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Un antropologo in redazione

Le grandi aziende tecnologiche, come Ibm e Intel, si servono da tempo degli antropologi per analizzare in profondità i ‘’mercati’’ di riferimento e le loro tendenze e mettere a punto le proprie strategie produttive.

 

In un periodo di accentuata convergenza fra tecnologia e media, l’ industria del giornalismo – sempre più spinta verso la globalizzazione e alle prese con i giganteschi problemi di interpretazione dei Big Data  – non può fare a meno dell’ approccio antropologico. 
 
Lo spiega questo articolo su Journalism.co.uk, opera di due giornalisti con alle spalle una solida esperienza nel campo della ricerca antropologica. 

 

 

‘Why newsrooms need anthropologists’

di Walé Azeez e Sarah Marshall*

 

La crisi finanziaria globale era stata prevista nel 2006 da una giornalista del Financial Times, , Gillian Tett, che vent’ anni prima aveva lavorato come antropologa facendo delle ricerche sui nomadi in Tibet e sui rituali di nozze in Tagikistan .
Tett aveva usato la sua esperienza di antropologa mappando i flussi finanziari e comparandoli con i dati sulla copertura giornalistica dei vari mercati. E aveva concentrato la sua attenzione su quello che non era stato raccontato dai media,  sugli aspetti ignorati perché ritenuti noiosi o irrilevanti.

 

L’ antropologo sociale Pierre Bourdieu aveva definito questo processo con l’ espressione “silenzio sociale ” già dal 1970 , e Gillian Tett aveva utilizzato questo concetto nel 1980 mentre studiava come gli abitanti di un villaggio tagiko parlavavano delle loro pratiche nuziali (qui degli appunti di Tett).

 

Più tardi, nel 2011 , il Guardian ha effettuato uno studio antropologico sulla City (lo Square Mile), con la collaborazione del giornalista olandese Joris Luyendijk, autore di un blog di argomento finanziario.

 

Ma non è solo il giornalista alla ricerca dello spunto per un articolo che può trarre beneficio dalle conoscenze antropologiche: gli antropologi possono aiutare anche le redazioni a comprendere il pubblico dei lettori.

 

L’antropologia sostanzialmente è quel segmento della scienza sociale che studia le culture e le società umane e le relazioni sociali che si stabiliscono fra di loro e al loro interno. Il modello principale di ricerca per l’ antropologia è quello della ‘ osservazione partecipante’: i ricercatori trascorrono lunghi periodi di tempo con i loro soggetti di studio nei loro habitat naturali, per essere in grado di distinguere per bene tra ciò che ‘dicono’ e ciò che, in realtà, ‘fanno’. Utilizzando anche lunghe interviste, diari dei protagonisti, mappature delle loro relazioni e analisi statistiche, ove necessario: insomma tutti gli strumenti della ‘etnografia’ .

 

Sia il giornalismo che l’ antropologia puntano ad osservare e analizzare il comportamento e l’ esperienza umana, anche se in modi diversi e su scale temporali molto diverse. Ed entrambi offrono i loro risultati al resto del mondo, per fornire una maggiore conoscenza di se stessi – e di quello che ‘significa’ essere ‘umano ‘ .

 

La combinazione fra le due discipline potrebbe rendere più ‘olistica’ e più ricca di contesto la narrazione e sfidare apertamente la ‘’saggezza’ del senso comune, spesso preso per oro colato. Prendete per esempio l’ idea molto popolare che la tecnologia digitale ‘alieni’ gli esseri umani e ci renda meno sociali. Punto. Senza nessuna analisi del contesto. La ricerca antropologica attuale invece arriva a conclusioni del tutto differenti.

 

Questa comunanza di intenti tra le due discipline sta cominciando a produrre molto interesse all’ interno dell’ industria dei media, così come è già avvenuto per pubblicità, vendite al dettaglio, design e telecomunicazioni in particolare. In quest’ ultimo settore, ad esempio, IBM ha Melissa Cefkin e Intel Genevieve Bell, considerate entrambe da Silicon Valley delle antropologhe superstar.

 

L’ utilizzo intenso di antropologhi da parte di IBM ha informato i suoi servizi di tecnologia globale da diversi anni. Il gigante tecnologico invia gli scienziati sociali nel mondo chiedendo loro di analizzare gli ambienti culturali dei propri clienti, per poter garantire le offerte giuste .

 

Nel Regno Unito e in Irlanda, Intel ad esempio ha analizzato in questi anni l’ uso della tecnologia tra gli anziani, per farsi delle idee su come essa può essere sfruttata per alleviare la solitudine e fornire benessere.

 

E non è un caso che il crescente interesse dei media per l’ antropologia applicata si registra in un momento in cui la natura della raccolta di informazioni e dati sta diventando sempre più complessa.

 

L’ editore di Mail Online sta pensando di reclutare antropologi

Quest’anno, almeno un gruppo editoriale si è chiesto se impiegare degli antropologi per dare un senso alle analisi realizzate attraverso i servizi di informazione online.
A giugno, Kevin Beatty, amministratore delegato di DMG Media – a cui fanno capo Mail Online, Daily Mail e Metro – ha spiegato in una conferenza come l’azienda raggiunge il 36 per cento della popolazione del Regno Unito ogni settimana .

 

La società ha “un crescente livello di comprensione” dei 31 milioni di persone registrate nei loro database, ha detto. Secondo Beatty, l’ editore potrebbe “imparare 50 miliardi di cose su circa 43 milioni di persone nell’ arco  di 10 giorni”, ma chi potrebbe essere in grado di spiegare i comportamenti sulla base di quei dati? Gli antropologi, ovviamente. E infatti Beatty ha detto nel suo intervento che si stava prendendo in considerazione il ricorso al contributo degli antropologi.

 

Gli antropologi-giornalisti non saranno in grado soltanto di sostenere il processo di ricerca di storie ed eventi del mondo, in particolare per il lavoro investigativo e le caratteristiche di lunga-durata, ma anche di integrare l’ uso di strumenti di analisi e di facilitare il lavoro di drill-down (letteralmente ‘’perforare il terreno’’) nei cosiddetti big data.

 

Nell’ ambito del processo di raccolta delle notizie, quel tipo di comprensione è sempre più necessario, vista anche la progressiva globalizzazione dell’ informazione: le testate giornalistiche nazionali, come il Mail e il Guardian, allargano sempre più a livello internazionale la diffusione e la copertura. E questo aumenta parallelamente la necessità di mappare la complessità dei contesti sociali, culturali e politici – sia per trovare le storie che per gestire la produzione delle notizie . Gli antropologi sono addestrati a fare proprio questo .

 

Le compagnie tecnologiche utilizzano gli antropologi per entrare in profondità nella vita dei clienti attuali e potenziali e sistemare sotto il ‘cappellino’ dei numeri quello che la ricerca quantitativa produce in grande quantità. Nel 21 ° secolo, il contenuto dei media è diventato un’ estensione delle tecnologie di comunicazione che lo diffondono – una vera e propria fusione fra mezzi di comunicazione e messaggi. Le società editoriali non dovrebbero essere altrettanto curiose di conoscere l’ evoluzione del mercato come le loro controparti tecnologiche?

 

Prendete i telegiornali: non li guardiamo più passivamente, ma ne veniamo coinvolti attraverso i ‘commenti’ postati nel dopo-trasmissione. La proliferazione dell’ uso di Twitter, insieme con smartphone e tablet, significa che il pubblico è ora in grado dui esprimere il suo parere e – cosa ancor più interessante – sfidare i produttori di notizie in tempo reale.

 

Nel contesto della convergenza della tecnologia dei media e della relativamente recente resistenza al tradizionale modello ‘didattico’ di diffusione delle notizie, il cambiamento della natura di quello che ‘’notizia’’ significa per il pubblico è un argomento degno di indagine antropologica per qualsiasi testata giornalistica .

 

Su scala globale, il recente acuisto da parte di Jeff Bezos del Washington Post esemplifica perfettamente la confluenza tra tecnologia e media e di come entrambe le parti si evolveranno.

 

Per tenere il passo con questi cambiamenti, l’ industria giornalistica ha bisogno di antropologi: dovrebbe usare il loro approccio scientifico per aggiungere rigore nella raccolta delle notizie e ampliare la natura e il tipo di articoli prodotti. E poi, il giornalismo deve ruotare la lente antropologica sulle persone per cui alla fine lavora – spettatori, ascoltatori e lettori – , in un momento in cui essi sono più diversificati e geograficamente lontani di quanto sia mai avvenuto.

 

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* Walé Azeez è giornalista freelance e antropologo digitale qualificato. Ha lavorato per il Guardian , Channel 4 News , BBC News , Al Jazeera e Bloomberg TV e svolto attività di ricerca etnografica in social media. Contatto waleazeez@aol.com.

Sarah Marshall è redattrice esperta in tecnologia al Journalism.co.uk e ha una laurea in antropologia alla UCL .

 

 

Why newsrooms need anthropologists

di Walé Azeez e Sarah Marshall*

 

 

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