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Data Journalism tra manuali, tutorial e mappe che cambiano il mondo

Miguel Paz, fondatore del sito Web cileno Poderopedia, ha lanciato un appello collettivo a collaborare per la scrittura di un Data Journalism Handbook ibero-americano, sulla scia di quello già pubblicato su iniziativa dell’ European Journalism Centre e della Open Knowledge Foundation. Il nuovo manuale, che sarà pubblicato in spagnolo e probabilmente tradotto anche in portoghese, includerà linee guida e tutorial, e affronterà  temi quali la sicurezza e la ciber-sicurezza, la normativa sui media, l’accesso alle informazioni e la trasparenza in ciascuno dei  paesi del continente.

 

di Andrea Fama

 

Sempre in materia di data journalism, Simon Rogers, curatore del Data Blog del Guardian, ha pubblicato Facts are Sacred, un volume in difesa del DJ che raccoglie casi pratici e spiega l’importanza dei dati nei media odierni, dall’elaborazione di fogli di calcolo altrimenti difficilmente gestibili alla presentazione di infografiche immediate ed accattivanti. Con un’avvertenza: come tutte le forme di giornalismo, il DJ funziona solo se i data-giornalisti comprendono appieno e responsabilmente le storie che scrivono: distillare grandi quantità di dati attraverso splendide tabelle è inutile se le informazioni convogliate non hanno valore e non sono puntuali.

 

Quest’ultima osservazione (un po’ scontata, ma da tenere sempre a mente) rimanda a un’altra considerazione centrale quando si parla di DJ: ciò che conta non è la grandezza delle banche dati utilizzate, ma le storie che si nascondono dietro quelle informazioni.

 

A ricordarcelo è anche James Grimaldi, reporter investigativo del Wall Street Journal, secondo cui “a volte sono i dati stessi ad essere una storia, sebbene bisogna sempre dare agli utenti un motivo per leggerla qualora si voglia conquistare la loro attenzione. E l’uso migliore che si possa fare dei dati è quello di un punto di partenza per raccontare storie umane più profonde”, come l’inchiesta del Washington Post sulla vendita di armi e i dati sulla criminalità: una volta mappata l’origine delle armi usate nello stato a scopi criminali, i giornalisti hanno trascorso mesi intervistando le persone coinvolte in tali crimini. (Si veda anche il concetto di umanizzazione del dato più volte proposto da Paul Bradshaw e riportato anche nel nostro e-book)

 

A proposito di storie raccontate con i dati, ve ne sono alcune così importanti da cambiare il mondo. È il caso, recentemente riportato dal Guardian, della mappa del colera pubblicata dal medico inglese John Snow nel 1850 in occasione dell’epidemia che colpì Londra. Il suo lavoro è antesignano, sia nel merito che nel metodo, di una tecnica molto usata nel giornalismo dei dati: mappare i dati in esame geolocalizzandoli e quantificandoli visivamente. Un precursore, insomma, come fu anche la storica infermiera Florence Nightingale con i suoi grafici a torta relativi alle morti di malaria e colera durante la guerra di Crimea.

 

Il fatto che alcune tendenze base del data journalism siano state anticipate dal lavoro di due medici in circostanze di emergenza è probabilmente indicativo di un’altra caratteristica tipica del DJ, ovvero quella di un giornalismo “di servizio” il cui prodotto finale è anche uno strumento pratico, oltre che informativo, nelle mani del lettore/utente.

 

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Alcune segnalazioni:

 

-  QUI quattro utili video tutorial introduttivi al data journalism

-  QUI i dati topografici di 45 paesi e territori europei rilasciati da EuroGlobalMap

 

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