Come nel caso di eldiario.es: fidelizzazione del lettore e abbandono della ‘’guerra per l’ audience’’.
E di Infolibre e di numerose altre testate che fanno soprattutto giornalismo ‘’narrativo’’, di approfondimento   e di qualità .
Un panorama relativamente confortante nonostante gli oltre 9.000 giornalisti rimasti senza lavoro durante la gravissima crisi che ha investito il paese.
di Daniele Grasso
“La fine della Spagna della Transizione” è il titolo della prima rivista cartacea di eldiario.es, uno degli ultimi progetti giornalistici nati da e con la crisi. Questo quotidiano online, avviato nel settembre del 2012, ha fatto capolino nel mese di marzo tra le testate della carta stampata iberica, create proprio in quegli anni ’80 in cui si formò la Spagna che conosciamo. Come in molti altri aspetti della sua vita politica e sociale, il paese sta cambiando drasticamente anche nel mondo dell’ editoria. La crisi del settore ha obbligato infatti a cercare (e, spesso, trovare) nuovi modelli di sostenibilità .
Fusioni, chiusure di giornali e riduzione del personale sono state le parole d’ ordine nella stampa spagnola nei primi anni di una crisi che ha lasciato senza lavoro 6.900 giornalisti (secondo il dato del “Informe Anual de la Profesión PeriodÃstica 2012“, ma secondo altri dati, sarebbero quasi 9.000 i giornalisti licenziati), in un Paese dove la professione è sostanzialmente aperta.
Non solo le testate dei grandi gruppi come Unidad Editorial (che edita El Mundo, Expansión e Marca e fa capo a RCS), Prisa (El PaÃs e la radio Cadena Ser) o Vocento (ABC) hanno sofferto il calo delle vendite e la ben nota crisi della pubblicità , ma hanno anche chiuso decine di pubblicazioni gratuite o locali, lasciando capitali di provincia come Guadalajara o Cuenca orfane del quotidiano cittadino.
I giornali chiudono ma i giornalisti rimangono
I giornali chiudono o licenziano, come il famoso caso de El PaÃs. Ma i giornalisti rimangono. E portano una ventata d’ aria fresca e critica nel panorama dell’ informazione iberica. Il caso de eldiario.es, online da settembre, era in gestazione da mesi, addirittura da prima che Público chiudesse la propria versione cartacea per lasciare spazio ad una testata web gestita de una redazione ridotta all’ osso.
In quel gennaio del 2012, Ignacio Escolar, ex direttore del citato quotidiano e autore del blog di politica piú seguito in Spagna, mise insieme un gruppo di giornalisti con piú o meno esperienza per dar vita ad una redazione digitale. Con un obiettivo: fare “giornalismo, nonostante tutto” (Periodismo a pesar de todo).
Una redazione di meno di 15 persone, circa 120 collaboratori e alleanze strategiche con altre web di notizie e informazione specifica (dalla scienza alla tecnologia, dalla cultura alla cooperazione) sono state il punto di partenza per un quotidiano che punta su un modello premium.
I “soci” pagano 5 euro al mese ed hanno gli stessi contenuti degli utenti normali, ma con qualche vantaggio: l’ edizione cartacea (la prima sulla Transizione, ma l’ idea, assicurano, é pubblicare un trimestrale) spedita a casa senza costi aggiuntivi; alcuni contenuti online disponibili 12 ore prima che per gli altri lettori; estrazioni di libri e biglietti per spettacoli teatrali o incontri con la redazione. Il risultato è, per ora – e senza avere ancora creato una app per samrtphone -, piú che soddisfacente: come ha spiegato Escolar in un post in cui dettaglia la contabilitá di eldiario.es, i soci sono quasi 3.500, le visite superano il milione al mese (dato Nielsen) e invece dei previsti 80.000 euro, le perdite si sono limitate a 5.000 euro. La chiave, come ha spiegato in una recente Master-class a Madrid il co-editore José Sanclemente, sta nella “fidelizzazione” del lettore e “nell’ abbandono della guerra per l’ audience”.
Da Mediapart a Infolibre
Dalla distrutta redazione di Público era uscito anche il suo secondo direttore, Jesús Maraña, che dopo mesi di preparazione ha lanciato a marzo Infolibre. Oltre all’ edizione digitale, la redazione diretta da Maraña pubblicherá ogni mese un’ edizione cartacea, TintaLibre, con spazio per lunghi reportage ed analisi.
Grandi nomi de giornalismo spagnolo (provenienti da El PaÃs, El Mundo o RTVE) sono approdati al progetto, che nasce da un accordo tra il direttore, l’ editoriale indipendente Edhasa e un protagonista d’ eccellenza: Edwy Plenel, ex direttore di LeMonde e fondatore del francese Mediapart, uno dei nuovi progetti giornalistici di maggior successo in Europa.
Dal quotidiano francese, Infolibre riprende l’ attitudine all’ inchiesta e al giornalismo investigativo. E ne recupera l’ idea di vendere piccole partecipazioni azionarie e chiudere il contenuto solo agli abbonati – passo, questo, che imboccherà solo dopo un periodo di prova.
Pensando invece ad “un’ informazione economica per i cittadini e non per gli azionisti”, compie in questo mese di marzo i suoi primi passi Alternativas Económicas, versione iberica del francese Alternatives Economiques, mensile in edicola dal 1980. La pubblicazione d’oltralpe ha visto in Andreu Missé (gli ultimi 35 anni tra le sezioni economiche di El PaÃs ed El Periódico de Catalunya) il direttore per una pubblicazione basata, di nuovo, su un modello premium. È poco il contenuto a disposizione gratis via Internet, ma della rivista si puó diventare abbonati, soci o azionisti della cooperativa che la edita.
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Jot Down Magazine
Foto in bianco e nero, interviste da 18.000 parole, reportages in profonditá e colonne d’ opinione che richiedono ore di lettura è invece il cocktail con cui, nel 2011, si presentava sul web Jot Down Magazine. “C’è un metodo nella nostra pazzia”, assicurano i suoi editori come sottotitolo, parafraaseando Machbet, ma è una pazzia che non nasce da un gruppo di giornalisti.
Ãngel Fernández (informatico) y Ricardo J. González non avevano esperienza in alcun media: “è una rivista di contenuti contemporanei, in cui pubblichiamo articoli letterari che partono da storie che, anche se non hanno una vigenza attuale, mantengono una totale validità “, assicurava Fernández in una recente intervista.
Con 8 redattori e 85 collaboratori, puntano a diventare una “rivista culturale di riferimento” in Spagna, un “New Yorker” iberico, affermano senza complessi. Il cammino è lungo, ma la testata ha avuto circa 300.000 visite al mese durante il suo primo anno di vita.
Per acclamazione popolare Jot Down è saltata dal web al chiosco, con una rivista da 300 pagine in rigoroso bianco e nero, a 15 euro e senza pubblicitá. “L’ obiettivo – spiega Fernández nella intervista citata prima – “è essere sostenibili, coprire le spese ed essere in grado di pagare chi scrive”. Per il momento, ci stanno riuscendo. [Le allenze con riviste come Libero e Panenka ne fanno da controparti dedicate al calcio, con cronache che raccontano l’ odore dell’ erba e dando voce a calciatori che abbiano qualcosa da raccontare].
Mongolia
Nel mezzo di questo boom di nuovi eperimenti editoriali nati con la crisi, nelle edicole spagnole ha trovato un posto anche Mongolia. Il mensile (in vendita a 3 euro e con formato tabloid) si dedica alla satira irriverente e acida su tutto ció che capiti davanti: una prima pagina con una necrologia per la morte di Rajoy (“Rajoy ha muerto” in lettere maiuscole) o con il titolone “Una, Grande Y Puta” (storpiatura de motto franchista “Una Grande y Libre”) sono stati schiaffi in faccia alla cultura dominante degli ultimi trenta anni.
Completano la rivista le ultime dieci pagine, anticipate da un’ avvertenza al lettore: “se da qui in avanti si mette a ridere, è un problema suo”. Le “reality news” sono investigazioni su temi scottanti come le battute di caccia del Re o l’ esorbitante stipendio di LuÃs Cerbrián, direttore esecutivo di Prisa, un’ inchiesta pubblicata nei giorni in cui El PaÃs licenziava 130 giornalisti. L’ investimento iniziale – di soli 60.000 euro, tra amici e finanziatori affini – venne recuperata nel giro di 23 giorni e il secondo numero dovette duplicare la tirata iniziale, di 25.000 copie. Oltre alle 40 pagine dell’ edizione cartacea, l ‘edizione di volumi da collezione e libri tematici con estratti della rivista sono altre forme di guadagno per Mongolia.
Yorokobu
La scommessa per un pubblico settorializzato e la necessità di uno sguardo fresco sulla vita quotidiana sono state le basi su cui un’ altra rivista, Yorokobu, ha aumentato la sua tirata cartacea da 4.000 a 30.000 copie tra il 2009 e il 2011. Come ci spiegano, l’ idea fu quella di una rivista dedicata al design e alla creativitá pubblicitaria, ma nacque la necessitá di “aprirsi alla molta gente che voleva che raccontassimo altri aspetti”.
Alla varietà di contenuti di questo “magazine” si aggiunge una distribuzione qualitativa: “cerchiamo di stare in posti in cui si possa godersi Yororkobu”, dettaglia Fermin Abella, fondatore della revista, in risposta ad una mail. Cosà sono nate le collaborazioni che gli permettono si avere un posto sugli aerei Vueling, presso i negozi Fnac, in una catena di Hotel o nel MIBA, il Museo delle Invenzioni di Barcellona. Oltre ai 3.675 abbonati alla rivista, che formano il 35% delle vendite della rivista, il sito web yorokobu.es ha ottenuto un aumento di entrate per pubblicitá del 75%.
Via 52, laboratorio di giornalismo di qualitÃ
Tutt’ altra filosofia é quella che, a inizio del 2011, mise le basi per Via 52. Questa rivista mensile online si presenta come “laboratorio di giornalismo, che esperimenta con diversi forme e modi di finanziamento per far sì che il giornalismo di qualità sul web diventi una realtà “. I 21 numeri monografici toccano sempre temi delicati (il mondo della Giustizia, i numeri del finanziamento della Difesa o il Fracking) e gli ultimi 4 sono stati finanziati grazie ad una campagna di crowdfunding (microdonazioni volontarie via Internet) che ha fatto racimolare piú di 8.000 euro.
La Marea
Di nuovo dalle ceneri di Público nasceva “MásPúblico”, nei primi mesi del 2012. Quello che si formó come una cooperativa di ex lavoratori e lettori del quotidiano (che aveva licenziato il 90% dei suoi dipendenti) si trasformò, nel giro di un’ estate, in un progetto giornalistico. Il 21 dicembre appariva per la prima volte nelle edicole come La Marea con una chiara vocazione a dar voce alle “maree” indignate della società spagnola.
Il mensile si basa sul modello cooperativista del TAZ tedesco, dove l’ assemblea dei soci (che ci lavorino o che ne siano solo soci) ha potere editoriale su ogni numero della pubblicazione. Gli introiti pubblicitari, assicurano, non rappresentano mai più del 15% del totale. Dopo i primi due numeri (in tabloid e a colori), hanno assunto due nuovi giornalisti.
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I Libros del K.O.
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Se la Spagna ha scoperto, dunque, che il formato “lento e lungo” non é affatto morto, non deve sorprendere il successo di un’ editoriale come Libros del K.O. Due giornalisti da poco disoccupati e un giovane amministratore d’ azienda l’ avevano lanciata come un’  avventura per recuperare un genere “muy sexy“, la cronaca: “grandi storie raccontate ad un altro ritmo: senza fretta, limitazioni di spazio o necessità di consultare come ossessi l’ orologio dell’ attualitá”.
Nonostante le difficoltá iniziali, nel settembre del 2011, a trovare spazio nel mondo dell’ editoria, in poco piú di un anno Libros del K.O. ha pubblicato libri firmati da grandissimi nomi del giornalismo spagnolo: la Guerra in Libia vista da Alberto Arce; la neve e gli autostoppisti di Grozni descritti da Ramón Lobo; i segreti della rivalitá tra Barcelona ed Espanyol svelati da Enric González; le imprese e le disfatte dei campioni del Tour de Francia raccontati da Ander Izaguirre. Storie che sui giornali non avrebbero trovato spazio e che, nel marzo del 2013, hanno fatto annunciare con orgoglio all’ editoriale, via Twitter:
“Libros del K.O. batte il proprio record di fatturato. E chi ha detto crisi?”