Ma conferma anche il forte gap di condizioni economiche fra lavoro autonomo e lavoro subordinato e la presenza di una ampia fascia di redditi particolarmente bassi: di fronte a un salario medio dei giornalisti pari a 51.027.000 euro annui, nel 2010 il 34,6% dei rapporti di lavoro complessivi (16.877 su 48.789) generavano un reddito inferiore ai 5.000 euro annui
di Pino Rea
Nuovi dati forniti dall’ Inpgi consentono di approfondire il quadro reddituale e quello demografico della professione giornalistica in Italia delineato in ‘’Una professione sempre più frammentata’’.
Due gli elementi che emergono con chiarezza:
1)     La presenza di un ampio segmento interno al pubblicismo (circa il 30% dei pubblicisti iscritti all’ Ordine) che ormai ha poco a che fare con il pubblicismo classico ed è già a pieno diritto nella sfera del giornalismo professionale
2)     Le condizioni reddituali molto basse di un’ ampia fascia di professione.
Queste due questioni ci sembrano rilevanti sia per le implicazioni di carattere sindacale e contrattuale che comportano, sia in relazione al dibattito in corso sulle linee di riforma dell’ ordinamento professionale e sulla necessità di un passaggio a pieno titolo fra i professionisti di tutti i pubblicisti-professionali, per cui quella giornalistica è l’ attività prevalente.
Un passaggio che da anni è stato prefigurato all’ interno della Fnsi con l’ istituzione delle figure del ‘’professionale’’ e del ‘’collaboratore’’ (Congresso straordinario di Riccione, gennaio 1998).
Comunque è soprattutto il quadro economico del lavoro autonomo e parasubordinato a essere caratterizzato da una presenza massiccia di fasce di reddito che – per fare un esempio – in Francia non verrebbero ritenute idonee per la concessione della Carte de presse (che sancisce ufficialmente l’ attività giornalistica professionale).
Nel 2010 in Italia – dove il salario medio dei giornalisti è pari a 51.027.000 euro annui – il 34,6% dei rapporti di lavoro complessivi (16.877 su 48.789) generavano infatti un reddito inferiore ai 5.000 euro annui: in Francia la soglia minima è circa 6.000 euro, la metà  del salario minimo garantito.
La cosa, come si è detto, è estremamente rilevante per quanto riguarda il lavoro autonomo o parasubordinato: considerando pubblicisti e professionisti globalmente,  10.737 su 17.374 (il 61,8%) e 5.252 su 9.844 (il 60%) per i Cococo denunciavano redditi entro i 5.000 euro.
Nel campo del lavoro dipendente le situazioni reddituali entro i 5.000 euro erano invece solo 888 fra professionisti e pubblicisti (esclusi sempre i praticanti) su 20.350 , pari al 4,4%.
Se al 34,6% di rapporti sotto i 5.000 euro si aggiungono quelli con redditi compresi fra i 5.000 e i 10.000 euro (un altro 9,3%; 4.561 su 48.789), si ottiene una fascia del 43,9% di posizioni con redditi inferiori ai 10.000 annui. Di cui però solo 822 posizioni erano relative al lavoro subordinato.
Novemila pubblicisti con più di 5.000 euro/anno
Complessivamente comunque, per quanto riguarda i pubblicisti, il quadro globale dei redditi (autonomo, subordinato e parasubordinato) è così suddiviso:
– Sotto i 5.000 euro: 12.239 (57,8%)
– Fra i 5.000 e i 10.000 euro: 2.934 (13,8%)
– Oltre i 10.000 euro: 6.099 (28,5%)
Sono quindi più di 9.000 i rapporti contrattuali relativi a pubblicisti con redditi superiori ai 5.000 euro.
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QUI IL TESTO COMPLETO DELL’ AGGIORNAMENTO
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