Si riduce il lavoro dipendente (meno 1,6%), cresce quello autonomo (+7,1%; 6 attivi su 10, quasi il doppio di 13 anni fa), e aumenta in modo sempre più marcato il gap nei redditi fra i due segmenti della professione.
Nel 2012 la media annua delle retribuzioni dei dipendenti era di 62.459 euro (+0,4% sul 2011) : 5 volte più di quella degli autonomi e quasi 7 volte superiore a quella dei Co.co.co. La media dei soli autonomi era infatti di 11.278 euro. E la media generale (dipendenti + autonomi) era quindi di 33.557 euro.
 Intanto oltre 50.000 iscritti all’ Ordine continuano ad essere del tutto ‘’invisibili’’: senza una posizione Inpgi e, quindi, del tutto inattivi nella professione.
Che fare?
di Pino Rea
Nonostante la crisi, in Italia il numero dei giornalisti continua a crescere, anche se a un ritmo più blando degli anni scorsi. Ma è una crescita poco sana, che si fonda sulla contrazione progressiva del lavoro dipendente e sul dilagare del lavoro ‘’autonomo’’ in una bolla sempre più tesa e gonfia.
E’ una delle varie anomalie che questo Rapporto intercetta.
‘’Il paese dei giornalisti’’ (è la quarta edizione di questo lavoro sulla professione cominciato con il 2009) cerca di ricostruire lo scenario del giornalismo professionale in profondità (per quanto è possibile a un gruppo di lavoro spontaneo e volontario come Lsdi) individuando criticità e tendenze. Col metodo del ‘’data mining’’, cercando appunto filoni di senso nella massa di dati forniti dai vari istituti di categoria: Inpgi soprattutto, visto che i suoi server racchiudono le dinamiche relative ai rapporti economici e le tendenze demografiche, ma anche Casagit, che si muove in territori analoghi a quello della contribuzione previdenziale, e Fondo complementare, che risente direttamente dell’ andamento della congiuntura.
E, naturalmente, Ordine e Fnsi, verso cui converge  l’ attenzione del mondo del’ informazione. Il primo perché è alle prese con una riforma che non si riesce a fare (ma che è ritenuta assolutamente indispensabile, come del resto questo stesso Rapporto sottolinea) e la Federazione della stampa impegnata da mesi nei primi passaggi di una trattativa contrattuale che cade in un momento realmente decisivo: quello che vede, ormai, una massiccia prevalenza del lavoro autonomo all’ interno del giornalismo attivo.
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Alla fine del 2012, dunque,  gli iscritti all’ Ordine erano 112.046, contro i 110.966 del 2011, con un aumento di un solo 1%, molto meno significativo che negli anni passati (ad esempio tra il 2006 e il 2010, quando il tasso di incremento degli iscritti era stato del 16,8%, e cioè più del 3% l’ anno).
In pratica un italiano su 526 abitanti (compresi i bambini) è iscritto all’ Ordine dei giornalisti. Una percentuale sbalorditiva in astratto se si pensa che in Cina, per esempio, vengono censiti 307.000 giornalisti su una popolazione di 1.321.290.000 ab. (stima 2008), pari a un giornalista per ogni 4.303 cinesi. Negli Stati Uniti ci sono circa 60.000 giornalisti per 320 milioni di abitanti, 1 ogni 5.333 americani.
E in Francia, infine, nel 2012 solo un francese su 1.778 faceva (effettivamente) il giornalista: su 65 milioni e 821.000 abitanti infatti, nel 2012 erano state attribuite 37.012 carte de presse, i tesserini professionali.
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Naturalmente è un paradosso, anche se illustra bene una delle  anomalie di cui parlavamo prima. La presenza di un Ordine, che non si riesce ancora a riformare, che mette nel calderone del giornalismo anche i direttori di riviste tecniche e super-specializzate (quasi il 10% degli iscritti) oppure decine di migliaia di pubblicisti che non versano un centesimo di contributo all’ Inpgi (e quindi di fatto non fanno lavoro giornalistico) oppure che (con più di 15 anni di iscrizione alle spalle) restano nell’ Albo ma possono anche smettere di scrivere.  Â
Certo, se si guarda solo ai giornalisti attivi – quasi 48.000 -, la situazione del mercato italiano sarebbe astrattamente compatibile con quella di altri mercati occidentali.  E la stessa cosa si potrebbe dire – in astratto – per quanto riguarda la situazione retributiva.Â
Nel 2012 il reddito medio del giornalista italiano ‘’attivo’’ – che ha cioè una posizione all’ Inpgi, che sia da dipendente o da autonomo –  è stato di 33.557.
Un salario nettamente superiore a quello dei giornalisti inglesi (28.938 euro l’ anno, 24.500 sterline) e americani (30.976 euro, 42.000 dollari), ma parecchio inferiore a quello dei colleghi francesi, che nel 2012 hanno guadagnato una media di 44.473 euro.
In ogni caso compatibile con la situazione salariale dei mercati e delle democrazie ‘’mature’’.
Ma – ecco un’ altra anomalia -, come accade per molte statistiche, quei 33.557 euro sono la media di due parametri abissalmente lontani fra di loro: la retribuzione media dei giornalisti dipendenti, che nel 2012 era pari a 62.459 euro, e quella dei giornalisti autonomi o parasubordinati, che ammontava a 11.278 euro (il 18% del salario medio dei primi).
A loro volta gli 11.278 euro di reddito lordo medio dei giornalisti iscritti alla Gestione separata dell’ Inpgi (la cosiddetta Inpgi2) sono la media fra il reddito degli autonomi, 12.810 euro, e quello medio dei giornalisti parasubordinati, i Co.co.co, pari nel 2012 a 8.973 euro.
Tra l’ altro, mentre il reddito medio dei ‘’free lance’’ è lievemente cresciuto (354 euro in più rispetto al 2011), quello dei Co.co.co è addirittura diminuito di 730 euro, con un calo del 7,5%.
Un’ altra vistosa anomalia è il fatto che – diversamente da gran parte degli altri paesi, in cui la professione è stata massacrata dalla crisi -, in Italia, oltre a crescere in assoluto, continuano ad aumentare anche i giornalisti attivi.
Alla fine del 2012 i giornalisti con una posizione contributiva all’ Inpgi attiva erano 47.727 – 19.319 nel campo del lavoro subordinato e 28.408 fra liberi professionisti e parasubordinati (Co.co.co.) -, con un aumento del 3,2% (da 46.243 a 47.727): una percentuale di crescita inferiore sia rispetto a quella registrata fra il 2010 e il 2011, quando era stata del 4,78%, sia a quella verificatasi fra il 2009 e il 2010 (3,7%).  Ma ugualmente significativa.Â
Anche se questo tipo di crescita (in atto da diversi anni) dovrebbe fortemente preoccupare: si contrae progressivamente l’ area del lavoro dipendente, mentre l’ attività da lavoro autonomo continua ad allargarsi. Globalmente il numero di giornalisti attivi cresce, ma nello stesso tempo la struttura complessiva della professione si indebolisce, viste le condizioni in cui versa l’ attività autonoma nel nostro paese.
Nel campo lavoro salariato è stata registrata una flessione dell’ 1,6% (le posizioni attive presso l’ Inpgi1 sono calate da 19.639 a 19.319), mentre nel lavoro autonomo le posizioni attive sono passate da 26.524 a 28.408, con un aumento del 7,1% (superiore a quello registrato nel 2011, quando era stato del 6%).
La tabella qui sotto mostra con chiarezza l’ evoluzione della situazione:
Andamento dei giornalisti attivi 2009-2012
I giornalisti dipendenti rappresentano quindi solo il 18,8% degli iscritti all’ Ordine, contro il 19,1% del 2011.
In pratica meno di un giornalista su 5 ha un contratto a tempo indeterminato.
Mentre 6 attivi su 10 attivi fanno lavoro autonomo: fra il 2009 e il 2012 la percentuale del lavoro subordinato è sceso dal 46,4% al 40,5%:
Un cambiamento radicale
Se poi si guarda al medio periodo, sull’ arco – ad esempio – di 13 anni, il colpo d’ occhio è molto più drammatico: il cambiamento è stato radicale. E a questo punto viene il dubbio che gli istituti della categoria stiano colpevolmente sottovalutando quello che è accaduto.
In tredici anni – come mostrano le due tabelle qui sotto – la composizione degli attivi si è completamente rovesciata: nel 2000 il lavoro autonomo era svolto da poco più  di un giornalista su tre; nel 2012 la situazione si è completamente rovesciata e i giornalisti che fanno lavoro autonomo sono diventati sei su 10.
Parallelamente – e in direzione contraria a quello che accade in altri paesi -, la popolazione attiva è più che raddoppiata, passando da 21.373 giornalisti del 2000, il 26,5% degli iscritti all’ Ordine (compresi elenco speciale e stranieri), a 47.227 giornalisti del 2012, pari al 43,9% degli iscritti all’ Ordine.
La crescita della popolazione attiva vede la parallela, inarrestabile ascesa del lavoro ‘’autonomo’’
Andamento degli autonomi e dei dipendenti anno per anno, dal 2000 al 2012
Come si vede il sorpasso fra autonomi e dipendenti avviene fra il 2008 e il 2009, quando i primi schizzano da 19.468 a 23.213, mentre i dipendenti cominciano a calare, passando da 20.257 a 20.087.
Autonomi e dipendenti
Passa da qui il nodo principale.
Che fare?
Il Rapporto analizza naturalmente vari altri aspetti della professione – i problemi di genere, quelli demografici, l’ andamento delle pensioni, la disoccupazione, il trend delle iscrizioni all’ Ordine e al sindacato (oltre che a Inpgi e Casagit), ecc. – ma l’ elemento chiave resta la disparità di trattamento e la forte debolezza retributiva del lavoro autonomo, che nasconde a questo punto una parallela debolezza di tutta la struttura industriale dell’ editoria giornalistica.
Che fare? Secondo Paolo Serventi Longhi – ex segretario generale della Fnsi e vicepresidente dell’ Inpgi – l’ obbiettivo principale deve essere ‘’riaprire il mercato del lavoro stabilizzando almeno 3-4.000 precari’’.
Sul piano delle idee per il futuro, quest’ anno il Rapporto ha voluto aggiungere agli interventi dei responsabili degli enti di categoria (Andrea Camporese, Inpgi; Daniele Cerrato, Casagit; Enzo Iacopino, Ordine; Giovanni Rossi e Franco Siddi, Fnsi) , ulteriori punti di vista.
Una ampia intervista a Serventi Longhi e un intervento di Maurizio Bekar, responsabile della Commissione lavoro autonomo della Fnsi.
Bekar naturalmente rilancia l’ allarme: attenzione – dice in sintesi – le condizioni del lavoro dei liberi professionisti e dei parasubordinati in Italia sono una componente deflagrante della situazione e bisogna, assolutamente, passare al più presto dalle analisi alle buone pratiche.
Come? Sulla base della sua lunga esperienza sindacale, Serventi Longhi è molto chiaro: ”Garantire ai giovani che sono fuori o ai margini delle redazioni contratti a tempo indeterminato con le stesse condizioni (salario, progressione di carriera, tutele normative, ecc.) di coloro che vivono e lavorano con rapporti di lavoro stabili e garantiti. Non si tratta di togliere ai secondi per dare ai precari ma di trovare una soluzione contrattuale che offra prospettive serie ai nuovi giornalisti. Due, tre, quattromila stabilizzati in più, anche con strumenti più flessibili, consentirebbero di riaprire un mercato del lavoro oggi bloccato”.
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”E’ innegabile che le tendenze del mercato del lavoro vanno verso l’aumento del lavoro autonomo e alla contrazione di quello dipendente a tempo indeterminato – osserva da parte sua Bekar -. Senza voler rinunciare al corretto inquadramento dei rapporti di lavoro (puntando cioè al riconoscimento di posizioni da dipendente, ove ne sussistano le condizioni), è però altrettanto necessario non avere solo questo orizzonte, ma anche strategie flessibili, realiste e inclusive verso gli autonomi, al fine di “non lasciare nessuno indietro e senza tuteleâ€.
E’ quindi indispensabile una battaglia per l’equo compenso degli autonomi (sia ai sensi della legge 233/2012 in materia, sia grazie ad accordi aziendali e tra le parti sociali).
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Ma non ci sono solo i contratti. Franco Siddi è netto: le strategie contrattuali devono essere coniugate con un forte impegno per nuove norme di legge sul lavoro. Anche perché le ‘’sofferenze’’, come le definisce, non stanno solo dalla parte del lavoro autonomo.
Il precariato – spiega il segretario generale della Fnsi – ‘’oggi è una realtà gravemente pesante che colpisce collaboratori e garantiti che, massicciamente, finiscono in cassa integrazione, in disoccupazione o salvati temporaneamente con contratti di solidarietà .
Le battaglie contrattuali sono volte a ridurre il divario tra garantiti (ma sempre meno dotati di certezze assolute) e non garantiti. Le scelte contrattuali hanno la loro rilevanza – osserva Siddi – , ma la legislazione sul lavoro e le leggi di settore sono fondamentali.
Il giornalismo professionale in Italia non potrà avere un futuro – osserva Andrea Camporese – senza ‘’un nuovo equilibrio, senza offrire ai più giovani quelle tutele e quei diritti che rappresentano l’elemento fondativo dell’autonomia della professione’’.
Occorre ad esempio prevedere una contrattazione adeguata – aggiunge il presidente Inpgi – e dare corpo alle iniziative assunte in sede europea per il sostegno all’attività dei giovani professionisti.
Daniele Cerrato, dal particolare osservatorio dell’ istituto che presiede, segnala che alle forti criticità del sistema si accoppia sempre più diffusamente ‘’la creatività mal impegnata da parte di taluni editori’’.
Come quelli specializzati in un ‘’utilizzo disinvolto di ogni spiraglio di risparmio offerto dal Contratto’’ o quelli che ‘’omettono per mesi di versare il dovuto e si presentano solo quando le azioni legali bussano all’ uscio del fallimento’’. D’ altra parte – ricorda il presidente Casagit – ‘’non è una novità il fatto che l’ editoria italiana sia affollata da mestieranti di varia estrazione, per questo non sempre possiamo attenderci galantuomini o anche solo persone dotate di una professionalità definita’’.
Un duro attacco contro gli editori viene anche dal presidente dell’ Ordine.
Gli editori – osserva Enzo Iacopino – ‘’continuano a passare come una schiacciasassi sopra alla vita di decine di migliaia di giovani i quali, per di più, debbono periodicamente subire lezioni sul loro stesso diritto di dirsi, essere o sperare di diventare giornalisti.
E’ necessaria una riforma dell’Ordine, non c’è dubbio – aggiunge -, ma denunciarne la mancanza– che è dovere del Parlamento – come la concausa della situazione serve soprattutto per tentare di sfuggire alle responsabilità che, tutti, abbiamo’’.
Quanto alle polemiche sul numero eccessivo di iscritti all’ Ordine, Iacopino segnala come fra gli iscritti ci siano 21.698 persone che fanno capo all’ elenco speciale o a quello degli stranieri oppure sono pensionati (13.638).
Iacopino respinge poi l’ ipotesi che uno dei requisiti per diventare giornalista possa essere la contribuzione all’ Inpgi.
‘’Se fosse quello il requisito – osserva -, la gran parte dei “programmisti registi†o “assistenti ai programmi†senza i quali la Rai non potrebbe trasmettere i maggiori programmi di informazione dovrebbero essere cancellati dall’Ordine, perché i loro contributi vanno all’Enpals. E i tanti, tanti, tanti che collaborano nelle forme più disparate e si vedono negate contribuzioni Inpgi 2 dovrebbe essere “graziati†solo perché, se possono o superano la soglia minima, mettono mani al portafogli e pagano in proprio il versamento minimo’’.
Secondo Giovanni Rossi, invece, il punto principale di una riforma seria dovrebbe essere proprio questo. ‘’Si può essere giornalisti ‘certificati’, cioè iscritti all’Ordine dei Giornalisti solo se si ha una posizione ‘attiva’ (cioè non ‘silente’, vale a dire alimentata da un’attività professionale reale) in una delle due gestioni dell’ Inpgiâ€.
L’ unica deroga accettabile a tale regola può essere costituita dal caso di quei colleghi addetti stampa dipendenti da aziende private o enti pubblici i quali, pur svolgendo attività indubbiamente giornalistiche, vengono iscritti dai loro datori di datori ad altro istituto di previdenza, diverso dall’ Inpgi.
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– Una serie di mappe e visualizzazioni realizzate da due giovani colleghi esperti di data journalism, Mara Cinquepalmi e Andrea Nelson Mauro.
– Un elenco di tutte le vertenze relative agli stati di crisi a partire dai primi mesi del 2011, realizzato dalla Fnsi.
– Un capitolo dedicato a un esame dei salari dei giornalisti in altri quattro paesi: Uk, Usa, Francia e Spagna.
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IL RAPPORTO
– IL PAESE DEI GIORNALISTI
(parti I, II e III) (Pdf)
PARTE IV – DOCUMENTAZIONE
Fnsi: vertenze e stati di crisi
– Dal marzo 2011
– Dall’ aprile 2012
Dati e tabelle
-Inpgi – Documento riepilogativo dati 2012
– Inpgi – Documento riepilogativo- integrazioni
– Ordine – Iscritti 2000-2012
– Casagit – Tabelle 2012
– Casagit – Bilancio 2012
– Fondo di previdenza complementare. Bilancio 2012:
– Consuntivo
– Relazione Cda