Un giornale radio realizzato interamente nel carcere di Bollate.  Nell’ ultimo numero di carteBollate, la rivista nata all’ interno del carcere milanese, un dossier fa il punto sulla nuova esperienza,  iniziata a gennaio di quest’ anno.
Diventati radiocronisti per caso i detenuti-redattori di carteBollate hanno condotto un GR che è andato in onda tutte le domeniche sulle frequenze di Radiopopolare e che è stato ripreso da Rai Uno.
Maria Itri, giornalista radiofonica che ha coordinato questa attività , collaboratrice di Lsdi, spiega le emozioni di questa lunga avventura: ‘’per raccontare un mondo come quello del carcere non c’è uno strumenÂto migliore della radio’’
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di Maria Itri
Un giornale radio fatto per inteÂro in carcere: quando lo scorso autunno ho ricevuto la proposta di aiutare, con William Beccaro, Susanna Ripamonti e Tilde Napoleone, la redazione di carteBollate e l’associaÂzione Antigone in questa nuova avvenÂtura, ho avuto tanti dubbi e perplessità . Cinque o sei minuti di radio possono sembrare pochi per chi ascolta, ma in realtà sono uno spazio enorme. RiemÂpirlo con argomenti interessanti, con un giusto ritmo e con una qualità buona per la messa in onda è un lavoro difficilissiÂmo.
Sapevo però che c’era un punto di forza in questo progetto: la radio è uno dei mezzi più entusiasmanti che esistaÂno e creare da zero una puntata intera può essere davvero divertente. E poi, una trasmissione radio permette di fare arrivare all’ascoltatore una delle cose più intime che abbiamo, la nostra voce, con le sue incertezze, le emozioni, le paure e la forza. Per raccontare un mondo come quello del carcere non c’è uno strumenÂto migliore.
Ogni settimana decidevamo insieme l’arÂgomento della puntata. Abbiamo parlato di tanti temi: l’affettività , il rapporto con i figli, il lavoro, la quotidianità . Abbiamo raccontato le iniziative che in questi mesi sono nate a Bollate. Tutto con l’obiettivo di aprire un canale con l’esterno, per far conoscere quello che realmente succede dietro le sbarre al mondo “fuoriâ€, sfatanÂdo pregiudizi e leggende, e parlando dei problemi reali e profondi dei detenuti. La parte più complicata era quella della costruzione della puntata: i detenuti non possono usare gli strumenti che i giornaÂlisti “fuori†hanno a disposizione, come il telefono e Internet. Tutti gli interlocutori dovevano essere avvicinabili in carcere, quindi le interviste andavano fatte ai deÂtenuti o al personale che a vario titolo lavora o gravita su Bollate.
La sorpresa più grande sono stati proÂprio i detenuti-redattori: sempre preÂcisi, professionali, curiosi. Si sono apÂpassionati alla radio immediatamente. Abbiamo cercato di dividere i compiti, creando delle professionalità diverse. Fondamentali sono stati i montatori: Fabio, Noureddin, Alessandro e MicheÂle, che si sono alternati al montaggio, sono stati straordinari. Montare un GR è fondamentale: sbagliare in questa fase significa mettere a rischio tutto il lavoro dei compagni. Un buon montaggio non richiede solo precisione, ma anche creaÂtività , fantasia e ritmo.
E quante discusÂsioni per stabilire se usare o no come tappeto sonoro la musica! Per fortuna sono stati velocissimi a imparare a usare i programmi di montaggio, e quando due di loro sono usciti dal carcere abbiamo subito trovato dei sostituti all’altezza. Ci sono stati poi i redattori: Francesco, Maurizio, Giancarlo, che si sono rivelati degli straordinari conduttori radiofonici, e con loro Stefano, Rosario, Enrico. SiaÂmo riusciti a passare in pochi mesi e con qualche difficoltà da una conduzione in stile Radio Maria a una lettura più viÂvace e briosa.
Tra i tanti momenti emozionanti ricordo la preparazione della puntata speciale per una trasmissione che ci è stata chieÂsta da Radio Uno Rai sui suicidi. Tutti hanno lavorato moltissimo, e il risultato è stato sorprendente. Quando l’abbiaÂmo ascoltata tutti insieme, prima della messa in onda, ci siamo sentiti una vera redazione. Ma soprattutto abbiamo capiÂto che eravamo riusciti a far passare un messaggio importante, che per la prima volta arrivava dal cuore del carcere.
Ci sono stati anche momenti difficili: come ogni redazione che si rispetti abÂbiamo spesso lavorato sul filo dei minuti, con la chiusura che incombeva. AbbiaÂmo gestito anche qualche incomprensioÂne, sempre risolta con una discussione sincera. Abbiamo lavorato in una strutÂtura aperta a queste esperienze come Bollate, ma pur sempre in carcere: con tempi stretti e possibilità di movimento limitata.
Per me non è stata la prima esperienza in prigione: per lavoro avevo frequentato altri istituti, come Padova, San Vittore, Cremona. È stata però la prima volta in cui ho costruito un rapporto più duÂraturo con i detenuti, e in cui mi sono confrontata con una realtà così dura. In questi mesi mi è venuta spesso in mente una frase sentita nel carcere di Padova: i detenuti sono persone, non reati che camminano. Qualche volta preparando le puntate del GR mi è capitato di parÂlare con i miei colleghi detenuti dei loro problemi: il rapporto con i figli e la famiÂglia, lo smarrimento di chi aveva una vita “normale†e si è ritrovato dietro le sbarre, o al contrario il disagio di chi ha trascorso una vita continuamente dentro e fuori. Chi ha sbagliato e ha fatto un percorso importante dentro di sé, chi sta scontanÂdo la pena in un paese straniero, chi non vede l’ora di ricominciare e chi ha paura.
Per questo è importante, credo, avere portato fuori dal carcere queste voci. Avere raccontato senza mediazioni, con la voce dei detenuti, una realtà – quelÂla del carcere – che non è fatta solo di disperazione ma deve essere di speranÂza. Avere legato a doppio filo il mondo di dentro e quello di fuori, perché non si tratta di due realtà distanti e separate, come molti vogliono far credere, ma di una sola, la nostra.
Appuntamento alla prossima stagione!