Parleremo di Big Data con Vincenzo Cosenza autore dell’e-book La società dei dati 40K edizioni. Un pamphlet in cui spiega in modo conciso ed efficace quanto sia cambiata la nostra società grazie alla rivoluzione digitale e quanto i dati possano essere una risorsa per il lavoro e per l’economia.
Per attualizzare l’argomento ho posto a Vincenzo Cosenza una delle domande più ricorrenti su dati e privacy da sempre circolanti in rete, resa ancora più di attualità dall’avvento dei social network e da strani post che quasi quotidianamente vengono pubblicati proprio sui social, post tipo questo:
<< Importante per i miei contatti. Chiedo un favore a coloro che stanno nella lista dei miei contatti di facebook. FB ha cambiato ancora una volta la sua configurazione della privacy! A causa della nuova “graphic app†qualunque persona in FB può vedere le tue foto, i tuoi “mi piaceâ€, i tuoi commenti. Terrò questo messaggio sulla mia bacheca per due settimane e, per favore, una volta fatto ciò che ti chiedo qui di seguito, commenta “FATTOâ€. Quelli di voi che non facciano diventare privata la mia informazione nei confronti degli altri saranno cancellati dalla lista dei miei amici…..e…bla..bla…bla…>>.
Ebbene il parere certificato dell’esperto è questo: << Questo tipo di “catene di S.Antonio” in salsa social sono presenti su Facebook già dal 2008, anno in cui la prima ondata di italiani si iscrisse. Fanno leva sulle paure relative alla violazione della privacy e sulla ignoranza dei meccanismi di protezione della stessa. in realtà non hanno alcun fondamento: Facebook è la piattaforma che permette il controllo più granulare della visibilità dei propri contenuti, ma pochi lo sanno >>.
Direi che chi fa informazione, per mestiere, potrebbe attingere a fonti certe, prima di alimentare la fuffa mediatica e scatenare il caos online. Ma veniamo all’e-book dossier su “La società dei dati”.
Secondo Cosenza :<<Ogni minuto su internet vengono spedite 204 milioni di email, effettuate 2 milioni di ricerche su Google, caricate l’equivalente di 48 ore di video su YouTube, creati più di 27.000 post su Tumblr e WordPress, inviati oltre 100.000 tweetiii, compiute oltre 2.200.000 azioni su Facebook.
Assieme alle tre dimensioni dello spazio e alla quarta dimensione, quella temporale di Einsteniana memoria, la tecnologia moderna ci consegna la dimensione numero cinque: I dati. Una quinta dimensione imprescindibile per trasformare dati aridi e senza contesto in informazioni utili alla comprensione di nuovi fenomeni e comportamenti personali e sociali. Una miriade di file prodotti e interpretati grazie ai sensori, agli smartaphone e al wearable computing (i computer da indossare ).  I dati sono diventati il quarto fattore produttivo, dopo i classici: terra, lavoro e capitale.
Fu Chris Anderson, sul numero di giugno 2008 di Wired,che iniziò a parlare di << petabyte age >>.
I cosiddetti Big Data evocati per la prima volta nel 2008 sono oggi, a distanza di meno di 5 anni, argomento di conversazione per ministri e capi di stato ai summit mondiali vedi ad esempio il World Economic Forum di Davos.
I Big Data sottostanno alla regola delle tre V: Volume(ingenti quantità ) – Velocity(processati a ritmi sostenuti) – Variety(di natura diversa)
Per gestire queste immense quantità di dati servono strumenti nuovi : Not Only SQl(database non relazionali) lavorano senza bisogno di schemi predefiniti. Ad esempio Hadoop un framework open source offerto dalla Apache Software Foundation, coltivato da Yahoo! e continuamente migliorato da una comunità spontanea di sviluppatori.
Secondo McKinsey, nei soli Stati Uniti per poter sfruttare efficacemente le potenzialità dei big data nei processi decisionali occorrerebbero dalle 140 alle 190 mila persone e addirittura un milione e mezzo di analisti e data manager. Di contro l’80% dei responsabili marketing mondiali dichiara di affidarsi solo a strumenti “old fashioned” come le analisi di mercato.
Nel mondo delle aziende ci sono almeno quattro macro aspetti migliorabili grazie all’analisi dei Big Data :
- l’analisi dei rischi e delle opportunità di mercato
- la comprensione dei bisogni dei clienti
- il miglioramento dell’operabilitÃ
- l’ottimizzazione dei futuri prodotti
Anche la Pubblica Amministrazione ha cominciato a lavorare sui big data, pensiamo agli open data, al progetto delle smart city. C’è un progetto dell’Onu che si chiama Global Pulse per analizzare una parte dei 2.5 quintilioni di byte generati nel mondo, anche attraverso i social media. Le prime ricerche sono tese ad usare diversi segnali per individuare situazioni di tensione tra popolazioni, riduzione degli acquisti, disoccupazione, focolai di malattie.
Un altro uso dell’analisi dei big data è il “self-trackingâ€. Un’utilizzazione dal basso realizzata attraverso la rete e la condivisione di tali tali attraverso blog, social network e community che si sono costituite online. Si va dalla misurazione delle attività fisiche e dell’umore al tracciamento delle abitudini personali e lavorative (luoghi visitati,email e telefonate in uscita ed entrata, gestione finanziaria e dei consumi energetici). L’osservazione e la gestione di questi dati ha portato alcuni imprenditori a realizzare start up che producono applicazioni che danno un senso pratico all’analisi dei dati prodotti. Ad esempio c’è un’app. realizzata per fornire assistenza ai diabetici che rischiano di cadere in depressione e interrompere l’assunzione dei medicinali prescritti (dall’analisi del traffico dello smartphone). C’è un’altra app. che si chiama Cardiio, un’applicazione per iOS, che permette di misurare i battiti del cuore utilizzando la fotocamera frontale di un iPhone o iPad. (dalla variazione di luce sul viso determinata dalla differenza di sangue che vi affluisce). Ci sono app. per misurare la pressione del sangue o il livello di insulina.
La condivisione di dati fra comunità di malati online ha permesso ad esempio di individuare controindicazioni nella somministrazione di un farmaco.
L’analisi e soprattutto la condivisione di dati porta però anche ad alcuni rischi.
Da qualche tempo spuntano come funghi società poco conosciute ai più, come Epsilon e Acxiom, che aggregano dati da diverse fonti per (ri)costruire profili utili a scopi commerciali.Una ad esempio negli Usa vende, alle società che le richiedono, informazioni aggregate,riuscendo a lucrare ben 77.26 milioni di dollari di profitti. In mancanza di leggi appropriate si sta permettendo lo sviluppo di un business dai contorni poco chiari o, peggio, si stanno incoraggiando comportamenti discriminatori sulla base della capacità di mettere in relazione dati poco significativi se presi singolarmente.
Nella società dei dati, dove la conoscenza asimmetrica può acuire enormemente il divario sociale, i big data dovrebbero essere affrontati come una questione che coinvolga i diritti civili. C’è bisogno di stabilire, per tempo, nuove regole in termini di privacy, accettare, con leggerezza, clausole poco chiare che permettono a terzi di acquisire dati comportamentali (si pensi ai dati che autorizziamo quando installiamo applicazioni su web o su smartphone) e, a volte, di venderli ad altri (l’anno scorso si è scoperto che l’azienda di navigatori TomTom vendeva i dati degli utenti alla polizia olandese). Tutto questo può essere molto pericoloso e arrecare danni anche gravi ai singoli utenti.
Servono regole precise che riguardino: il controllo e la conservazione dei dati, la trasparenza delle analisi degli stessi, e la sicurezza.
Controllo: la possibilità di visionare la correttezza delle informazioni collezionate sul nostro conto al fine di correggerle laddove non corrispondano a verità o cancellarle qualora si voglia; un diritto connesso a quello della proprietà del dato personale
Conservazione: il tempo massimo entro il quale una società ha la possibilità di custodire le informazioni sugli utenti
Trasparenza delle analisi: per evitare un uso discriminatorio delle informazioni emerse
Sicurezza: imposizione di regole e processi che garantiscano la protezione dei dati movimentati e conservati e che permettano l’accesso solo al personale incaricato