Fotogiornalismo. WPP, dalla questione del ‘’ritocco’’ alla dialettica trauma/ icona
A conclusione di uno dei suoi articoli sulle polemiche sollevate dalle ultime edizioni del Premio World Press Photo (ne avevamo parlato qui), André Gunthert aveva posto una domanda chiave : “Piuttosto che alimentare il solito dibattito sul ritocco, non sarebbe il momento di riflettere sul carattere stereotipato del ‘lirismo’’ fotogiornalistico o anche sul problema sollevato dalla reiterazione di queste immagini tanto dolorose quanto manifestamente inefficaci?’’.
In effetti, dice Olivier Beuvelet su Culture Visuelle, spostare la discussione sulla questione della dimensione ‘’pittorica’’ delle immagini premiate permetterebbe di mettere in luce un punto essenziale del funzionamento di questi emblemi del fotogiornalismo : la dialettica del trauma e dell’ icona.
Beuvelet rivisita l’ insieme dei primi premi WPP e scopre che la maggior parte delle immagini scelte come emblematiche di un anno di fotogiornalismo sono costruite attorno a un trauma e tendono in certe occasioni a diventare delle icone, prendendo da questo trauma una ‘’distanza attraverso alcune varianti formali di motivi identificabili’’ oppure basandosi sull’ espressività lirica dei soggetti, soprattutto mettendo in scena la sofferenza stessa, la traumatizzazione dopo il trauma stesso.
Ecco ampi brani delle sue riflessioni.
Esthétique du World Press Photo : la preuve par le trauma…
(…)
La vera domanda da porre al World Press Photo non è (…) quella comunemente sollevata in questi giorni sulla autenticità illusoria dell’ immagine fotografica a partire dalla pratica del ‘’ritocco’’, ma piuttosto quella relativa al suo gusto molto pronunciato per il trauma, per le immagini ‘schock’, violente a vari gradi. E’ questa estetica del trauma, del momento in cui il reale entra in collisione con la sfera psichica senza essere preparato, attraverso una effrazione (trauma vuol dire ferita, viene da una parola greca che significa penetrare, è una ferita con lacerazione), senza elaborazione né codice, che vorrei porre qui…
Perché il WPP sceglie come emblema annuale del lavoro del fotogiornalista delle fotografie che funzionano con il meccanismo del trauma ? Ed è osservabile una evoluzione estetica che lo riguarda ?
Se l’ immagine traumatica è tanto apprezzata e premiata dal fotogiornalismo, al di là di una giustificazione per l’ emozione e l’ effetto commerciale ricercato, allora va detto che anche il modo di funzionamento del trauma è di natura tale da mettere in gioco le nozioni stesse di apertura, di impronta e di indizialità (verità fotografica/trasparenza pura/oggettività ) su cui si basa tutto l’ edificio del fotogiornalismo. Come lo formula in maniera luminosa e naive nella sua sincerità , il fotografo, lui stesso premiato da WPP nel 1981, Alain Mingam : ‘’La foto giornalistica deve restare una certificazione della verità ’’.
E’ proprio su questo assioma che tutto si basa. E per certificare questa verità bisogna che l’ immagine fotografica sia pura denotazione, che essa rinvii direttamente, in quanto messaggio senza codice, senza connotazione culturale, senza formulazione, al reale che l’ ha ‘’shockata’’, che si è profondamente impresso dentro di essa. Una buona foto è un trauma per la pellicola e uno shock (Paris Match) per colui che la guarda…
Roland Barthes lo formula così nel suo primo articolo sulla fotografia nel 1961, “Le message photographiqueâ€Â :
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 ‘’…il trauma è precisamente ciò che sospende il linguaggio e blocca la significazione. Certo, delle situazioni normalmente traumatiche possono essere raggiunte in un processo di significazione fotografica ; ma proprio allora vengono segnalate attraverso un codice retorico che le allontana, le sublima, le placa. Le fotografie realmente traumatiche sono rare perché , in fotografia, il trauma è totalmente tributario della certezza che la scena ha avuto realmente luogo : ci sarebbe stato bisogno che il fotografo fosse davvero là (è la definizione mitica della denotazione) ; ma ciò posto (cosa che, va detto, è già una connotazione), la foto traumatica (incendi, naufragi, catastrofi, morti violente, presi ‘’dal vivo’’) è quella di cui non c’ è niente da dire ; la foto-shock è per sua natura insignificante : nessun valore, nessun sapere, al limite nessuna categorizzazione verbale possono aver presa sul processo istituzionale della significazione. Si potrebbe immaginare una sorta di legge : più il trauma è diretto, più la connotazione è difficile ; o, ancora : l’ effetto ‘’mitologico’’ di una fotografia è inversamente proporzionale al suo effetto traumatico’’. Â
Per “effetto mitologico’’ bisogna intendere qui ciò che oggi si designa con il termine di icona (dimensione narrativa e stereotipia delle forme). Ecco che abbiamo formulato la dialettica del trauma e dell’ icona e che possiamo intendere l’ immagine traumatica come quella che ‘’penetra’’, che fende la superficie, con tutto quello che ad essa si rapporta in termini di motivi e forme culturali, per cogliere nel vivo.
Se si guardano le prime foto che hanno vinto il World Press Photo, ci si trova di fronte a delle immagini traumatiche pure. La prima, nel 1955, rappresenta un incidente motociclistico accaduto durante una gara : il fotografo, Mogens Von Haven, apparentemente, ha il solo merito di essere stato là al momento giusto e di aver avuto un buon riflesso : quella prima immagine-emblema pone le basi del principio traumatico che presiederà all’ attribuzione dei premi.
La seconda, nel 1956, di Helmuth Pirath, più dolce in apparenza, mostra il trauma vissuto da un bambino che rivede suo padre, prigioniero di guerra tedesco appena liberato dai sovietici, dopo 11 anni… lo shock affettivo è colto nel vivo.
La terza, 1958, di Douglas Martin, mostra una scena di umiliazione traumatizzante vissuta da Dorothy Counts, una liceale nera, maltrattata da un gruppo di WASP della Harry Harding High School in cui la legge l’ aveva appena autorizzata ad entrare.
E’ la quarta fotografia premiata, nel 1958, di Stanislav Tereba, che ci porta per la prima volta verso l’ icona e il racconto – l’ uomo nel mezzo del diluvio – , con l’ immagine di un giocatore di calcio, Miroslav ÄŒtvrtnÃÄek, che si accinge a calciare il pallone, sotto una pioggia battente… Immagine della resistenza al trauma, dell’ accettazione della sofferenza, lirismo della composizione che corrisponde all’ immagine triste e sfortunata che l’ occidente allora voleva avere e dare della vita oltre la cortina di ferro, questa foto si stacca in effetti dalla retorica del trauma e inaugura un lirismo mitologico che avrà anch’ esso il suo posto fra le altre distinzioni.
Le due polarità vengono così stabilite da questi primi premi e le immagini che seguiranno giocheranno sempre più o meno su quella linea che va dal trauma puro (denotazione pura, avvenimento bruto, senza alcun legame visuale con un motivo culturale reperibile) all’ icona che viene collegata dai commentatori a dei motivi culturali (Madonna, prefiche, Pietà …) e che attraverso il gioco della connotazione propone una elaborazione del trauma, e dunque un mezzo per addomesticarlo. Si è allora di fronte a un effetto balsamico dell’ immagine in cui la dialettica fra la violenza traumatica contenuta nell’ immagine e l’ attenuazione formale prodotta dalla posa si incontrano e trovano un equilibrio, come ad esempio nell’ immagine che vinse nel 2010, in cui si vede una bella ragazza sfigurata e mutilata dai talebani posare davanti all’ obbiettivo del fotografo Jodi Bieber.
Se si fa una carrellata sull’ insieme delle immagini premiate si possono notare due cose…
1) Una predilezione per la morte in diretta (incidente, caduta mortale o vista del cadavere), che appare come l’ ultimo contatto col reale, al di là di qualsiasi costruzione culturale, immaginaria, psichica, la morte è la sola realtà assoluta contro cui lo spirito si scontra… come si vede nei premi WPP del  1955, 1960, 1962, 1963, 1966, 1968, 1971, 1975, 1978, 1982, 1983, 1984, 1985, 1990, 1992, 2001… e  2012
2) Una dialettica fra il trauma e l’ icona che permette di seguire nel flusso del tempo, a condizione di avvicinare le immagini all’ uno o all’ altro modello, l’ evoluzione della necessità di far vivere l’ istante del trauma per far funzionare appieno la supposta indizialità dell’ immagine fotografica (ci si trova allora di fronte a una immagine-fessura //’’image-fente’’) rispetto a quella di formulare una icona, permettendo, senza dirlo né riconoscerlo facilmente, di giocare sulla pittorialità dell’ immagine fotografica (e si è allora di fronte a una immagine il cui insieme accentua in maniera ‘’forte’’ la dimensione del quadro, e il cui motivo di fondo rinvia ad elementi noti al di fuori dell’ immagine stessa).
Immagini premiate che girano attorno al trauma, lo shock, l’ istante fatale :  1955, 1956, 1957, 1960, 1962, 1963, 1966, 1967, 1968, 1971, 1972, 1973, 1975, 1977, 1978, 1981, 1982, 1984, 1985, 1989, 1991, 2008.
Immagini premiate che giocano sull’ icona, il racconto, la sofferenza elegiaca, il lirismo : 1958, 1964, 1965, 1969, 1974, 1976, 1979, 1980, 1983, 1986, 1987, 1988, 1990, 1992, 1993, 1994, 1995, 1996, 1997, 1998, 1999, 2000, 2001, 2002, 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2009, 2010, 2011, 2012.
A prima vista si può notare una netta predilezione per le immagini mitologiche, quelle che si muovono nella dimensione dell’ icona, a partire dagli anni Novanta e in maniera molto netta dopo l’ arrivo degli anni 2000 e l’ avvento del digitale (1999 pour la prima reflex digitale Nikon e 2002 per la prima Canon). Ciò forse può essere dovuto anche a un esaurimento del dogma dell’ indizialità , che resta tuttavia da capire. L’ economia fotografica del trauma sembra sfumare a vantaggio di una iconocità assunta che testimonia il momento di una mutazione molto chiara del sapere fotografico. Da una affermazione di ciò che è stato da parte di un fotografo pressoché fortuito, un cacciatore in agguato la cui principale qualità è la rapidità di esecuzione e l’ abilità tecnica al momento dello scatto, si passa a una affermazione dell’ ‘’io ci sono stato’’ (“j’y ai été†) che mostra il suo ‘’io’’ e il suo ‘’gioco’’e svela la sua espressività assumendo il suo status di narratore, di testimone degno di credito…
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