Basta commenti, negli Usa cominciano a bandirli
I commenti in calce a post e articoli online sono stati da sempre un punto forte di Internet, opzioni cruciali per la conversazione e gli scambi a due vie. Eppure man mano si sono rivelati ingestibili e inutili, almeno per diversi siti d’ informazione e/o in varie circostanze.
Tant’ è che molte testate (soprattutto nostrane) normalmente preferiscono farne a meno. Trend questo che ora sta prendendo piede anche in Usa, dove finora rimanevano un importante canale di comunicazione.
Come chiarisce un post su Digiday, Quartz (il sito di news nativo digitale di Atlantic Media) non prevede commenti fin dal suo lancio nel settembre 2012, come pure The Dish (del noto Andrew Sullivan), partito l’ anno scorso, e ora anche il fresco Vox (dove però vengono pre-annunciati).
Altri hanno gettato la spugna recentemente: prima Popular Science e ora anche il Chicago Sun-Times. Motivo? In quest’ultimo caso, si tratta spesso di commenti razzisti e denigratori, quando non del tutto fuori luogo, e altrove sono notoriamente zeppi di spam e troll. E ricorrere a registrazioni, captcha o altre barriere tecniche riduce considerevolmente l’ effettivo coinvolgimento degli utenti (oltre all’ iper-gestione redazionale).
Mentre lo stesso fanno note piattaforme partecipative, quali Tumblr (solo rilanci dei post) e Medium (annotazioni a margine), opposta rimane la posizione dell’ Huffington Post, che si appresta a imporre l’ accesso tramite Facebook, e quindi usare nomi reali, per evitare interventi anonimi e per migliorare la qualità dei commenti. Sulla stessa linea Gawker, che offre anzi un’ apposita piattaforma per le discussioni, Kinja, mirata a “buttar giù il muro divisorio tra autori e lettori”.
Proprio le dritte di quest’ultima, insieme alla gestione della community del New York Times e all’ affermato sistema dei voti in voga su Reddit, verranno elaborate dal Chicago Sun-Times per un prossimo rilancio della sezione commenti: «Mi piace l’ idea che la gente possa interagire sul sito», spiega Craig Newman, managing editor del giornale. «E poter creare una community senza dover andare su Facebook e Twitter diventa un valore aggiunto ai nostri contenuti. Non possiamo certo sapere tutto».