La foto comunicante, su Culture Visuelle un’ analisi della ‘rivoluzione’ della fotografia

 

La rivoluzione della fotografia arriva dalla conversazione e dall’ impetuoso sviluppo delle reti sociali -  In un ampio articolo su Culturevisuelle, André Gunthert analizza le trasformazioni dell’ immagine fotografica con l’ avvento degli smartphone e la nascita di piattaforme basate su un massiccio utilizzo di funzioni-filtro per ‘’cancellare la convenzione del realismo fotografico’’. 

‘’Per la prima volta nella sua storia – osserva lo studio francese – la fotografia tradizionale è diventata una pratica di nicchia all’ interno di un universo più vasto, strutturato dai dispositivi mobili e dalla reti sociali: l’ immagine comunicante’’, l’ immagine profondamente integrata nella conversazione –

 

Certo, segnala Gunthert, la foto tradizionale, solidamente basata su materiali e saperi sapienti, ha ancora un bel futuro davanti. Ma bisogna capire che la foto  comunicante, anche se non riesce ancora a coprire tutto l’ arco delle potenzialità visuali, beneficia della visibilità e della straordinaria appropriabilità che le danno le reti sociali -  Come gli altri marcatori dell’ interazione sulle reti sociali, le immagini vengono scelte per costituire degli indicatori di comunicazione. L’ humour o l’ autoderisione, la capacità di reagire all’ avvenimento o la condivisione di momenti privilegiati diventano i nuovi criteri di una selezione guidata dalla sociabilità

 

 

La révolution de la photographie vient de la conversation

di André Gunthert

(Culturevisuelle.fr)

 

Viviamo in uno strano momento. Negli anni Ottanta sembrava che la foto fosse destinata a durare eternamente con lo stesso aspetto di allora. Un film di anticipazione come BladeRunner proiettava nel futuro la permanenza di quel mezzo in uno stato che sembrava immutabile1.

 

Poi, all’ inizio degli anni Novanta, la digitalizzazione della fotografia venne descritta  simultaneamente come una rivoluzione e una catastrofe. Ancorati all’ approccio tecnicistico classico, alcuni autoproclamati profeti vedevano nel passaggio al pixel la rovina della sua carica ‘’indiziaria’’ e annunciavano imprudentemente la fine della nostra fiducia nella “verità delle immagini”2.

 

Durante una ventina d’ anni la transizione digitale ha toccato solo marginalmente le pratiche visuali. Nonostante un considerevole salto tecnologico, è stato registrata una notevole contiuinità delle forme e degli usi. Come un’ automobile a cui è stato cambiato il motore, la fotografia ha preservato l’ essenza delle sue funzioni. I giornali hanno continuato a pubblicare dei reportage e i genitori a scattare foto del loro ultimo nato. Non c’ è stata una catastrofe nel campo del visibile, al massimo qualche esclusione dai concorsi professionali3.

 

Ma poi, all’ improvviso, a partire dal 2010, qualcosa è cambiato nelle immagini e nelle pratiche. La rivoluzione annunciata da tanto tempo era finalmente scoppiata? Non era stato un apparecchio fotografico, ma un telefonino, prodotto da una casa produttrice di computer, l’ iPhone, accompagnato da una babele di applicazioni ludiche, che sembrava aver cambiato il quadro. Osservando la foto a partire dagli smartphone, giornalisti e studiosi  hanno descritto una invasione del vintage o una mutazione del giornalismo4.
Le cifre sembrano dar loro ragione. In tutti i paesi sviluppati, le statistiche di vendita dei dispositivi mobili hanno largamente superato quelle delle macchine fotografiche . In Francia, nel 2011, di fronte a una vendita di 4,6 milioni di apparecchi fotografici, quelle di smartphone hanno raggiunto i 12 milioni di unità. Per la prima volta nella sua storia, la fotografia tradizionale è diventata una pratica di nicchia all’ interno di un universo più vasto, strutturato dai dispositivi mobili e dalla reti sociali: l’ immagine comunicante.

 

Vintage o condivisione?

Un’ osservazione più approfondita permette di scoprire alla metà degli anni 2000, in particolare su Flickr, antenato delle reti sociali virtuali, l’ essenzia dei tratti resi evidenti ora dalle applicazione degli iPhone, Instagram o Hipstamatic. Fra le hit-parade automatiche costruite dall’ algoritmo di Interestingness, la maggior parte delle foto plebiscitate dagli utenti di Flickr si basano soprattutto sulla versatilità dell’ immagine digitale e alterano i prodotti della registrazione fotografica attraverso varie manipolazioni (vedi sotto).

 

L’ invecchiamento apparente dell’ immagine viene generata da due modificazioni simmetriche: la desaturazione dei colori, che ricorda l’ usura fisica delle stampe, e la diminuzione della temperatura del colore, che evoca le tinte calde delle pellicole Kodak degli anni Sessanta.In altre parole, una qualsiasi alterazione dell’ equilibrio cromatico standard può produrre una connotazione vintage da parte di uno sguardo esercitato. Ma non è sicuro che questa lettura storica sia la griglia più pertinente per interpretare la percezione da parte di generazioni che non hanno conosciuto la fotografia su pellicola.

 

E’ forse meglio descrivere questo aspetto come una delle tante manipolazioni possibili, tipiche delle nove risorse dell’ immagine digitale, che spingono a guardare la foto come una immagine piuttosto che come una finestra aperta sulla realtà. Il ricorso ai filtri rappresenta un modo semplice ed efficace di cancellare la convenzione del realismo fotografico. E’ questo effetto di distinzione, di firma espressiva, che cercano gli utenti di Flickr e di Instagram.

 

Ma, al di là della dimensione estetica, quello che cercano è soprattutto la possibilità offerta dalle reti sociali di comunicare e di discutere le immagini. Dominique Cardon è stato il primo a sottolineare, a proposito di Flickr, questa nuova funzionalità rappresentata dall’ integrazione della fotografia nella conversazione 5. La potenza delle reti sociali, e in particolare di Facebook, dà a questa notazione il valore di un paradigma.

 

 

Se si vuole capire quello che le reti sociali hanno apportato alla fotografia, conviene tornare sui limiti della pratica privata durante il periodo analogico. A quell’ epoca, se i fotografi professionisti avevano a disposizione diversi strumenti per valorizzare la propria produzione, la pratica amatoriale era caratterizzata da grossi limiti in termine di esposizione. L’ album familiare è uno dei pochi mezzi per condividere, presso una ristretta cerchia di persone, una selezione di immagini. La fotografia permette di realizzare delle immagini ma è molto difficile mostrarle. Se Facebook raccoglie oggi la più grande collezione di immagini al mondo, è perché offre una risposta a questa domanda fondamentale.

 

Piuttosto che le conversazioni sulle foto, il web ha favorito delle conversazioni con le foto, scrivono Jean-Samuel Beuscart, Dominique Cardon, Nicolas Pissard e Christophe Prieur6. La principale innovazione visuale dell’ era digitale può essere analizzata come l’ estensione a un pubblico di massa delle competenze riservate fino ad allora al sistema mediatico. L’ integrazione dell’ immagine nella conversazione, non più soltanto come referente esterno, ma come componente a pieno titolo, offre delle possibilità di commento e di raccomandazione molto estese.

 

Se Facebook è oggi la rete sociale più utilizzata per pubblicare delle immagini è, da una parte, perché è diventato il principale supporto di conversazione, ma, dall’ altra, perché l’ immagine si è imposta come uno shifter essenziale della sociabilità7. L’ analisi degli utilizzi fotografici degli smartphone, la cui funzione principale è di dare accesso al web, deve necessariamente essere spostata in questo contesto. Piuttosto che per le sue connotazioni passatiste, il successo che incontrano programmi come Instagram o Hipstamatic si spiega con le loro funzioni di condivisione istantanea delle immagini.

 

 

Per la sua adattabilità all’ universo comunicante, la fotografia sta conoscendo l’ evoluzione più decisiva per la sua storia. L’ antico paradigma fotografico, basato sulla tecnica, sulla preminenza della registrazione visiva, la materialità e l’ oggettività dell’ immagine, ha perso la sua posizione preponderante. Mentre prima la fotografia formava un universo autonomo, fortemente identificato, oggi quello che la caratterizza è la sua integrazione all’ interno di sistemi polivalenti, di cui essa non è  il componente essenziale.

 

La visibilità della conversazione

 

Per i difensori dell’ antico paradigma (a cominciare dai fabbricanti, che continuano ad usare il contagocce nell’ attrezzatura di capacità comunicative predisposte per i nuovi modelli8), gli smartphone non sarebbe in grado di fare concorrenza alla foto creativa9. E’ innegabile che la foto tradizionale, solidamente basata su materiali e saperi sapienti, ha ancora un bel futuro davanti. Ma bisogna capire che la foto  comunicante, anche se non riesce ancora a coprire tutto l’ arco delle potenzialità visuali, beneficia della visibilità e della straordinaria appropriabilità che le danno le reti sociali.

 

Lo constatiamo ogni giorno un po’ di più: per le giovani generazioni, Facebook o Twitter si sono ormai imposte come l’ equivalente del giornale del mattino, e la segnalazione, la raccomandazione, sono diventate il principale filtro del consumo dell’ informazione. Per un rovesciamento inatteso, è dunque oggi la fotografia professionale a perdere in visibilità, mentre le pratiche private sono sempre più in prima fila sulla scena, mischiate all’ offerta mediatica dalla conversazione. Per valorizzare un contenuto, una buona strategia per un professionista è approfittare quindi dell’ esposizione della rete, dando alle sue immagini una forma conversazionale.

 

 

Le immagini passate attraverso questo filtro sono sensibilmente diverse dal canone della fotografia amatoriale tradizionale. Mentre gli istituti di sondaggi continuano a interrogare gli utenti sul numero di foto delle vacanze, dei matrimoni o dei bambini realizzate nel corso dell’ anno, i ‘’muri’’ di Facebook mettono in mostra una iconografia molto più variegata, il cui scopo è suscitare o alimentare la conversazione. Come gli altri marcatori dell’ interazione sulle reti sociali, le immagini vengono scelte per costituire degli indicatori di comunicazione. L’ humour o l’ autoderisione, la capacità di reagire all’ avvenimento o la condivisione di momenti privilegiati diventano i nuovi criteri di una selezione guidata dalla sociabilità.

 

 

L’ attività comunicativa non si limita alla messa online di fotografie autoprodotte, ma può integrare dei materiali di provenienza diversa, come archivi, bozze di stampa o espressioni militanti, e si estende al commento, al like, senza dimenticare il retweet, che resta, come la ritrasmissione di altri tipi di contenuti, un gesto di partecipazione valorizzante e significativo. Senza confondersi con altre forme visuali, la fotografia si trova assorbita in un universo iconografico più vasto, che si conforma esso stesso alle regole dello scambio online.

 

Molto oltre le frontiere della pratica fotografica tradizionale, la produzione o la ritrasmissione di meme (http://it.wikipedia.org/wiki/Meme , una sorta di ‘’unità culturale’, come il gene è per la genetica, ndr) costituisce una estensione tpica dell’ immagine comunicante, utilizzata per reagire a un fatto di attualità, in un modo molto vicino a quello della caricatura10. La visibilità delle reti sociali viene in questo caso moltiplicata dalla potenza virale della satira, la cui ‘prosécogénie’ (‘’capacità di suscitare l’ attenzione’’, ndr) si manifesta con gli effetti del riciclaggio mediatico, attraverso riprese o citazioni.

 

Come l’ illustrazione classica, il meme prodotto dalla conversazione finisce per rafforzare il valore del resoconto giornalistico. La sua esistenza attesta un grado di reattività più elevato che il banele tweet, conferendogli un carattere documentario. In più, il suo valore decorativo e comico aggiunge un po’ di piccante all’ articolo. Tenendo conto dell’ alto livello di controllo del sistema mediatico, il riciclaggio appare come un modo particolarmente efficace di far accadere a una larga esposizione dei dati minoritari o critici. E testimonia anche della forte visibilità dei contenuti conversazionali.

 

 

Una nuova arte di massa?

 

Come molti dei suoi contemporanei, Walter Benjamin vedeva il cinema come una ‘’arte di massa’’. Cineasti cone Esisenstein o Abel Gance avevano opredetto un avvenire radioso a questa nuova forma di espressione popolare.

 

Il cinema (e il suo prolungamento, la televisione) non è diventato una’’arte’’ di massa in senso stretto. E’ diventato arte per una elite e un divertimento per tutti gli altri. Ma Benjamin ci ha spiegato anche che queste nuove forme cambiano il nostro modo di percepire l’ arte. Che una parte della produzione cinematografica sia stata riconosciuta come arte è forse meno importante del fatto che il cinema, come la letteratura popolare, ha dato un ruolo da eroi a personaggi venuti fuori dal popolo, offrendo così alle masse una forma di auto-rappresentazione e di riconoscimento.

 

Allo stesso modo, è probabilmente inutile cercare oggi sulle reti sociali l’ equivalente di capolavori in grado di legittimare queste nuove pratiche dal punto di vista della cultura con C maiuscola. Quello che producono le reti sociali è prima di tutto una modificazione del nostro rapporto con le industrie culturali. Se queste ultime hanno immaginato il loro rapporto col pubblico unicamente sotto le forme di una politica dell’ offerta, la visibilità della conversazione modifica il nostro rapporto con la proposizione industriale e manifesta un consumo di secondo grado, una appropriazione distanziata o satirica dei contenuti proposti, sempre sotto il tiro di uno sguardo critico.

 

La partecipazione dell’ immagine alla conversazione non è una nuova arte di massa ma piuttosto uno degli spazi in cui si giocano la riconfigurazione dell’ offerta culturale, l’ appropriazione dello spazio mediatico e la disintermediazione della comunicazione.

 

(Testo rivisto di un intervento al seminario “Photographie et réseaux sociaux”, Arles, 9-11/07).

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  1. Cf. “Les androïdes rêvent-ils de photo de famille“, L’Atelier des icônes, 4 gennaio 2010. [↩]
  2. Cf. “L’empreinte digitale. Théorie et pratique de la photographie à l’ère numérique“, in Giovanni Careri, Bernhard Rüdiger (dir), Face au réel. Éthique de la forme dans l’art contemporain, Paris, Archibooks, 2008, p. 85-95. [↩]
  3. Cf. “Le détail fait-il la photographie?“, L’Atelier des icônes, 7 mars 2010. [↩]
  4. Cf. Gil Bartholeyns, “L’iPhonographie: la machine à fabriquer le temps“, Culture Visuelle, 23 aprile 2012; Vincent Lavoie, “Guerre et iPhone. Les nouveaux fronts du photojournalisme“, Etudes photographiques, n° 29, mai 2012, p. 204-228. [↩]
  5. Cf. Jean-Samuel Beuscart, Dominique Cardon, Nicolas Pissard et Christophe Prieur, “Pourquoi partager mes photos de vacances avec des inconnus? Les usages de Flickr”, Réseaux, no 154, 2, 2009, p. 91-129. [↩]
  6. Ibid., p. 94. [↩]
  7. Secondo una indagine TNS Sofres del giugno scorso, il 55% degli utenti di Facebook di lingua francese dichiarano di aver ‘’likato’’ una foto. Cf. Jean-Luc Raymond, “Photos publiées sur les réseaux sociaux: pratiques des internautes et mobinautes en France“, NetPublic, 13 luglio 2012. [↩]
  8. Il principale concorrente di Apple nel settore degli smartphone, Samsung, ha proposto quest’ anno le prime “smart cameras” equipaggiate con un meccanismo di wifi, la gamma ibrida NX e la compact  expert EX2F. [↩]
  9. Cf. Patrick Moll, “Idée fausse n° 7: le smartphone est-il l’avenir de la photo?“, Alpha-numérique, 30 dicembre 2011. [↩]
  10. Cf. “La candidature Sarkozy? Un mème qui fait plouf“, L’Atelier des icônes, 17 febbraio 2012; “Hollande/Depardon, le baptême du mème“, L’Atelier des icônes, 5 giugno 2012. [↩]