore, musicista, genitore.. lo sia. E’ possibile in ciascuno di questi casi e in determinate condizioni guadagnare dei soldi.
Bloggare – secondo Crouzet, autore di diverse ricerche e analisi sulla media sfera -, dovrebbe essere vista come un’ arte canonica, in cui ci si immerge per caso e in cui potremo incontrare la fama e, perché no?, anche la ricchezza.
Bloggare è un mestiere nobile, a cui tutti gli altri mestieri dovrebbero somigliare. E’ un mestiere da post-schiavitù. Un mestiere di donne e uomini liberi di dire quello che pensano e di reagire alle sciocchezze professate dagli altri esseri umani morti o vivi, e di premunirsi contro le assurdità future.
Questa libertà passa per una casa propria, un luogo nello spazio digitale che ci appartiene pienamente. Quella libertà non impedisce di andarsene in giro in altri luoghi versando vasi comunicanti in vasi comunicanti oppure scivolando in palazzi riccamente illuminati. Dobbiamo preservare questa libertà , entrare e uscire senza dover firmare nessun contratto. Non abbassarci mai a reclamare uno status giuridico o fare corporazione. Non ci somigliamo. E’ la nostra forza.
Ma non dobbiamo, come fanno gli insetti sciocchi, precipitarci ciecamente verso lampade troppo incandescenti. Ho conosciuto dei blogger che hanno chiuso casa, o, anzi, l’ hanno distrutta, per lavorare in qualcuno di quei palazzi in cambio di salari irrisori. Rifiutiamo ci farlo. Guardiamo altrove restando noi stessi. E quando questo ‘altrove’ non ci piace non esitiamo a farlo saltare in aria come ha fatto meravigliosamente Seb Musset.
La differenza fra un blogger e un giornalista è grande quanto quella fra un autore e un giornalista. Il blogger e l’ autore non sanno se un giorno guadagneranno dei soldi, ma sono liberi. Bloggare comunque paga sempre, perché ci procura una potente sensazione di vita. E’ per questo che noi continuiamo e che questa forma di espressione persisterà , anche se delle aziende tentano di inglobare i blogger nel loro seno.
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E’ proprio quello che denuncia PierLuca Santoro, impegnato da qualche settimana a costruire un progetto che porti all’elaborazione condivisa di un codice di autodisciplina per chi fa informazione attraverso blog e social network.
Santoro pensa che sarebbe il caso di fare un po’ di luce sui blog. E cita un’ operazione lanciata da Enel, un concorso che premierebbe i migliori blogger, a sostegno della quale un’agenzia [non vi sarà difficile scoprire quale] ha lanciato una campagna di “sponsored conversationâ€, di blog che parlano del concorso.
Pare che stia funzionando visto che – ricostruisce Santoro – Google restituisce quasi un milione di risultati per “enel+concorso blogger†e addirittura oltre due milioni di risultati per “concorso blogger awardsâ€. Un successo che, da informazioni raccolte dal sottoscritto, sarebbe dovuto al compenso di alcune decine di euro [pare si tratti di 60€] che vengono dati dall’agenzia che opera in nome e per conto della nota impresa di energia; un elargizione davvero generosa che supera i compensi che spesso i giornalisti di professione ricevono per un pezzo originale che, by the way, lascia immaginare quanto costi al committente.
Approfondendo si viene a scoprire che non tutti segnalano la dicitura “articolo sponsorizzatoâ€, come dovrebbe essere, al termine del post e da una verifica a campione ne ho trovati almeno tre che non si curano di avvertire il lettore che in buona sostanza si tratta di comunicazione pubblicitaria [1 – 2 – 3].
C’è una questione di correttezza e di trasparenza, che è poi alla base dell’idea di codice di autodisciplina precitato, verso le persone che leggono i nostri blog, le nostre segnalazioni sui diversi social network, [quasi sempre] in buona fede condividono ulteriormente quanto proposto poichè hanno fiducia in noi. E’ ora di assumersi la giusta responsabilità personale che la concessione di fiducia da sempre implica.
C’è in questo caso, anche, una questione di efficacia. Sia perchè, come spiega oggi «The Economist», l’eccesso di rumore annulla il valore dell’informazione, che di merito rispetto ad apparire in spazi che, letteralmente, fanno due palle quadre ai lettori, se ve ne sono, e all’azienda sponsor.
Come dice l’amico Vittorio Pasteris – conclude Santoro -: un problema di fiducia & responsabilità , le marchette lasciamole ad altri. E’ davvero giunto il momento di fare luce sui blog.