Dall’ Egitto alla Turchia: otto tratti comuni nelle proteste via social media
Il digitale non è certo la causa delle rivoluzioni, non l’ unica, ma quando si sviluppino determinate condizioni, il web sociale può dare luogo a proteste di massa secondo modalità che sono oramai ricorrenti.
Le ha individuate e descritte Zeynep Tufekci, una tra le migliori studiose dell’intersezione tra Internet, società e politica al mondo e turca di nascita, ‘’in un lungo e bellissimo post (Is there a Social-Media Fueled Protest Style? An Analysis from #Jan25 to #geziparki) sul ruolo giocato da Facebook e Twitter rispetto a quanto sta accadendo nel suo Paese’’, come scrive Fabio Chusi sul suo blog.
Consentendoci – aggiunge – di tracciare un primo profilo fatto di otto elementi comuni (da Tahrir alla Tunisia, dagli Indignados a Occupy passando per la Grecia) del social media-style of protest.
Questi gli otto tratti distintivi, secondo la sociologa americana:
- Mancanza di leadership organizzata
- Sensazione di una mancanza di sfogo istituzionale
- Partecipazione di non-attivisti
- Rottura dell’ignoranza pluralista
- Organizzazione intorno a un ‘no’
- Attenzione esterna
- Social media strutturano la storia
- Non facilmente controllabile.
Fabio Chiusi riporta un’ ampia sintesi delle argomentazioni relative a ciascun punto. Un’ analisi molto interessante dei meccanismi che hanno determinato l’ andamento delle manifestazioni da #gen25 (Egitto, 2011) a #geziparki.
Il lavoro di traduzione e commento di Chiusi è stato segnalato da Nicola Bruno che, su Meet the media guru, ricorda come molti di questi tratti si trovino elencati anche nell’ultimo saggio di Manuel Castells Reti di indignazione e speranza (Egea). Il sociologo spagnolo ne ha parlato a lungo durante l’incontro di MtMG dello scorso novembre, ricorda Bruno che fornisce il link alla lecture integrale e al live-coverage dell’ evento.