L’ ultimo è stato La Tribune, quotidiano economico-finanziario francese, che da lunedì vive solo sull’ online.
‘’Un giornale di carta che sparisce è sempre un momento tragico : la fine di un mondo, la sensazione di un’ epoca che finisce. Ma dopo la carta bisogna che il futuro ci sia: più che il canto del cigno allora può essere il volo della fenice”
Così scrive Benoit Raphael, sul suo blog La social Newsroom, un articolo di cui vi proponiamo la traduzione.
“La Tribune vous salue bienâ€â€¦chant du cygne ou du phénix ?
di Benoit Raphael
Un giornale di carta che sparisce è sempre un momento tragico : la fine di un mondo, la sensazione di un’ epoca che finisce.
Certo, anche più concretamente comporta il licenziamento del 70% dei dipendenti, che si sono ritrovati lunedì sera gettati sul mercato del lavoro. La morte di un giornale di carta è sempre triste. E’ un simbolo. Un legame sociale che per una intera generazioni di lettori è senz’ altro più tangibile di un sito internet. Per i più giovani, probabilmente, la sua scomparsa passerà quasi inosservata. Quella pagina lì l’ hanno già girata.
L’ ultima prima pagina della Tribune genera questa emozione ma anche l’ angoscia del nulla: carta che brucia. “La Tribune vous salue bienâ€. Non si sa se si tratta di un arrivederci. L’ immagine, con la sua atmosfera cupa, somiglia più a un addio. La carta che muore è un po’ come un corpo che muore. E’ già la morte, se si sta alle cronache che hanno scandito la fine del quotidiano cartaceo. Esse ne parlano già al passato, evocano la morte, la fine, il vuoto lasciato come una ferita nel pluralismo dell’ informazione.
C’ è vita dopo la carta?
Ma sì. Bisogna che ci sia. Altrimenti è la democrazia che naufraga. Anche se è vero che la Tribune imbocca la sua nuova vita digitale con molti handicap: una redazione ridotta, una copertura finanziaria molto sottile. Di fronte al mastodonte degli Echos, che investe massicciamente sul digitale, la Tribune si appresta a riscrivere la storia di Davide contro Golia. Non è una condanna a morte. E’ una sfida. C’ è un po’, un molto anzi, di sovrumano in questa guerra. Perché non ci sono che svantaggi.
1) La Tribune è con le spalle al muro. Una situazione eccezionale che la obbliga a fare delle scelte dure e a concentrarsi sul digitale.
2) L’ acquisizione da parte del tandem France Economie Régions (FER) e Hi-Media è senza dubbio la migliore via d’ uscita: un ancoraggio nell’ informazione economica e una esperienza di monetizzazione digitale.
3) Il futuro si giocherà sul mobile: la possibilità di ripartire da zero può consentire di prendere poi il largo per bene. L’ audience a cui si rivolge la nuova Tribune è sicuramente una delle popolazioni meglio attrezzate in tecnologie da nomadi (mobile e tablet). Quel mondo attende ancora un organo di informazione economica interamente pensata per il consumo in mobilità . La Tribune dovrà pensare mobile prima ancora che web.
4) Questo nuovo medium dovrà adattarsi a dei nuovi ritmi e a dei nuovi formati, ma senza abbandonare l’ eccellenza giornalistica. Il futuro è il contenuto, prima che il digitale. E’ prima di tutto studiare valore aggiunto e valore d’ uso, impegno, analisi, qualità giornalistica, comunità , link (curation) e personalizzazione.
5) I modelli economici sono ancora fragile, anche se sperimentati, specialmente negli Stati Uniti: settimanale su carta, servizi a pagamento, pubblicità , operazioni speciali, eventi, e-book… Quando il marchio è forte e fa autorevolezza è più facile sviluppare un business attorno alla sua bandiera. Soprattutto nel settore dell’ informazione economica. Se il digitale viene immaginato come il cuore della macchina, può essere un potente strumento di marketing.
E quindi, quando leggo varie testimonianze parlare della Tribune al passato, come se la testata fosse morta, mi viene voglia di dire: ‘’Non ancora’’. Vorrei vedere di vedere nelle fiamme implacabili di quest’ ultima Prima pagina, il contorno della Fenice. E vorrei citare René Daumal, di cui per caso ho scoperto ieri questa citazione ammirevole, ritrovata da Mathieu Terence :
“Sono morto perché non desidero; non desidero perché credo di possedere; credo di possedere perché non ho voglia di dare; cercando di dare, vedo che non ricevo nulla; vedendo che non ricevo nulla, cerco di darmi; cercando di darmi vedo che non sono niente; vedendo di non essere niente, cerco di divenire; cercando di divenire, io vivo’’.