di Pino Bruno
Provo a immaginare la scena. Qualche pseudo guru digitale deve aver detto al sindaco o all’assessore o al ministro: “sa, adesso gli open data sono molto trendy, non possiamo non avere anche noi un portale. Quegli altri ce l’hanno già â€. E giù a scimmiottare, a mettere in linea qualche informazione in croce, semmai quelle vecchie, superate, indolori, che non servono a nessuno, difficili da gestire, riutilizzare e incrociare. L’importante è apparire, non essere.
D’altronde in Italia non è un obbligo, essere trasparenti. Lo sarà – forse – quando l’Agenda digitale italiana diventerà cosa concreta. E, comunque, siamo ben lontani dal riconoscimento del diritto all’informazione, con l’introduzione di una legge sul Freedom of Information simile a quella in vigore negli Stati Uniti dal 1966 (FOIA), da tempo esistente negli altri paesi democratici.
Leggo, sull’ottimo sito che racconta le iniziative di chi si batte per un FOIA italiano:
“Un confronto tra la nostra legge (241/1990) e quelle in vigore negli altri paesi europei e in USA, mostra il ritardo dell’Italia dal punto di vista sia culturale sia legislativo, per quanto riguarda i diritti del cittadino. La nostra legge è infatti l’unica in Europa a subordinare la richiesta della documentazione della pubblica amministrazione a un interesse diretto del singolo cittadino, e ad escludere esplicitamente la possibilità di un suo utilizzo come mezzo di controllo generalizzato sulla pubblica amministrazione.
Nonostante il principio della “accessibilità totale†sia stato introdotto nella normativa italiana vigente (Legge 15/2009; 150/2009; 183/2010), esso resta appunto soltanto una mera affermazione di principio, non in grado di vincolare la pubblica amministrazione attraverso, ad esempio, un sistema di obbligo-sanzione.
In Europa e negli USA, al contrario, il diritto all’accesso è garantito a chiunque indipendentemente da ogni specifico interesse, e diventa quindi un vero e proprio strumento di controllo dell’attività amministrativa (esplicitamente esclusa dalle modifiche approvate alla legge italiana sulla trasparenza nel 2005) e di partecipazione dei cittadini ai meccanismi decisionaliâ€.
Direte voi, cosa c’entrano i posacenere di Bordeaux? Un sacco. Quella della città francese è una best practice, un esempio avanzato di open data. Perché si comincia con i cendrier e poi si entra nel cuore della pubblica amministrazione, le si fanno i conti in tasca, si capisce dove ha operato bene e dove ha fatto buchi nell’acqua con i soldi dei cittadini.
Gli open data, insomma, possono far male a chi non sa gestire la cosa pubblica.