Anche chi lavora in redazione può essere colpito da stress post-traumatico
Lo stress post-traumatico, un disordine psichico di cui soffrono persone che sono state esposte a episodi di violenza estrema, potrebbe colpire anche i giornalisti che lavorano all’ interno delle redazioni e che trattano contenuti prodotti dai cittadini.
E’ la conclusione a cui sono giunti un gruppo di ricercatori del dipartimento di Psicologia dell’ Università di Toronto, che hanno pubblicato i risultati in UK, nel Journal of the Royal Society of Medicine.
Questo disordine psicologico, una forma di forte ansia – segnala 233grados – viene di solito alle vittime di attentati o a militari che hanno partecipato a una guerra. Può colpire anche i giornalisti corrispondenti da zone di conflitto, quando vengono coinvolti in episodi estremamente traumatici e stressanti.
Lo studio, il primo di questo tipo, ha concluso però che “il flusso incessante di questo materiale, insieme alla durata di alcuni conflitti, fanno sì che i giornalisti siano freqentemente e costantemente esposti a immagini terribilmente inquietanti’’. Cosa che determina una aumento degli indicatori dello stress post-traumatico tra i giornalisti.
Lo studio è stato condotto slla base di un son daggio condotto su 116 giornalisti dipendenti da tre grandi testate, anche se non si sa quali. Di questi, il 40,9% doveva guardare ogni giorno i contenuti prodotti dagli utenti in cui si potevano vedere immagini molto violente, e il 46,1% lo faceva con una cadenza almeno settimanale.
Anche se lo studio è cauto e spiega che non sono state fatte interviste personali e quindi non si può determinare in nessun modo se i giornalisti al centro dello studio erano colpiti da stress post-traumatico, ma che c’ c’ è una correlazione tra l’ esposizione frequente a immagini violente e quel disordine, così come con la depressione e il consumo di alcol. Anche se la relazione con questi due comportamenti, tuttavia, non è elevata. Lo studio ha anche concluso che sono le giornaliste donne ad essere le più colpite dalla esposizione a queste immagini.
“La ricerca – spiega il dottor Anthony Feinstein, che ha guidato il lavoro – conclude che è la frequenza dell’ esposizione ad immagini di violenza, piuttosto che la durata a causare stress emotivo ai giornalisti che lavorano con il materiale prodotto dagli utenti. Dato che il buon giornalismo ha bisogno di giornalisti sani, le redazioni hanno bisogno di rivedere la loro organizzazione per evitare i rischi legati alla visione di tali contenuti. I nostri risultati suggeriscono che ridurre la frequenza di queste esposizioni potrebbe essere una soluzione “.