Prosegue su vari spazi online il dibattito sul futuro del giornalismo, i possibili business model e vari annessi relativi al contesto italiano.
Dopo l’analisi di Marco Alfieri, direttore de Linkiesta, su sfide (e cadute) del digitale, e l’opinione di Marco Dal Pozzo sul giornalismo come guida e stimolo per le comunità (con relativi commenti), nei giorni scorsi ci sono stati ulteriori interventi: eccone una sintesi.
In questo quadro vanno intanto ricordati i recenti interventi di Jeff Jarvis, proposti da Lsdi in italiano e ovviamente centrati sulla scena Usa, ma che comunque offrono ampi agganci per proseguire la discussione generale.
Dove si segnala la posizione di Francesco Piccinini, tesa a sottolineare che, dopo la fine del giornale cartaceo, «dobbiamo fare i conti con un’altra sfida: quella della morte del giornale online».
Questi i punti salienti dell’articolo del fondatore di Agoravox:
«Il contenuto deve bussare alla porta del lettore che lo sceglie perché risponde ad una sua esigenza immanente, che non è il concetto di un generico “essere informato†(concetto borghese ma che in un processo di democratizzazione dell’informazione non è più centrale) ma alla più ampia necessità di interagire. Un contenuto che non interagisce non interessa e, de facto, non esiste. … Finché non cambia il paradigma, finché il concetto di giornale on line non si allarga a un concetto più vasto che definiremo medium solo per convenzione, i conti non potranno mai essere in attivo. Lasciarsi alle spalle l’idea di un giornale come di un’isola è il primo passo».
Analogamente, Vittorio Zambardino (ex Repubblica.it) riprende lo “sfogo” di Alfieri e rilancia sulla possibilità di salvare il giornalismo, puntualizzando fra l’altro:
«Qualcuno ha la nuova grammatica del giornalismo che sa farsi leggere, cioè del giornalismo di successo? Non lo so se c’è. Di certo non lo trovammo noi “vecchi innovatori†e chi fingeva di ascoltarci non ha comunque capito, ma anche i giovani mi sembrano al buio. Potrebbe essere in mezzo al ghiaccio duro della valanga, mentre tutti scendiamo a valle, la condizione ideale per cominciare a discutere, sapendo che una cosa ci accomuna tutti: la sconfitta (no, niente convegni, ma una discussione sì, non reggerei di guardarvi in viso)».
Infine ma non certo per ultimo, queste ed altre utili riflessioni vengono riprese sul blog di Mario Tedeschini Lalli, sotto il titolo della valanga del giornalismo. Se però è cruciale che di questi temi (e ricadute) varie) se ne continui a discutere, andrebbero coinvolti direttamente gli ex-lettori, i cittadini, cercando cioè di andare oltre i soliti addetti ai lavori… altrimenti siamo sempre punto e daccapo, no?
PS: Arriva ora un ulteriore intervento su Wired.it in cui Vittorio Zambardino sembra scagliarsi a spada tratta contro le posizioni (e le pratiche) espresse nei giorni scorsi da Francesco Piccinini (e sintetizzate sopra). A ciascuno il suo giudizio. Ciò conferma però il fatto che se il dibattito sulla crisi del giornalismo italico (e la sua rinascita nell’era digitale) resta confinato agli addetti di ieri o di oggi (quando non chiaramente alla “casta”), anziché capire come la vedono gli ex-lettori, dar voce a “chi non ha voce”, offrire spazi ai cittadini (reporter o meno), ai netizen e alle nuove leve, bè, il cambiamento appare decisamente un miraggio.