E’ appena uscito negli Usa Silenced, un documentario che racconta le intimidazioni e le persecuzioni a cui sono stati sottoposti tre esponenti dei servizi di sicurezza americani che avevano rivelato informazioni relative alla tortura, alla sorveglianza di massa e ad altri abusi di potere del governo.
E’ stato finanziato in parte, per 40.000 dollari, da una campagna di fundraising su Kickstarter, ed è prodotto da Susan Sarandon e diretto da Jamies Spione.
Si riferisce a storie note, ma quello che il regista propone è il carattere umano degli autori delle ‘’soffiate’’, dei leaks: gli ideali patriottici che li hanno spinti a lavorare per agenzie governative come CIA o NSA e poi a rivelare gli eccessi che avevano registrato.
Il documentario – racconta Sheila Coronel sul sito del Global Investigative Journalism Network – mostra come il paesaggio del segreto governativo sia drasticamente cambiato a partire dal 9 settembre 200, con la guerra al terrorismo. E alla fine fa emergere il dato che gli autori delle soffiate, i whistleblowers, giocano un ruolo essenziale: i leaks sono una profilassi necessaria, soprattutto quando rivelano l’ abuso e i danni che le autorità pubbliche provocano ai diritti dei cittadini.
L’ essenza del giornalismo investigativo è nello scoprire i segreti, ma – osserva Coronel – nessun giornalista contesterebbe il fatto che i governi abbiano il diritto di mantenere alcune cose sotto protezione. Ma la segretezza è anche soggetta ad abusi. Non tutti i segreti sono giustificati, e si può tranquillamente sostenere che gli informatori e i leakers meritano protezione se rivelano importanti informazioni che vengono tenute segrete ma sono invece di interesse pubblico.
Queste questioni sono venute alla ribalta nel momento in cui la tecnologia ha reso più facile il leaking – e i circa 1,7 milioni di documenti della NSA che Edward Snowden ha presumibilmente raccolto in alcuni hard disk ne è un buon esempio. Nello stesso tempo però, gli strumenti più avanzati di controllo delle e-mail e dei telefoni hanno aumentato la capacità dei governi di monitorare le fonti delle soffiate.
Fino a poco fa – continua la giornalista – pensavo che il modo aggressivo con cui il governo americano perseguiva le fughe di notizie dei media si limitasse al campo dei segreti di stato e della sicurezza nazionale. Ma, a quanto pare, non sono solo la CIA, la National Security Agency o il Dipartimento della giustizia a indagare sulle rivelazioni di informazioni non autorizzate.
Uno dei miei ex studenti, la giornalista della Reuters Sarah N. Lynch, è stata recentemente oggetto di una inchiesta – durata sei mesi –  della Securities and Exchange Commission, in relazione a due articoli pubblicati nel settembre dello scorso anno in cui si rivelava quello che era accaduto in una riunione del vertice esecutivo della SEC, quando i commissari stavano decidendo sulla liquidazione della JP Morgan. Le fonti di quegli articoli non venivano indicate e il presidente della Sec aveva affidato agli ispettori il compito di indagare. Erano stati quindi controllati le e-mail e le telefonate di 39 dipendenti, mentre erano stati sentiti 53 membri del personale, inclusi i cinque commissari, ed esaminati tutti i registri e le scansioni delle registrazioni degli accessi dei giornalisti alla sede della Commissione.
In un articolo pubblicato dalla Columbia Journalism Review qualche giorno fa, Coronel aveva scritto sulle inchieste che la SEC aveva intrapreso dopo la crisi finanziaria del 2008. Dalle relazioni semestrali che l’ Office of Inspector General (OIG) ha presentato al Congresso, la giornalista aveva scoperto che nel corso di otto indagini su fughe di notizie ai media avvenute negli ultimi sei anni, la SEC aveva controllato circa un milione di email inviate da quasi 300 membri del suo personale, interrogato circa 100 dipendenti e monitorato i tabulati telefonici di decine di altre. (Una tabella con i dettagli di queste indagini è qui).
E ‘difficile capire cosa era in gioco in quellache la SEC definisce divulgazione non autorizzata. Certamente non questioni di sicurezza statale. Né la diffusione di segreti commerciali o  il rilascio prematuro di informazioni finanziarie, perché la SEC stessa aveva  fornito informazioni riservate alla stampa in quello che sembra essere un tentativo di mostrare che sta perseguendo con forza i trasgressori. Questo doppio standard – perseguire le soffiate “scomode” ma tollerare o addirittura incoraggiare quelle ‘’benefiche’’ – vale in particolare nel campo della sicurezza nazionale.
Quello che colpisce di più, però, è che spesso vengono puniti gli informatori ma non coloro che hanno commesso i cfrimini denunciati. Ad esempio – segnala Coronel - John Kiriakou, l’ ex analista della CIA che era stato il primo a confermare l’ uso del waterboarding sui sospetti membri di Al-Qaeda. Kiriakou è andato in prigione l’ anno scorso per diffusione ai media di informazioni classificate.
La SEC, tuttavia, opera in un campo che dovrebbe essere meno secretato di quello della sicurezza nazionale. Le sue inchieste aggressive sulle soffiate ai media, secondo la giornalista, è inquietante perché, ora più che mai, i giornalisti finanziari hanno bisogno della massima possibilità di riferire sugli eccessi delle corporation e sugli sforzi del governo per frenarli.
Nel pezzo Coronel aveva scritto:
Lo zelo con cui vengono gestite queste indagini interne è preoccupante. Le inchieste sulle soffiate inviano un messaggio raggelante sia ai giornalisti che alle loro fonti. E possono anche impedire il legittimo lavoro di raccolta di notizie e restringere il diritto di cronaca.
La SEC è una potente agenzia con un grande mandato che risale al crollo del mercato azionario del 1929: proteggere gli investitori e mantenere mercati equi e funzionanti. Questo ruolo è diventato ancora più importante dopo la crisi finanziaria del 2008.
La SEC è l’ autorità che deve far osservare la legge per il settore finanziario. Il suo successo o il suo fallimento nella regolazione delle società e nell’ opera di freno degli eccessi delle istituzioni finanziarie sono questioni che riguardano non solo il pubblico americano, ma, dato il contagio globale seguito al crollo della Lehman Brothers nel 2008, anche tutto il resto del mondo.
Un maggiore controllo della SEC da parte dei media avrebbe fatto del bene a tutti noi… Le soffiate forniscono al pubblico informazioni su come funziona la commissione, anche se vengono rivelate notizie che potrebbero costituire un inconveniente per l’ agenzia.
Lo scorso autunno, il Committee to Protect Journalists (CPJ) ha pubblicato un Rapporto  scritto dall’ex direttore esecutivo del Washington Post, Leonard Downie Jr.. che ha analizzato come la politica di aggressiva pressione giudiziaria sulle fughe di informazioni stesse fortemente restringendo il diritto di cronaca. “Nell’ amministrazione Obama, i funzionari del governo hanno sempre più paura di parlare con la stampa”, osservava il CPJ. “Le persone sospettate di parlare con i giornalisti di qualsiasi cosa il governo abbia classificato come segreto sono oggetto di indagine, con controlli attraverso le nuove macchine della verità e il monitoriaggio delle conversazioni telefoniche e della posta elettronica”.
Il CPJ sta per lanciare una Campagna per il Diritto di cronaca, in cui si chiede all’ amministrazione di vietare “l’ hacking e la sorveglianza dei giornalisti e delle testate e di limitare le azioni giudiziarie troppo aggressive che bloccano i giornalisti e intimidiscono le loro fonti”.
Il nome della campagna – conclude Coronel, che fa parte del consiglio direttivo del CPJ – è perfetto, perché quello che è in gioco in queste indagini sulle soffiate è proprio questo: il diritto di cronaca.