Continua ad avere ampia risonanza internazionale l’ operazione con cui Warren Buffett, miliardario statunitense, ha acquistato 63 quotidiani locali del gruppo Media General per 142 milioni di dollari, e decidendo di investire nel gruppo altri 445 milioni di dollari.
Se qualcuno ne ha parlato in termini relativamente positivi sottolineando che ‘’ nella sua lettera di comunicazione ufficiale agli editori e redattori dei giornali del gruppo Buffett descrive questa sua attività in termini di fiducia, impegno, sviluppo’’ (mentre molti,come Clay Shirky, sono stati fortemente critici nei cionfronri di questa operazione), su Ru89 questa iniziativa viene vista come ‘’sintomo di un inquietante movimento che trasforma le più prestigiose testate della stampa quotidiana … in ‘ballerine’ per miliardari in crisi di influenza’’.
Non, les journaux ne sont pas condamnés à devenir des « danseuses » de milliardaires
di Julia Cagé
( Ru89)
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(…) La transazione annunciata da Buffett – racconta Julia Cagé (che fa l’ economista di professione) – fa di una impresa di investimenti, specializzata non nei media ma in assicurazioni e finanza(ha appena investito 5 miliardi di dollari in Bank of America),  agroalimentare, tessile ed energia, uno dei principali gruppi editoriali americani.
Pericolosa mescolanza di generi… (in Italia ne sappiamo qualcosa, ndr). I giornali – commenta Cagé – sarebbero quindi condannati immancabilmente a cadere nelle mani di industriali di cui la stampa non è l’ attività principale, a perdere il controllo della loro gestione e a veder minacciata la propria indipendenza editoriale?
All’ indomani della seconda guerra mondiale – ricorda l’ economista – in Francia era stata accarezzata l’ idea di una stampa indipendente dalla potenza del danaro. Erano nate nuove forme di organizzazione. Fono al 2009, ad esempio,  La Nouvelle République du Centre-Ouest è stata una società anonima a partecipazione operaia. Fino al 2008, L’Yonne républicaine è stata una società cooperativa di produzione. Così come il Courrier picard fino al 2009. E I giornalisti di le Monde erano ancora fino a poco fa gli azionisti di riferimento del loro giornale.
Ma il sogno non è durato. La recente acquisizione di le Monde (che ormai non ha più una maggioranza non di capitale), l’ épisodio Buffett, il controllo di una parte crescente dei media francesi da parte di industriali, come Lagardère o Dassault, ci ricordano che se non si fa qualcosa rapidamente, tutte le testate della stampa francese sono condannate a diventare proprietà di gruppi industriali che non hanno la stampa come loro principale attività , con rischi per la libertà di informazione e la certezza dei finanziamenti.
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L’ equilibrio economico
Ma questa situazione non è inevitabile, anche se ha dalla sua una condizione importante come quella della redditività . Per conservare la sua indipendenza un giornale deve essere economicamente solido perché dal momento in cui non fosse più è condannato a scegliere a quale capitalista vendersi, come è accaduto per leMonde.
Il problema è quindi molto chiaro: come rendere sostenibile economicamente la stampa in un contesto di erosione del numero dei lettori e di declino inesorabile dei ricavi pubblicitari? E’ qui che lo Stato può giocare il suo ruolo, attraverso i contributi alla stampa, che non devono solo essere completamente rivisti ma anche resi costanti.
Lo Stato francese nel 2011 ha destinato quasi 800 milioni di euro di aiuti alla stampa* (che globalmente raggiunge un fatturato di 3,4 miliardi di euro, di cui 2,2 vengono dalle vendite e 1,2 dalla pubblicità ), in modo poco trasparente e con un successo mitigato dal fatto che le testate, nell’ incertezza sul futuro dei contributi, non hanno fatto gli investimenti che erano necessari.
L’ ideale sarebbe sostituire a quello attuale un sistema che sovvenzionasse al 50% l’ acquisto del giornale: per ogni copia acquistata a 1 euro dal cittadino, lo Stato verserebbe 50 centesimi al giornale. Cosa che garantirebbe trasparenza del sistema, neutralità dell’ intervento pubblico e sicurezza per le testate.
Il costo di una tale misura sarebbe di circa 1,1 miliardi di euro per l’ insieme della stampa quotidiana, con un aumento, in pratica, del 30% rispetto all’ attuale livello di aiuti. Ma permetterebbe di garantire una redditività finanziaria ai quotidiani che ne assicurerebbe l’ indipendenza consentendo loro di conservare il controllo dei poteri di gestione.
Favorire i doni dei lettori
Per regolare poi il problema di quei giornali che hanno già perso questo controllo a vantaggio di capitalisti esterni e in particolare di quelle testate nelle mani di aziende che dipendono prevalentemente da commesse statali, questa riforma dovrebbe comportare un secondo volano.
Lo Stato non ha nessuna ragione di sovvenzionare le perdite nel campo editoriale di quegli industriali che guadagnano negli altri settori di attività guadagnano quello con cui ‘’comprano’’ i loro strumenti di influenza. Lo Stato dovrebbe quindi favorire quei giornali che non hanno azionisti esterni di maggioranza (quelli cioè in cui la maggioranza del capitale è posseduto da delle società di redattori, impiegati o lettori), modulando in maniera trasparente la sovvenzione versata per ogni copia venduta in funzione del grado di indipendenza finanziaria delle varie testate.
Lo Stato, inoltre, potrebbe favorire i contributi versati dai lettori e dai giornalisti alla stampa nel quadro della legge del 4 agosto 2008 (modernizzazione dell’ economia), che ha aperto in Francia la possibilità di creare dei fondi di dotazione.
Le società di lettori, come le società di redattori, potrebbero dotarsi di fondi di dotazione collegati ai giornali, a cui potrebbe essere associato un sistema originale di deduzioni fiscali: i doni fatti a questi fondi di dotazione non dovrebbero beneficiare del 60% di riduzioni di imposte oggi collegate alle somme versate dai donatori (legge Aillagon), ma lo Stato verserebbe direttamente una somma pari a quelle deduzioni d’ imposta i fondi del settore della stampa scritta, sul modello del sistema inglese  del ‘’Gift Aid’’.
Questo sistema permetterebbe di aumentare I fondi propri dei giornali piuttosto che fare dei regali fiscali e potrebbe essere riservato ai soli giornali in cui l’ azionista di maggioranza non è esterno alla testate.
Con un tale riforma del sistema di contributi alla stampa, i giornali sarebbero incitati a trovare dei nuovi lettori piuttosto che a fare la danza del ventre davanti agli inserzionisti e ad eventuali investitori.
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* In Italia 150 milioni di euro solo di aiuti diretti nel 2011, secondo  Ilfattoquotidiano.it; più un fiume di contributi ‘’indiretti – sconti su servizi postali, credito di imposta, Iva agevolata e forfetizzata sulle rese – difficile da quantificare).