Le auspica Jerry Lanson,professore di giornalismo all’ Emerson College, in un articolo sull’ Huffington Post in cui sottolinea l’ importanza di una politica che regoli l’utilizzo di twitter nelle redazioni – Ricordando però che, alla fine, basterebbe ricorrere alle regole deontologiche di base della professione: verifica e controllo – Certo, non si possono trascurare le centinaia di voci che girano in rete, ma questo, tuttavia, non deve significare che i giornalisti debbano contribuire alla confusione
Media Need to Establish Clear Ethics Codes on Using, Posting Tweets
di Jerry Lanson
(traduzione a cura di Claudia Dani)
Aspetta un attimo prima di ri-twittare questo pezzo.
Non lo segnalare subito sul tuo sito prima di aver controllato se sono davvero colui che affermo di essere.
Che sono un professore e non un ciarlatano. Che i miei link sono reali. Che non ho creato questo  – interamente – attribuendolo a fonti anonime che pensavano di aver afferrato qualcosa in giro.
Twitter è stato elogiato per aver contribuito a dare notizie di vicende importanti come la primavera araba e l’omicidio Trayvon Martin, fino alle atrocità della Siria. È uno strumento potente.
Ma lungo la strada, Twitter ha condotto il giornalismo anche a far fronte alle sue proprie atrocità , o almeno ai suoi disastri. Il suo uso da parte di siti ritenuti affidabili, di giornalisti e autori professionisti a volte risulta talmente alterato, quanto lo era stato l’ inasprimento della legge al tempo dell’ OK Corral.
L’ ultimo grande errore, come riporta il New York Times qualche giorno fa , è avvenuto quando alcuni “vecchi e venerabili media” (CBS News e Washington Post) si sono uniti all’ Huffington Post e ad altri nella corsa a pubblicare una falsa voce sul Governatore del South Carolina, Nikki Haley, sostenendo che era sotto accusato di frode fiscale.
Il Times ha notato che la fonte era
… un blogger di area liberal, di 25 anni, desideroso di farsi un nome per il suo nuovo sito Web e in cerca di polemiche politiche, che ha puntato dritto a twitter come luogo primario in cui dare le notizie.
Guardando all’ indietro, vi erano evidenti ragioni per dubitare del post del 29 marzo, pubblicato su  un blog intitiolato Public Record Palmetto … L’autore del blog, Logan Smith, non ha mai chiesto all’ufficio del governatore un commento prima di postare la notizia. Più tardi, in una e-mail, Smith ha affermato di non poter essere sicuro che le sue fonti fossero corrette.
Vergogna per il blogger. Ma ancora di più per le redazioni la cui professionalità si fonda – o dovrebbe – sulla verifica dei fatti e la relativa pubblicazione solo di ciò che è vero.
Questo sicuramente non è stato fatto. La timeline del Times riporta che due minuti dopo che Smith ha pubblicato il titolo “Imminente atto d’ accusa per Haley” – basandosi su due non identificati ma “ben addentro esperti giudiziari” – un blogger del quotidiano Washington The Hill lo aveva riportato su Twitter. Nove minuti più tardi, The Daily Beast  aveva pubblicato un pezzo. Venti minuti dopo, il Washington Post. Ed ecco partire il diluvio di chiamate all’ ufficio di Haley.
Già da sola questa aberrazione sarebbe abbastanza imbarazzante per il giornalismo, il cui futuro come attività professionale si basa in misura significativa sul valore che può fornire a lettori e spettatori al di là della gran quantità di pettegolezzi che si possono trovare su YouTube, Twitter, sulla blogosfera e grazie al cosiddetto ‘citizen journalism’.
Ma ciò è tutt’ altro che una orribile aberrazione isolata.
Scrive il Times: “Questo episodio non è il primo in cui una notizia discutibile, ripresa da un tweet, ha creato un caso nella campagna per le elezioni del 2012â€.
E la politica nazionale non è l’ ultimo angolino del mercato giornalistico. Io insegno etica del giornalismo, e gli usi discutibili o di cattivo gusto di Twitter sono diventati un tema ricorrente del mio corso.
1. Il 20 gennaio, il Poynter Institute ha raccontato la storia di un redattore del California Watch  che aveva twittato alcune affermazioni sentite fare, nel corso di una conversazione,  da una donna che era per “il 99 per cento ” una consigliera della città di Santa Ana. Alla fonte non aveva chiesto né la conferma né un commento.
2. Ai primi di febbraio, CNN  ha sospeso  un collaboratore, Roland Martin, che egli aveva scritto tweet omofobici durante il Super Bowl; e Poynter ha segnalato la cosa.
3. Una settimana dopo, Jim Romenesko ha riferito che Jason Whitlock, inviato di Fox Sports, aveva riportato in un post uno stereotipo sugli americani di origine asiatica dopo che il giocatore Jeremy Lin, un bravissimo playmaker, aveva portato i New York Knicks alla vittoria. In una lettera a Whitlock, l’ Asian-American Journalists Association  scriveva:  “Il tentativo di umorismo … mostra come alcuni gruppi mediatici non siano in grado di controllare adeguatamente le buffonate dei loro rappresentanti “.
L’elenco potrebbe continuare ancora. E sorge, quindi la domanda: Perché?
Quando si tratta di questioni quali un plagio o un conflitto di interesse, la maggior parte delle redazioni è chiara: nessuna ‘coperta politica’ per chi sbaglia – non va fatto. Non rubare il lavoro altrui… non appoggiare i candidati presidenziali.
Ma le regole per Twitter sono più oscure. Ad esempio, il codice etico del New York Times, pubblicato on-line in 139 punti, ha un’intera sezione dedicata ai blog, ma nulla su Twitter. D’ altronde questa policy è datata ottobre 2005.
Il nuovo codice Etico di NPR , presentato a febbraio, include una sezione speciale per i social media. E consiglia ai giornalisti di comportarsi online nella stessa maniera con cui tutti i redattori di NPR si comportano in qualsiasi altra circostanza pubblica …. bisogna verificare le informazioni prima di passarle.
Mi sembra un buon consiglio. Anche se poi NPR sembra suggerire che ciò non sempre accade:
Un elemento chiave è essere trasparenti su ciò che si fa. Diciamo ai lettori ciò che è stato confermato e ciò che non lo è stato. (…) Solleviamo dubbi e poniamo domande quando abbiamo delle incertezze … E poniamoci sempre una domanda importante: sono in procinto di diffondere una semplice voce, o sto passando informazioni preziose e credibili (anche se non verificate) in modo trasparente con gli avvertimenti del caso?
Io, per esempio, preferisco porre l’ enfasi sulla verifica piuttosto che sulle voci, affermando che può o non può essere vero. Ma in un’ epoca in cui milioni di americani credono ancora che il nostro presidente sia un musulmano nato in Kenya – e no, non lo è -, anche i più affidabili siti non possono sempre ignorare tutto il vortice di voci e di rumors che sono in rete.
Ciò non significa, tuttavia, che i giornalisti debbano contribuire alla confusione. Le redazioni hanno bisogno di codici etici che sottolineino l’ importanza di essere nel giusto, e non l’ essere i primi a dare la notizia. E che la prima responsabilità di un giornalista è quella di controllare le cose – prima di dare le notizie. Hanno bisogno di linee guida su come verificare la veridicità dei tweet.
Così, forse il mio nome è Ernie e sono un dentista.
Non bisogna credere a quello che si legge solo perché è stampato.