Il caotico mondo digitale ha portato le aziende dell’informazione a vendere gli stessi prodotti a prezzi differenti su piattaforme diversificate. C’è una spiegazione logica?
Ken Doctor, su Niemanlab.org, analizza il problema della giungla dei prezzi e la ‘’magia’’ americana della cosiddetta ‘’economia dei 99 centesimi’’, una sorta di viatico verso prezzi più congrui – Consigliando agli editori giornalistici di seguire con molta attenzione quello che fanno l’ industria musicale e il cinema
The newsonomics of 99-cent media
di Ken Doctor
(traduzione a cura di Elena Baù)
Alzi la mano chi ama ancora l’informazione su carta stampata abbastanza da pagare 700 dollari o più in un anno per un abbonamento settimanale al New York Times. Naturalmente, vi sono molte altre scelte possibili.
E’ possibile naturalmente provare anche una delle numerose opzioni di pacchetti/stampa per somme molto più vantaggiose. Oppure, a voler essere parsimoniosi, potete visualizzare fino a 10 articoli gratis volte al mese, o anche di più se lo scopo è approfondire aspetti sociali o fare ricerche veloci sul NYTimes.com. Oppure, ancora, forse si può esser tra coloro che pagano per utilizzare Ongo 1,99 dollari al mese, ottenendo così 20 notizie del Times al giorno, oltre a un sacco di altri contenuti informativi.
Amate il Guardian e volete seguire ogni particolare della saga di Murdoch nel Regno Unito? Se abitate negli Stati Uniti, potete abbonarvi all’edizione più dinamica sull’ iPad per 13,99 dollari al mese – o accedervi gratuitamente tramite il browser Safari del tablet. Negli USA, l’applicazione smartphone è gratuita, ma in Gran Bretagna ed Europa è necessario sottoscrivere un abbonamento. Certo, l’ applicazione Facebook consente l’accesso gratuito altrettanto bene, e ovunque.
Se state acquistando dall’ edicola digitale di Ongo, osservate l’ampio spettro di prezzi che i singoli editori stabiliscono per farvi accedere ad un determinato prodotto: per il Guardian sono 99 centesimi al mese, per il Christian Science Monitor sono 3,99 dollari, mentre per il Chicago Tribune il costo è di 9,99 dollari e per il Boston Globe 14 dollari e 99 centesimi.
Non sono solo le aziende editoriali dei quotidiani ad offrire un mosaico di opzioni da acquistare (o non acquistare).
Siete dei fan dell’ultima ora della serie AMC “Breaking Bad?†Se desiderate aggregarvi e iscrivervi allo streaming di Netflix, potete fare un buon affare, con 7,99 dollari al mese. Potete infilare ben 37 episodi delle prime tre serie del programma  in un solo pacchetto mensile (ma quanto dura questo mese?), pagando solo 21.5 centesimi a puntata, più tutto quello che riuscirete ad aver tempo di vedere. E’ una vera cuccagna, no?
Ah, ma se volete vedere gli episodi della quarta serie, che non sono ancora disponibili in streaming su Netflix, dovete aggiornare l’ abbonamento per avere i Dvd della quarta serie – ma vi costerà ulteriori 7,99 dollari al mese, e dovrete attendere che i DVD siano diffusi ufficialmente, a giugno. (Forse è proprio questo uno dei motivi per cui la mossa maldestra di Netflix verso lo streaming sta portando a perdite).
Oppure ci si può rivolgere ad Amazon VOD (video on demand) e acquistare gli episodi per 1,99 dollari l’ uno (o 2,99 in HD!), o 25,87 dollari per l’ intera serie. Allora perché vederli in streaming quando puoi avere il DVD in poche settimane per 29,99 $ (o aggiungervi altri 10 bigliettoni per una migliore qualità in Blu-ray)? Un attimo – sono un cliente Esclusivo di Amazon. Non posso vederlo gratuitamente? No, perché non fa parte dell’offerta Esclusiva di streaming gratuita, ma posso guardare un sacco di altra roba tutte le volte che voglio per niente. O forse posso accedere a “Breaking Bad†tramite Xfinity Comcast pagando 100 dollari al mese più il servizio. Non se ne parla, nessun accordo –“Breaking Bad†non è disponibile.
Una prova ulteriore: sullo stesso sito dell’ AMC ci sono un bel po’ di curiosità , blog e molto altro sulla serie, ma non gli episodi integrali.
E passiamo alla musica.
Prendete la cantante Tristan Prettyman. Si parla di 9,99 dollari (o di 83 centesimi a canzone) per il suo ultimo CD su iTunes. Attraverso il mio abbonamento annuale da 36 $ a Pandora (senza pubblicità )  posso ascoltare dozzine di sue canzoni, le sue varie performance musicali, e migliaia di altri brani nel corso dell’anno, abbattendo i costi attraverso una spesa di pochi centesimi per brano. Oppure c’è Spotify, dove le sue canzoni sono disponibili per zero, cinque, o dieci dollari al mese, a seconda di quali dispositivi voglio usare e se c’ è o no pubblicità .
Anche i magazine, naturalmente, stanno proponendo esperimenti di differenziazione dell’offerta. L’industria Usa delle riviste statunitense (“The newsonomics of Next Issue Mediaâ€) ) sta testando le formule ‘’all-you-can-eat’’ e ‘’cross-title’’ (offerta incrociata di testate), ribassando alcune delle sue pubblicazioni  fino a 37 centesimi al mese  (se uno ha già usufruito di tutti i 27 titoli “base†del pacchetto), per chi compra all’edicola; mentre i prezzi vanno dai 39, 59, fino ai 79 dollari l’anno per l’ acquisto di una sola testata direttamente presso l’ editore.
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Quanto far pagare?
Il mondo digitale è un folle paradiso dei prezzi, in questo momento, almeno per i consumatori più astuti. I vari provvedimenti del dipartimento della Giustizia nel campo degli  ebook non fanno che complicare le cose. Cinque o dieci anni fa ci chiedevamo se la gente avrebbe mai pagato per usufruire dei media digitali – Steven Levy del Newsweek ci aveva introdotti in questo terreno sconosciuto con il suo ‘’Conoscere la generazione di Napster’’ sin dal 2000. Ma ora la questione non è se le persone, vecchie e giovani, siano disposte a pagare: il rompicapo è capire quanto far pagare loro tutto quello che noi amiamo graziosamente definire la nostra “realtà multipiattaformaâ€.
Non c’ è più bisogno che i contenuti siano gratuiti. Ora possono avere un prezzo  – ma quanto al pezzo?
I prezzi al dettaglio per molte aziende giornalistiche non sono una competenza di base. Per decenni, la fissazione dei prezzi dei media avveniva in modo automatico. I quotidiani sceglievano il prezzo fra 25 o 50 centesimi e su quella base programmavano i distributori automatici. Le riviste mantenevano i prezzi bassi a sufficienza per costruirsi il loro pubblico e raccogliere i compensi sostanziosi derivanti dagli annunci pubblicitari. Gli editori di libri avevano qualche stratificazione di prezzi diversi, ma mai eccessivamente. Infine, le case discografiche sceglievano un paio di fasce di prezzi e poi lasciavano che vinile e CD volassero.
Nell’era digitale, invece, i prezzi stanno diventando un problema  – e confondendo – l’ industria dei media. Ma il grande merito dei media digitali non era proprio il fatto che il mondo virtuale sia caratterizzato dalla evanescenza delle spese di produzione? Ora che questi costi da secolo scorso – di stampa, produzione, distribuzione e spedizione – stanno tramontando, la questione del prezzo, e del valore, si sta facendo sentire a gran voce.
Di sicuro possiamo notare un’ ingiusta insistenza da parte del Dipartimento di Giustizia nel disporre procedimenti per la fissazione dei prezzi a scapito degli editori di libri, rilevando comunque nello stesso tempo come il Dipartimento non abbia avuto grande peso sugli esiti concreti di queste vicende: in entrambi i casi non si tratta di una sorpresa. La legge ha lottato senza successo per tentare di tenere il passo con i cambiamenti economici operati da Internet, dal giusto uso delle norme antitrust a quelle contro il monopolio dei media. Legislatori molto preparati cercano di andare sempre più indietro nel tentativo di rintracciare le radici della tecnologia e dare ad essa un nuovo senso. Spesso, le autorità europee di regolamentazione dell’ Unione si pronunciano in modo molto più perentorio, ma poi finiscono con il ritirarsi.
Creare un nuovo quadro giuridico che consideri in modo più equilibrato produttori, distributori e consumatori? Scordatevelo, in quest’epoca di politiche dominate da pratiche e concetti come stallo e status quo.
Gli editori di tutti i settori vanno ciascuno per conto proprio, mentre farebbero meglio a maturare un certo senso del problema del prezzo. E’ basilare per la loro sopravvivenza e sostenibilità futura. Certo, i vari Amazon in circolazione cercheranno di monopolizzare la determinazione del prezzo dei libri, riavvicinandosi al vecchio mercato del pre-“prezzo di agenzia†con quote di mercato del 90 percento, rispetto al loro attuale misero 60 percento. Eppure, gli editori – specialmente quelli dell’informazione giornalistica, le grandi testate e riviste che si occupano di mezzi di comunicazione – possiedono molte carte da giocare, in tema di prezzi, per capire come i clienti scoprano contenuti vicino o lontano dalle fonti tradizionali.
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La magia del prezzo giusto
La chiamerò “l’economia dei media a 99 centesimiâ€, perché è questo lo scenario verso cui ci stiamo dirigendo (…).
In un primo momento, sembra di trovarsi di fronte ad una sorta di ‘’dittatura’’ del prezzo a 99 centesimi (e a una ‘’dittatura’’ parallela dei libri su Amazon a 9,99 dollari). I prezzi da 99 centesimi arrecheranno danni ai marchi? Dureranno? Se gli Stati Uniti seguiranno l’esempio del Canada e abbandoneranno il penny, forse il prezzo a 99 cents potrebbe diventare storia vecchia. Ma, per ora, mantiene il suo magico fascino sui consumatori.
“L’ introduzione delle offerte da 99 centesimi ha fatto miracoli nel campo della definizione dei prezziâ€, afferma Matt Lindsay, presidente di Mather Economics. La sua azienda ha lavorato con più di 200 testate – circa il 75 percento delle quali sono giornali – sulla determinazione dei prezzi e relative questioni strategiche. Prendiamo ad esempio i prezzi nel settore dei media, dal New York Times a Hulu Plus: i 99 centesimi (o i loro derivati a partire da 1.99 $ fino a 7.99 o 9.99 $), sono ovunque.
Stabilire un prezzo è semplice: basta considerare qual è la percentuale di clienti che clicca “s솖fornendo così preziosi dati della carta di credito – di fronte ad un’offerta. Offrite ai lettori la possibilità di iniziare una “prova†per 99 centesimi, ed otterrete risultati di due o tre volte superiori rispetto all’ utilizzo di qualsiasi altra cifra, sostiene Lindsay. I 99 cents, vengono presi dai lettori “come un segnale. Capiscono che tu vuoi che loro adottino il prodotto. Impostando invece il prezzo pieno ad una cifra superiore, è come se stessi dicendo, fondamentalmente “Questo è il reale valore del prodottoâ€.
Steve Jobs ha segnalato lo stesso concetto in modo analogo. Come ha ben spiegato Chris Anderson su Wired lo scorso novembre (“The Magic of 99 Centsâ€), uno dei grandi successi di Jobs con iTunes e iPod è stata l’adozione del prezzo di 99 centesimi per le canzoni. Poteva anche possedere i giusti hardware e software, ma in un’era non proprio post-pirateria, i 99 centesimi sono stati la terza componente chiave nel definire il rapporto del giusto valore. Hanno funzionato come un segnale: a metà strada tra gratuito e troppo costoso.
Iniziate con 99 centesimi e potrete conquistare il mondo. Ma vediamo un po’ meglio qualche linea guida per gli editori.
- I 99 centesimi sono un inizio e non la fine. Per giornali abituati ad esser pagati 200 o 400 dollari l’ anno, i 99 cents appaiono come una dichiarazione di scarso valore.  Arrotondare con qualche 0 nel prezzo, fa sembrare più onesti. Il caso spesso citato dei  video da 5 dollari dello spettacolo di Louis CK ne è un esempio calzante. Cinque bigliettoni dicono autenticità . Eppure i media che rispondono alle migliaia di domande dei lettori ogni giorno non sono dei commedianti. Solo impostando un prezzo iniziale di 99 cents, prima o poi quel prezzo invierà un altro importante segnale sul valore del prodotto. Alla fine, dice Lindsay, è vero che “la gente considera il prezzo quale un segnale di qualità â€.
- Se avete molto altro da vendere, allora i 99 centesimi non sono un semplice prezzo, ma un prezzo d’ ingresso. Rispondendo a un mio recente articolo sulle “small thingsâ€,  Rob Pegoraro chiedeva, su Twitter, come si potesse correlare i risultati degli utili del New York Times a quel concetto. “Penso che i 454mila abbonati digitali del NYT potranno diventare un grande mercato per le “piccole cose†come ebooks ed eventiâ€, ho replicato. David Johnson ha poi aggiunto: “si paga per stare sul mercato. Questi piani aziendali sembrano quasi dei parchi a tema odelle strategie di raccolte di fondi per associazioni senza scopi di lucroâ€. Ecco come le cose tornano perfettamente: non è una questione di soldi, pochi o tanti, addirittura se un dollaro o 99 centesimi – ma qui si tratta di stabilire un nuovo rapporto. O, per dirla in un altro modo, i 99 cents sono il viatico dei prezzi.
- Tenetevi pronti a vendere un sacco di roba. Quindi, che siate Six Flags, il New York Times o il L.A. Times, fareste meglio ad imparare a sfruttare questa nuova condizione di vendita all’ ingrosso. Forse non si tratta ancora di 100 prodotti l’ anno, ma almeno una mezza dozzina sì, tanto per cominciare. Gli ebooks certamente, rientrano perfettamente nel contesto, tanto quanto i supplementi offerti a soci ed abbonati. Ovvio, dovete sceglierne alcuni, come sta facendo il Boston Globe con le Cene della domenica, per rafforzare la sensazione di prestigio di essere membri/abbonati. Ma il prezzo può essere un altro mezzo per indicare il valore potenziale. Una guida per l’ area universitaria di Boston, realizzata – naturalmente – dal Globe, potrebbe essere, per 19,95 dollari, un prodotto solido da vendere, dati i 100.000 e più dollari che le famiglie investono per i figli.
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E poi ‘’ebookâ€, anche se il termine è troppo limitato per definire tutto quello che rappresenta, e suona come qualcosa di obsoleto. C’ è una differenza fondamentale fra ebook e applicazione, spiega David Link  “Da un punto di vista imprenditoriale e tecnologico, la differenza è solo nel modo con cui vengono progettati: si va nell’ebookstore e c’ è solo testo. Si va nell’app store e si trova il testo più un 50 percento di applicazioni come contornoâ€. Così, adesso, gli editori e i loro creativi sono costretti a inventare forme molteplici, ma essenzialmente lo stesso prodotto è sia un’applicazione che un ebook. Le tecnologie e i costi, per spiegarsi, sono come dei mercati per tutto l’ armamentario digitale delle nostre vite.  La questione, per gli editori che vendono più prodotti però è chiara: per soddisfare le esigenze del pubblico meglio di chiunque altro è necessario saper fornire prodotti per i dispositivi del momento, e ad un prezzo adeguato.
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- Non è solo il contenuto che stiamo pagando. Questa è davvero una dura lezione per l’ editoria tradizionale. Come nel caso della rivoluzione nel settore della musica operata da Apple, è stata la combinazione di praticità , facilità , presentazione, prezzi e domanda che ha razionalizzato (nel bene e nel male) l’industria della musica digitale. Oggi, analogamente, le prime strategie di abbonamenti digitali nel settore dell’ informazione sono legate molto più ad aspetti quali convenienza e mobilità che non a quello dei contenuti, dei  testi e delle immagini.
- Siamo tutti sulla stessa barca. Pensate ai vostri acquisti multimediali. Un po’ di musica, molti più video, abbonamenti mirati a giornali e riviste, un numero crescente di ebooks. Certo, i mercati per ebooks e applicazioni, come le edicole e gli e-store, sono parecchio confusi. I media, però, sono i media, e le tabelle dei prezzi si stanno formando in maniera molto simile tra film, musica, quotidiani e magazine. Tutti, ad esempio, apprezziamo il sistema di All Access: paghiamo una sola volta e potremo ricevere i nostri acquisti ovunque.
Insomma, gli editori di giornali e riviste devono guardare con attenzione alle tante lezioni che vengono dalle industrie musicali e cinematografiche, e in particolare a quelle che sono tuttora in costante evoluzione.
Il prezzo dell’ informazione non è un’isola privilegiata.