Usa: informazione sempre più ‘’bianca’’ in un paese sempre più colorato
Il 90% dei capi delle redazioni americane sono bianchi, mentre si assiste a un costante calo dei giornalisti delle minoranze e a un blocco del trend positivo che si era verificato negli anni passati. Lo registra lo studio annuale dell’ American Society of News Editors (ASNE).
La ricerca individua le cause del fenomeno nella profonda recessione nel settore dell’ editoria giornalistica, che ha colpito in modo molto più accentuato i segmenti più deboli della popolazione.
Se i non bianchi rappresentano infatti circa il 37%  della popolazione degli Stati Uniti, la percentuale delle minoranze in redazione è sceso a 12,37% dal 13,73 del 2006.
Ancora: nel 2012, secondo lo studio dell’ ASNE, l’ occupazione complessiva nelle redazioni è scesa del 2,4%, ma il calo è molto maggiore – il 5,7%, più del doppio – per le minoranze.
Questo – osserva The Atlantic – significa che le minoranze hanno meno opportunità di lavorare nel campo dell’ informazione, e che le redazioni stanno perdendo la capacità di rafforzare, rappresentare – e, soprattutto quando la padronanza del linguaggio può essere cruciale, raccontare alle popolazioni di minoranza nelle loro comunità .
Perché la crisi dei media ha colpito in modo così sproporzionato le minoranze? Un gran numero di dirigenti del settore hanno indicato come causa una serie di decisioni legate soprattutto al risparmio di costi che hanno avuto delle conseguenze non previste né volute.
Un elemento importante di questo quadro è rappresentato dalle politiche di licenziamento e dalle trattative sindacali che spesso hanno premiato l’ anzianità spingendo prima fuori delle aziende i dipendenti assunti più recentemente. Molti giornalisti di colore hanno dei posti di lavoro meno protetti perché hanno meno anzianità aziendale – dice Doris Truong, un redattore del Washington Post che presiede Unity, un gruppo di coordinamento delle organizzazioni dei giornalisti delle minoranze.
Nello stesso tempo, le minoranze sono di gran lunga più disponibili ad accettare gli incentivi offerti per uscire dalle aziende e ridurre i costi del lavoro nei giornali – osserva Keith Woods, responsabile della sezione ‘’minoranze’’della NPR ed ex dirigente del Poynter Institute. “Se guardiamo a quello che è accaduto negli ultimi 10 anni, con i massicci tagli di personale, vediamo che le persone più vulnerabili sono quelle più inclini ad uscire perché hanno una famiglia da mantenere e le bollette da pagare”, aggiunge.
In testate come il Washington Post, che ha lanciato dal 2003 cinque round di incentivi all’ uscita, “si poteva leggere questa scritta su un muro: prendi i soldi oggi o affronti il licenziamento domani”, racconta Woods.
I tentativi alternativi di affrontare il problema hanno delle forti controindicazioni economiche. I ricavi pubblicitari dei giornali  sono meno della metà di quelli del 2006, e le testate un tempo abituate ad alti margini di profitto lottano per rimanere a galla.
Il risultato è che Dori Maynard, presidente del Robert C. Maynard Institute for Journalism Education, è allarmata perché vede i giornalisti di colore abbandonare le redazioni ad un ritmo allarmante, anche se il pubblico che chiede informazione è cresciuto in maniera diversificata. “I mezzi di informazione e la nazione si muovono in due direzioni diverse”,  dice. “L’ informazione giornalistica è sempre più bianca mentre il paese è sempre più scuro’’.  I giornalisti di colore “non fanno sentire la loro voce, le loro idee non vengono validate, e non vedono spazi per avanzare”.
Con qualche rilevante eccezione, i giornalisti delle minoranze rimangono ancora più sottorappresentati nelle posizioni di leadership nei giornali e nell’ emittenza radio-televisiva rispetto alla media generale. Soprattutto nel broadcast “più si sale in alto, più si vede bianco”, dice Felix Gutierrez, professore di giornalismo e di studi etnici all’ University of Southern California. Uno studio della Radio Television Digital News Association (RTDNA) del 2012 rileva ad esempio che l’ 86% dei capiredattore e dei direttori nelle tv e il 91,3% nelle radio sono caucasici.