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Internet: Morozov e il ‘’contraffattore’’ O’ Reilly

The Baffler,  un importante quadrimestrale americano di critica della politica e della cultura che viene pubblicato su carta e in formato digitale da MIT Press, dedica il suo ultimo numero – dal titolo delizioso, Modem e Taboo – a un viaggio nel tempo, alla scoperta delle radici della più grande rivoluzione dell’era moderna: l’avvento di Internet. Quali sono stati i passaggi cruciali? Chi i responsabili del suo sviluppo? Quali i rischi che si sono corsi e che stiamo ancora correndo?

 

Vincenzo Morteo, su Data journalism crew (‘’blog collettivo sul giornalismo di precisione’’), presenta la traduzione in italiano di uno degli articoli della rivista, una indagine condotta da Evgeny Morozov (nella foto).

 

Il giornalista e sociologo bielorusso, al centro di violente polemiche per le sue critiche alla visione ottimistica e trionfalistica di Internet, analizza il percorso teorico di un personaggio chiave del discorso sul web, Tim O’ Reilly. E ne fa una aspra demolizione sotto il titolo: ‘’ Il contraffattore di idee: il modello O’Reilly (in originale è ”The Meme Hustler Tim O’Reilly’s crazy talk”).

 

 La nostra redazione- spiega Morteo –  ”ha pensato di proporne la traduzione, di modo da rendere la fruibilità e l’accesso al documento maggiormente significativi’’.

  


Morozov apre il suo articolo (16.000 parole) lamentando il fatto che, a suo parere,

 

‘’la nostra lingua, quasi come ogni altra cosa oggigiorno, è stata hackerata.

Idee vaghe, polemiche e complesse sono state spogliate delle loro connotazioni sovversive e sostituite da alternative più chiare, più luccicanti, più vuote; i lunghi dibattiti sulla politica, sui diritti, e le libertà vengono riplasmati dal linguaggio apparentemente naturale dell’economia, dell’innovazione e dell’efficienza. La complessità, evidentemente, non un concetto particolarmente virale’’.

 

 

Con questo, dice il sociologo,

 

non si intende certo sminuire la straordinaria qualità dei nostri nuovi gadget e applicazioni. Ma puntare con un’esclusività intestardita sull’innovazione tecnologica, e su questa soltanto, significa perdere di vista i modi più sottili – e più significativi – con i quali una cricca di tecno-imprenditori sta sequestrando e dirottando la nostra lingua e, con essa, la nostra ragione.
Nell’ultima decade, Silicon Valley ha innescato la propria rivoluzione linguistica, producendo un’onda di innovazione così massiccia da generare, nel suo impatto, un modo completamente nuovo – una sorta di silicon-mentalità – di analizzare e descrivere il mondo. La vecchia maniera di esprimersi è stata resa obsoleta; il nostro vocabolario pre-Internet, ci è stato detto, necessita di un aggiornamento.
Fortunatamente, Silicon Valley, che non è mai a corto di concetti scadenti e paradigmi ambigui – da wiki-tutto a i-questo, da e-unbelniente a open- quelchetipare – è sempre pronta ad aiutare. Come un buon prete, è sempre disponibile a consolarci con la promessa di un futuro migliore, una strategia più appariscente, un vocabolario più dinamico.

 

La persistente povertà dei nostri dibattiti sulla tecnologia, secondo Morozov,  ha una causa principale: Tim O’Reilly.

 

Il fondatore e amministratore delegato della O’ Reilly Media, onnipotente  editore di volumi sulla tecnologia e instancabile organizzatore di conferenze di tendenza, O’ Reilly è uno dei più influenti intellettuali presenti alla Silicon Valley. Interi campi del sapere – dall’elaborazione computazionale alla teoria sulla gestione amministrativa alla pubblica amministrazione – si sono già piegati alla sua passione per il neologismo alla moda, ma O’ Reilly continua a perseverare. Negli ultimi quindici anni, ci ha fornito delle perle di precisione analitica come “open source,” “Web 2.0,” “government as a platform” (governo come piattaforma) e “architecture of participation” (architettura di partecipazione). O’ Reilly non conia tutte le sue espressioni preferite, ma le promuove con uno zelo religioso ed una invidiabile perseveranza.

 

Il resto dell’ articolo è una minuziosa analisi critica di come O’ Reilly avrebbe messo in atto la sua costante ‘’contraffazione di idee’’, culminate nella fede nella regolazione algoritmica e nel ‘’governement as a platform’’ tanto da sostenere che ‘’se solo avessimo più dati e strumenti migliori, potremmo sospendere la politica una volta per tutte’’.

 

Secondo Mozorov,

 

il magico “feedback” che O’Reilly sollecita così appassionatamente è davvero la voce del mercato – e occasionalmente si lascia scappare: “I programmi del governo devono essere progettati non come un set di incontrovertibili specificazioni, ma come piattaforme flessibili che permettono al mercato di agire su di essere estendendoli o revisionandoli.”

 

Nella conclusione Mozorov cita O’ Reilly:

 

[il] ‘’futuro dell’applicazione dell’intelligenza collettiva è un futuro nel quale gli individui a cui diamo tanto valore in realtà hanno meno potere – eccetto per il fatto che l’individuo è capace di creare nuove tempeste della mente… Come influenzeremo questo cervello globale? Il mondo in cui lo influenzeremo sarà visto nel mondo in cui le persone creano queste tempeste virali…Stiamo per iniziare a diventare bravi in questo. Le persone saranno capaci di gestire grandi quantità di attenzione e dirigere vasti gruppi di persone verso nuovi meccanismi’’.

 

E chiude con una forte dose di sarcasmo:

 

Sì, lasciate decantare pure quel pensiero: il nostro Capo delle Tempeste della Mente ci sta dicendo che l’unico modo per avere successo in questo mondo pieno di sfide è diventare Tim O’Reilly. Qualcuno è interessato ad un manuale sulla contraffazione dei meme firmato O’Reilly?

 

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