Per testate importanti (The Atlantic, Salon, The Nation) si va dai 100 ai 250 dollari per pezzi online, qualcosa di più se si riesce a raggiungere il cartaceo, dove si paga ancora a parole, ma meno per recensioni o racconti.
Queste solo alcune delle tariffe comunemente in vigore per chi riesce a farsi commissionare un articolo su vari siti e riviste Usa, blasonate o meno. Almeno secondo “Chi paga gli autori?“, una sorta di database che raccoglie proprio questo tipo di segnalazioni. Si tratta ovviamente di un elenco anonimo e di taglio crowd-sourcing, con annesso account Twitter (@whopayswriters), curato dal team di una nuova avventura digitale – Scratch Magazine – il cui motto è “Writing + money + life” (ovvero, farsi pagare e campare scrivendo).
Iniziativa decisamente utile, soprattutto in questi tempi di freelancing diffuso e (peggio) lavoro gratuito con la scusa della visibilità online, per mettere allo scoperto una piaga che riguarda le tante testate che traggono vantaggio dall’entusiasmo di giovani autori disposti a scrivere comunque e “aggratis”.
Oltre a interventi quotidiani sul sito, Scratch Magazine è una rivista trimestrale (20 dollari l’ abbonamento annuale, 6 dollari a numero e relativa app per iOS) con approfondimenti, interviste e analisi che affrontano il quadro economico dietro l’ editoria online Usa, visto dalla parte degli autori o dei potenziali giornalisti, troppo spesso “sfruttati e felici”.
Il tutto è nato proprio da conversazioni tra Manjula Martin, freelance che ha avviato il progetto insieme a Jane Friedman, e alcuni di questi autori sul fatto che tante pubblicazioni online chiedono donazioni o sono zeppe d’ inserzioni eppure non pagano i collaboratori. La stessa Martin racconta fra l’ altro di una recente esperienze in cui, dopo aver sudato non poco per concordare un certo articolo, si è resa conto che i responsabili della pubblicazione davano per scontato per lei avrebbe fatto tutto gratis.
In beve, con il prestigio e la visibilità non ci si paga l’affitto, questo il messaggio di Scratch Magazine, i cui obiettivi vengono sintetizzati così: «offrire consigli per aspiranti reporter interessati a fare giornalismo di alta qualità , e a farsi pagare il dovuto, esplorando i modi in cui in cui s’ intersecano arte e commercio nel lavoro, nella vita e nell’ editoria. … Nessuno sa come funzionano davvero queste cose, e Scratch non pretende di avere tutte le risposte, ma sappiamo che il futuro dei mezzi d’ informazione è intelligente, flessibile, e assolutamente trasparente. Ed è tutto nelle nostre mani».
Insomma, un onesto tentativo di base di portare alla luce questo mondo sommerso e le sue palesi contraddizioni, almeno nell’odierno ecosistema mediatico Usa. E in Italia, dove tutto ciò è da tempo la norma, a cominciare dai grandi quotidiani? Vogliamo mica sollevare il coperchio di questo vaso di Pandora…?