Un’informazione precaria è un’informazione meno libera, è un’informazione più debole, più indifesa. Non è l’informazione di cui ha bisogno un Paese che si dice democratico. E non si può chiedere a giovani colleghi come Ester Castano, la cronista di Altomilanese minacciata da ambienti vicini alla ‘ndrangheta, di immolarsi sull’altare di un malinteso liberismo del “mercato†in nome di un sogno e di una speranza che nessuno ha il diritto di spegnere, ma nemmeno di sfruttare.
Saverio Paffumi, responsabile della Commissiome lavoro autonomo dell’Associazione lombarda dei giornalisti e consigliere nazionale dell’ Ordine dei giornalisti, ha chiesto a Ester di raccontare la sua testimonianza di precarietà .
‘’Non perché la condizione di precarietà sia più rilevante del tema delle lotte alle mafie e della libertà di denuncia da parte dell’informazione, ma perché il fatto che siano spesso proprio i giornalisti precari in prima linea a raccogliere e scrivere le notizie e rischiare di persona, deve far riflettere’’.
‘’Dopo cinque anni di lavoro nel campo del giornalismo, un rimborso spese rimane ancora nient’altro che un sogno – racconta Ester -. Ma l’entusiasmo è grande. E poi si sa: a vent’anni è ancora permesso sognare’’.
di Ester Castano
Fine quarta superiore. “Stage in una redazione giornalistica, ti piacerebbe?”. Il mio liceo, appena un centinaio di iscritti in provincia di Milano, durante il penultimo anno scolastico offre l’opportunità di svolgere esperienze lavorative nel “mondo dei grandiâ€. Era l’estate del 2008 e sarei partita per il mare solo a fine luglio.
Quindi, perchè no? Accettai la proposta della mia professoressa di tedesco senza riserve. Questo è l’inizio. Dai miei diciassette anni di quel giugno in poi è stato tutto un divenire, un susseguirsi di proposte (gratuite o minimamente retribuite), un apprendere in modo paziente e scrupoloso. La mia stessa collaborazione con il settimanale Altomilanese è iniziata quell’estate, in una redazione umida con le pareti gialle nella zona industriale di Cuggiono, provincia Ovest di Milano, e continua tutt’ora con la nuova edizione (rinnovata nella grafica e nei contenuti) diretta da Ersilio Mattioni. E così i miei primi articoli, sottolineare e rielaborare comunicati stampa, le alluvioni da seguire in diretta con i sommozzatori sotto i ponti allagati, la centenaria del paese da fotografare, la battaglia degli ecologisti contro la costruzione dell’ennesimo centro commerciale.
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“Lei lavora troppo ma guadagna pocoâ€: respinta dall’Ordine
“Non si diventa di certo ricchi, ma ci si diverte. Tu sembri avere stoffa, vai avanti”: Paola Busto, il mio primo caporedattore, la mia prima ‘maestra’ nel mondo del giornalismo locale. Una donna tosta, praticantato ed esame di stato alla soglia dei quarant’anni. Ma è così difficile? Proviamoci! Da quell’estate, dal primo stage, la mia retribuzione non è cambiata di un centesimo. Sono diventata pubblicista, con l’iscrizione all’albo dell’Ordine dei Giornalisti di Milano, nel marzo 2011. Ma essere ammessa non è stato così semplice. Mi presentai negli uffici la prima volta nel luglio 2010: uno scatolone pieno di articoli fotocopiati, quasi duecento pezzi prodotti in ben due anni di lavoro (luglio 2008-luglio 2010). Due anni di lavoro è infatti il tempo minimo necessario per presentare la domanda di iscrizione all’Ordine, sessanta gli articoli retribuiti richiesti: mi pareva di essere arrivata al traguardo.
E invece no. “Signorina, lei ha prodotto troppo e troppo poco retribuito”. La risposta di un’impiegata a cui avevo presentato la mia documentazione mi raggelò. “Ma com’è possibile che lei sia stata pagata così poco, non arriva nemmeno a mille euro in due anni, non possiamo prendere in esame il suo operato”. Fu tremendo.
Il primo smacco da quel ‘mondo dei grandi’ che mi sembrava avermi accolta e apprezzata. E invece, mi accorsi, mi aveva solo sfruttata. Non raggiungevo 800 euro in due anni, e il minimo, mi fu detto, era di 1000. Corsi immediatamente nella mia redazione per chiedere spiegazioni all’ex direttore: lo avevo cercato per mesi, per settimane lo chiamavo per chiedere se quanto ricevevo come paga ‘a pezzo’ bastasse per l’iscrizione all’Albo. Nessuna risposta da parte sua, nessuna rassicurazione.
Dodici mesi di lavoro senza vedere un euro
Quel giorno non chiamai nemmeno, decisi di andare direttamente nel suo ufficio. E infatti lo trovai. Gli raccontai dell’accaduto, esprimendogli in modo educato tutta la mia rabbia, e la mia tristezza. Mi sentivo tradita. Lui disse di non sapere come funzionava, che erano tempi difficili un po’ per tutti, e mi scrisse il suo indirizzo mail su un post-it giallo. Ma ormai era troppo tardi, e nemmeno una settimana dopo il giornale chiuse per fallimento. Nel frattempo collaboravo per una web tv locale: riprese, montaggi, interviste video. Tutto molto esaltante per una piccola cronista di provincia che sogna di diventare reporter al fronte. Certo, l’hinterland di Milano non sarà l’Iraq, ma da qualche parte si deve pur cominciare.
Frequentai un corso molto valido organizzato dalla redazione con cameraman professionisti. Gli accordi erano: “…dall’undicesimo servizio in poi sarete retribuiti, voi siete il giornalismo del futuro, il web è tutto”.
In un anno realizzai all’incirca trentasei servizi video in diversi paesi della provincia di Milano, da Cassinetta di Lugagnano a Cerro Maggiore. Conobbi e intervistai persone di ogni tipo: contadini, genitori indignati, cassaintegrati in lotta contro la speculazione edilizia, politici di ogni partito e cantanti famosi. Un bagaglio umano prezioso e difficilmente acquisibile in modo diverso nell’arco di un periodo così limitato.
Ma ecco il problema: in dodici mesi di lavoro non avevo ancora visto un euro.
Chiedere un compenso? Un fallo da espulsione
Ero al primo anno di università , facoltà di lettere moderne, facevo i salti mortali fra lezioni, esami e montare video in redazione. Inoltre per le riprese serve la macchina, e per far andare un’automobile la benzina. Per fissare gli appuntamenti e interviste è necessario telefonare, quindi aver credito sul telefono.
Un rimborso spese non sapevo nemmeno cosa fosse. Più volte chiesi un minimo mensile, almeno per coprire i costi degli spostamenti e delle chiamate. Arrotondavo lavorando come promoter nei centri commerciali o dando ripetizioni a studenti più piccoli. Ma la situazione era critica, e decisi di parlarne con il mio direttore dell’epoca.
Fu l’ultima volta che lo vidi: mi diede della “pezzente, materialista, troppo attaccata ai soldi”. Non potrò mai dimenticarmelo. Non ho mai avuto un vestito firmato, mai preteso la borsa all’ultima moda. Stavo facendo molti sacrifici – e come me anche i miei colleghi. ll direttore firmò un assegno: fra servizi video realizzati e articoli scritti per la testata online non raggiungevo nemmeno venti centesimi l’ora. Da quel giorno non ho più messo piede in quella redazione, da cui sono stata “espulsa” (questo il termine utilizzato dal titolare).
Supera i mille euro in due anni: finalmente arriva il tesserino!
Ma non mollai il sogno di diventare giornalista e il mese successivo, grazie alla preziosa collaborazione con un’importante testata online di design, moda e stili di vita alternativi, che mi pagò sempre in modo dignitoso e puntuale, mi ripresentai agli uffici dell’Ordine: finalmente superai (anche se di poco) la soglia minima dei 1000 euro. Nel marzo 2011 ritirai il tanto desiderato tesserino bordeaux.
In quella stessa primavera la svolta: dopo aver frequentato il laboratorio di giornalismo antimafioso tenuto dal professore Nando dalla Chiesa alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale, all’interno del corso di sociologia della criminalità organizzata, indirizzai finalmente almeno una parte del mio lavoro verso una delle tematiche che più mi stanno a cuore. Con un gruppo di studenti ad inizio estate 2011 creammo www.stampoantimafioso.it, testata online di approfondimento su mafia e antimafia. Ma anche movimento civile: Stampo tiene lezioni di legalità nelle scuole, organizza eventi e convegni. Ed è grazie a questa giovane testata di cui sono redattrice, tutta formata da studenti e giornalisti, che ho iniziato a specializzarmi, sul campo, in cronaca giudiziaria. E così i tribunali, i processi, le ordinanze di custodia cautelare. Nessuno ci stipendia, nessuno ci paga. Siamo un gruppo di amici e questo è il nostro progetto che, negli ultimi mesi, ci sta portando ottimi frutti dal punto di vista umano.
Nuove entusiasmanti avventure…a 10 euro ad articolo
A settembre 2011 una telefonata: Ersilio Mattioni, ‘cronista di campagna’, così ama definirsi, nonchè uno dei miei massimi maestri, mi propone di far parte della nuova edizione di Altomilanese. “Il settimanale riparte, e io voglio che tu ci sia. Sarà un giornale nuovo, ci occuperemo di inchieste e approfondimenti sui problemi del territorio, criminalità organizzata in primis. Tu ci devi essere”.
Già anni prima ne avevamo parlato, da semplici amici. Avevamo voglia di lavorare e scrivere assieme, io ed Ersy. Lo appoggiai sin dall’inizio, esattamente come lui aveva sostenuto me nel consigliarmi (e insegnarmi) durante i miei primi anni di gavetta. Nel frattempo a gennaio 2012 vengo assunta con contratto, un co.co.co di un anno, nella redazione di Legnano dal quotidiano Prealpina, il  più diffuso della zona. Mi viene richiesto di fare la cronista nei paesi di provincia, mi muovo fra un’amministrazione comunale e l’altra a bordo della mia auto vecchia e senza cerchioni. Tutto questo mi entusiasma e mi permette di mettere piede in molti Comuni dell’Ovest di Milano, di seguire in prima persona le dinamiche del territorio, con un occhio sempre vigile sui piani urbanistici, vero e proprio tesoro su cui la criminalità organizzata di stampo mafioso lavora, investe e specula. La paga è a pezzo, anche qui un articolo non supera i dieci euro netti, ma almeno faccio esperienza e continuo a seguire l’università . Anche se è difficile, molto, perchè spendo più in telefono, benzina e abbonamento del treno di quanto guadagno.
“Io e il direttore siamo sulla stessa barcaâ€
Ottobre 2011-ottobre 2012: Altomilanese all’indomani dell’arresto del sindaco di Sedriano Alfredo Celeste compie un anno. La circolarità del destino, o forse semplicemente una casualità che premia l’averci visto lungo, e le tante ore spese senza mai scoraggiarsi o farsi intimidire. Nemmeno dalle querele. Ad oggi non ho uno stipendio, non riesco ancora nemmeno a comprarmi da sola i libri per preparare gli esami in università e non ho mai visto un rimborso spese. Non so cosa sia un contratto con una retribuzione minima. Ma se dobbiamo dirla tutta, nemmeno il mio direttore Ersilio Mattioni ha un contratto: siamo tutti precari dell’informazione, tutti ‘bamboccioni’ che non riescono ad avere una vita indipendente, retribuiti una miseria per informare la cittadinanza dei fatti che coinvolgono il territorio.
Ma l’entusiasmo è grande. E poi si sa: a vent’anni è ancora permesso sognare. Nel mio caso, a ventidue e dopo cinque anni di lavoro nel campo del giornalismo, un rimborso spese rimane ancora nient’altro che un sogno.