Partendo dai dati di un sondaggio fra 1800 tra professori e giornalisti, Howard Finberg, su Poynter,  sottolinea la necessità di ripensare con urgenza il sistema e i contenuti della formazione al giornalismo. ‘’Coloro che non innovano in aula resteranno indietro – dice -, proprio come quelli che hanno scelto di non innovare nelle redazioni’’.
L’ innovazione dirompente in atto si traduce innanzitutto in un crollo dell’ortodossia secondo cui a una struttura universitaria dovrebbe essere assegnato in ogni caso un grande valore.
‘’ Sempre più genitori, studenti, funzionari governativi ed esperti di educazione stanno mettendo in discussione la saggezza di una spesa a sei cifre per una formazione che non fornisce un chiaro ritorno economico’’.
Insomma, ‘’i titoli di studio in giornalismo rischiano di essere percepiti come irrilevanti. E questo si riflette in una eliminazione dei programmi di giornalismo in molte università o nella loro incorporazione del giornalismo all’ interno dei corsi più ampi in comunicazione’’.
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Journalism schools need to adapt or risk becoming irrelevant
La cosa che spaventa di una rivoluzione è che non si sa dove andrà a finire.
Quaranta anni fa non immaginavamo che la prima chiamata con un cellulare avrebbe portato al mobile e agli smartphone. Venti anni fa non potevamo prevedere che Amazon avrebbe trasformato il commercio al dettaglio. Dieci anni fa non c’ erano Facebook o Twitter.
Nessuno sa dove porterà una innovazione dirompente.
Quello che sappiamo, però, è che il futuro della formazione al giornalismo è a un punto critico, almeno  per due ragioni.
1. Il tempo stringe. L’ innovazione, guidata da economia e tecnologia, sta piombando sul sistema universitario molto più rapidamente di quanto molti amministratori non si rendano conto.
2. La formazione giornalistica subirà cambiamenti fondamentali nel modo in cui il giornalismo si insegna e in  chi la insegna. Coloro che non innovano in aula resteranno indietro – proprio come quelli che hanno scelto di non innovare nelle redazioni.
Per più di un anno, una accesa discussione ha imperversato sul  futuro della formazione al giornalismo. Gli accademici, i dirigenti delle Fondazioni e i giornalisti professionali stanno ancora discutendo a che cosa somiglierà il futuro della formazione giornalistica, proprio come tutti noi stiamo discutendo su quello a cui somiglierà il futuro del giornalismo.
Queste discussioni sono state alimentate in parte da un sondaggio della sezione News University che Poynter ha condotto nella primavera del 2012. E mi delude, anche se non mi sorprende, il fatto che sia gli educatori che i professionisti non hanno cambiato granché le loro posizioni rispetto all’ anno scorso.
Una nuova indagine di Poynter, condotta nel corso degli ultimi tre mesi, non mostra alcun cambiamento nell’ atteggiamento di entrambi i gruppi. Con più di 1.800 risposte, equamente divise tra i professionisti e gli accademici, vi è ancora un ampio divario – più di 40 punti percentuali – tra i due gruppi.
Oggi, all’ interno del campione intervistato, il 96% dei docenti di giornalismo – in relazione al valore del giornalismo – pensano che una laurea sia da molto importante a estremamente importante. Un risultato quasi identico a quello del 2012.
I professionisti – i redattori e coloro che lavorano nel giornalismo – hanno una opinione meno radicale,  con il 57% per cui una laurea è da molto importante a estremamente importante. E anche questa percentuale è la stessa dell’anno scorso.
Invariato anche il divario tra il punto di vista degli educatori e dei professionisti sull’ importanza di una laurea in giornalismo in relazione alle  “capacità nella raccolta, l’ editing e la presentazione delle notizie”. Quasi tutti gli educatori (98%) dicono che, su questo piano,  la laurea è da molto importante a estremamente importante. Mentre  solo il 59% dei professionisti è dello stesso parere, con quasi uno su cinque secondo cui la laurea,  nel campo della raccolta delle notizie, non è affatto o è solo poco importante.
C’ è un grande scollamento quindi tra giornalisti professionisti e comunità accademica. Ma anche fra questi ultimi c’ è un forte timore che la formazione non tenga il passo.
Il 39% degli accademici ritengono che l’ attuale sistema di formazione sia per niente o poco al passo con i cambiamenti del settore. Redattori e capi delle redazioni sono ancora più duri su questo piano, con il 48% secondo cui l’ insegnamento accademico non fa fronte ai cambiamenti del settore.
Per quanto riguarda il peso di una laurea in giornalismo nell’ ottenimento di un posto di lavoro, il divario tra professori e professionisti si restringe. Più della metà (53%) dei docenti pensano che una laurea in giornalismo sia da molto a estremamente importante per ottenere un lavoro. Mentre è dello stesso parere il 41% dei professionisti.
Fra questi ultimi, i “lavoratori autonomi” danno della laurea in giornalismo una valutazione ancora più bassa: solo il 38% ritiene che la laurea sia da molto a estremamente importante per ottenere un  lavoro.
Questo significa che, anche se i punti di vista non sono cambiati rispetto a un anno fa – o forse anche perché non sono cambiati – dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per ripensare sistema e contenuti della formazione al giornalismo.
Quello che conta – spiega -è che i titoli di studio in giornalismo rischiano di essere percepiti come irrilevanti. E questo si riflette in una eliminazione dei programmi di giornalismo in molte università o nella loro incorporazione del giornalismo all’ interno dei corsi più ampi in comunicazione.
Vorrei sottolineare questo punto critico: mi preoccupo per il futuro dei corsi di laurea (e dei programmi) in giornalismo più di quanto lo faccia per il futuro del giornalismo – e, per estensione, per la formazione al giornalismo.
La vera rottura che i college e le università devono affrontare è che il valore delle lauree è in declino – anche se l’ istruzione e la formazione rimangono importanti per il futuro di un individuo. Nel prossimo futuro, credo, ci sarà una grande sfida economica che le nostre istituzioni educative si troveranno di fronte: convincere i futuri studenti e i loro genitori che la laurea tradizionale ha ancora un valore.
Gli amministratori delle università devono affrontare lo stesso dilemma delle loro controparti nel campo professionale. Scambiare dollari di iscrizione ai corsi contro centesimi digitali di e-learning potrebbe essere l’unico modo per sopravvivere.
Ma questo è solo l’inizio.
L’ innovazione dirompente
Le stesse forze dirompenti che hanno investito l’ industria dei media stanno minacciando ora la base economica delle università pubbliche e private. I protagonisti del mondo dei media sono stati lenti nel capire che il loro modello di business stava per essere duramente colpito dalla tecnologia e che Internet avrebbe trasformato un bene prezioso in qualcosa con poco o nessun valore.
Le notizie erano un bene prezioso perché scarso. Internet ha trasformato la scarsità in abbondanza, fornendo ai consumatori nuovi sbocchi e nuove piattaforme per accedere all’ informazione.
La stessa cosa, credo, sta per accadere all’ istruzione.
Sempre più genitori, studenti, funzionari governativi ed esperti di educazione stanno mettendo in discussione la saggezza di una spesa a sei cifre per una formazione che non fornisce un chiaro ritorno economico. Questo non è solo un problema della formazione al giornalismo, ma una sfida più ampia, una messa in discussione della ortodossia dell’ idea che a una struttura universitaria andasse assegnato un grande valore.
Anche se, in media, i benefici superano i costi dei corsi universitari, un Rapporto della Brookings Institution pubblicato a maggio sostiene che “un diploma di laurea non è di per sé un investimento intelligente per ogni studente in ogni circostanza.”
Il costo di iscrizione, le caratteristiche personali degli studenti, le materie principali che scelgono di studiare, e le loro probabilità di laurearsi, sono tutti parametri per calcolare se l’ iscrizione a quel College vale l’investimento.
“Il College è un non una cosa omogenea, e una laurea non è un biglietto per andare dovunque”, ha spiegato Brookings’ Isabel Sawhill, del Brooking, a un giornalista del San Francisco Chronicle. “Ci sono un sacco di diversi tipi di biglietti, e alcuni di questi non vi portano da nessuna parte.”
Tutto questo in un periodo in cui le iscrizioni ai corsi di giornalismo e di Comunicazioni è vergognosamente alto, mentre  le assunzione da parte dei media tradizionali sono a un minimo storico. Quando si parla di valore dei soldi investiti, i titoli di studio in giornalismo possono avere molto meno valore di quello che avevano in passato.
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Il cambiamento tecnologico
Che cosa le scuole o i programmi di giornalismo faranno nei prossimi anni per combattere questa percezione sarà fondamentale. Nei periodi di innovazione il tempo non è dalla parte delle istituzioni esistenti. Tempo e il moto sono dalla parte degli innovatori.
L’ innovazione dirompente nel campo dell’ industria dei media significa che il giornalismo viene creato e distribuito su nuove piattaforme da giornalisti auto-imprenditoriali indipendenti. Significa che il giornalismo è fuori del tradizionale modello di business dei mass media.
“Per insegnare il giornalismo nell’ era digitale bisogna insegnare sia il giornalismo che l’era digitale – e  utilizzare strumenti moderni per farlo”, sosteneva all’ inizio di quest’ anno Eric Newton, della Knight Foundation. “Ecco perché le scuole che fanno questo seriamente crescono sempre di più”.
L’ E-learning è ovviamente un nuovo modo di insegnare. Anche all’ interno di antichi edifici coperti di edera, le scuole di giornalismo possono esplorare altri metodi, come ad esempio:
- laboratori di innovazione, come quello messo in piedi dalla scuola di Giornalismo e Comunicazioni di massa ‘’Walter Cronkite’’ della Arizona State University
- programmi di apprendimento ibrido che miscela l’e-learning con il lavoro in classe
- sessioni in aula che sono discussioni sui materiali formativi on-line piuttosto che lezioni
Le scuole stanno elaborando altre innovazioni. Che possono o non possono avere successo. Due che mi vengono in mente sono i Massive open online courses (corsi online aperti, MOOCs) e il Digital badge movement (curricula di studi al posto della laurea-generica,ndr).
La maggior parte dei docenti di giornalismo – l’ 84% – dicono di avere almeno un po’ di dimestichezza con i MOOC. Eppure solo il 22% pensa che il giornalismo dovrebbe essere insegnato attraverso un MOOC. Una percentuale leggermente maggiore, più di un terzo degli intervistati, hanno detto che sarebbero disposti a insegnare giornalismo via MOOC. Altrettanti hanno detto di essere incerti e il 28% ha risposto di no.
Ci sono grandi questioni e dubbi circa l’ efficacia dei MOOC. Anch’ io sono un po’ scettico sulle potenzialità dei MOOC pubblici, che registrano tassi di abbandono valutati attorno al 90%. Ma, con la formazione al giornalismo, non è questo il problema. I MOOC pubblici sono aperti e gratuiti, ed a volte la gente considera solo quello che viene insegnato.
I MOOC sono importanti però perché ci danno l’opportunità di sperimentare. Questa forma di diffusione ci aiuta a capire nuovi modi di insegnare utilizzando la tecnologia. Dobbiamo scoprire che cosa funziona e perché.
La San Jose State University ha fatto degli esperimenti con il formato MOOC e ha tratto alcune dure lezioni con i cinque corsi online offerti in collaborazione con Udacity. I corsi erano relativi a elementi di statistica, algebra a livello universitario, introduzione alla programmazione, matematica e introduzione alla psicologia. Mentre i tassi di completamento sono stati molto buoni, all’ 83%, la maggioranza degli studenti  (dal 56% al 76%) non ha superato gli esami finali.
Sebbene la SJSU abbia interrotto esperimento, credo che un bilancio saggio venga dal CEO di Udacity, Sebastian Thrun, che ha scritto sul blog aziendale:
Nel nostro esperimento, ci siamo fermati alle tradizionali 15 settimane per semestre. Se quel programma può funzionare per gli studenti a tempo pieno del campus, lo sappiamo che non può andare bene per tutti. Se ampliamo la base degli studenti che raggiungiamo con queste classi, dobbiamo allargare anche la nostra prospettiva su ciò a cui deve assomigliare  un “semestre”. Bisognerebbe impostare il proprio ritmo e le scadenze per rientrare nei programmi di lavoro, nei momenti in cui si ha accesso ai computer, o negli orari delle classi di scuola superiore.
Questo è lo spirito di una startup: lancio, errori/insegnamento, ripetere, rilanciare. E poi rifare tutto da capo.
Cambiare le competenze cambiando i giornalisti
Molto è stato scritto su come le migliaia di giornalisti autonomi stanno creando nuovi sbocchi e nuove opportunità . E abbiamo scritto molto sui nuovi strumenti di cui i  giornalisti hanno bisogno in questo ambiente in continua evoluzione.
Quello che è meno noto, tuttavia, sono le competenze specifiche di cui i giornalisti avranno bisogno per avere successo in futuro.
Due terzi (il 66%) dei docenti che hanno risposto al sondaggio credono che le loro scuole o i loro dipartimenti siano disponibili a cambiare i programmi. Questa è una scoperta emozionante, perché l’ educazione al giornalismo può rimanere rilevante solo se prende l’ iniziativa anticipando le competenze che saranno necessarie e garantendo che gli studenti imparino questi saperi. Ma questo dato solleva anche la questione del perché non si facciano più esperimenti. Le scuole sono aperte al cambiamento, ma semplicemente non sanno cosa fare?
Una parte di tale ripensamento strategico comporta l’ eliminazione del gap tra professori e professionisti. E probabilmente questo significa riflettere su alcune delle riflessioni in corso su quello che viene insegnato in classe e quello che è la formazione giornalistica.
Quali competenze, attitudini e conoscenze farà il successo di un giornalista in futuro? Possiamo ragionare quanto vogliamo, ma non abbiamo molti dati su cui basarci per le risposte. Quindi, Lauren Klinger (NewsU) e io abbiamo realizzato un nuovo sondaggio sul  futuro delle competenzee giornalistiche.
Stiamo chiedendo così a docenti e giornalisti di aiutarci a identificare ciò che è importante in quattro aree:
1. Conoscenze, attitudini e caratteristiche personali
2. Raccolta delle notizie
3. Capacità di produzione
4. Competenze tecniche / multimediali
Non sappiamo cosa troveremo con questa indagine, ma mi aspetto che sorgano nuove idee che ci aiutino a ripensare la formazione al giornalismo.
Quello che sappiamo, però, è sufficiente per farci lavorare per reinventare il nostro futuro:
- Sappiamo che la tecnologia sta sovvertendo il modo con cui la formazione viene fornita.
- Sappiamo che la tecnologia sta distruggendo la base economica dell’ istruzione.
- Sappiamo che il giornalismo sta cambiando più rapidamente dell’ istruzione al giornalismo.
Non è troppo tardi per rimodellare l’ istruzione giornalistica. Ma il tempo non è dalla nostra parte. So che molti docenti si battono contro l’ idea di rinunciare a una parte di quello che amano – come ad esempio insegnare in una classe – mentre altri lottano per adottare le nuove tecnologie e i nuovi approcci al mestiere del giornalismo.
Di fronte al cambiamento possiamo o piangere il passato o lavorare insieme per inventare il futuro.