Si tratta dell’ anteprima di un saggio (in uscita a ottobre) in cui Jarvis indaga e riflette in profondità su “nuovi tipi di relazione, nuove forme e nuovi modelli imprenditoriali per il giornalismo di domaniâ€.
Come spiega egli stesso: «È la mia risposta al quesito: “Adesso che la tua Internet ha rovinato l’informazione, che si fa?â€. Non ho la presunzione di fare predizioni, bensì solo di esplorare le opportunità possibili».
Premessa
di Bernardo ParrellaÂ
Nel bel mezzo della disruption continua imposta dal digitale, è più vivo che mai il dibattito globale sullo stato del giornalismo. Anzi, sul suo futuro e sulla sua inevitabile e costante trasformazione, nell’ambito altrettanto liquido della società odierna.
Un futuro che inevitabilmente prende mille forme, grazie ai tanti giornalismi possibili innescati dalla rivoluzione del web e dei social media, con un’ampia varietà di esperimenti in corso. Perché una delle lezioni centrali dell’ avvento diffuso di internet (e grave sarebbe non tenerne conto, qui e ora) è l’ assenza di un modello unico o di pochi casi di successo da imitare, imponendo piuttosto approcci differenziati ed esperimenti localizzati, viste altresì le differenze tra Paesi e contesti, amplificate ancor più dagli strumenti online.
È all’interno di questo dibattito dinamico e partecipato che si pone l’ampia riflessione in cui Jeff Jarvis – noto studioso e giornalista USA, oltre che docente presso la City University of New York e autore di uno dei blog più seguiti da anni, non solo dagli addetti ai lavori, buzzmachine.com – indaga prospettive e percorsi (nuovi modelli imprenditoriali inclusi) per il giornalismo di domani. Esplorando le opportunità sul tappeto per reinventare la professione, da una parte, e, dall’altra, per sviscerarne al meglio le potenzialità .
Ribadendone comunque l’ impegno sociale verso un’ informazione a difesa dei principi etici e a servizio dei bisogni del pubblico. Punto importante delle analisi di Jarvis (affiancato in questo da giornalisti anche di ambito tradizionale) è la centralità del coinvolgimento e della collaborazione dirette della gente comune, del cosiddetto “ex-lettoreâ€, nel processo di produzione dell’ informazione in senso lato.
Non a caso, negli articoli che seguono non manca di segnalare strumenti e modalità alla portata delle redazioni online per creare legami più profondi e utili (anche rispetto ai nuovi business model possibili) tra le comunità di riferimento e i giornalisti stessi. Sottolineando che siamo davanti a un «sistema brulicante e disorganizzato che deve essere razionalizzato mettendo tutti gli attori in rete per potenziare la nuova offerta di informazione giornalistica», Jarvis non manca infatti di dettagliare alcune pratiche ed esperimenti locali, come quello del New Jersey News Commons in cui è direttamente coinvolto.
La tesi che sembra emergere è quella dove la figura del giornalista, per avere un futuro nel magma digitale, deve liberarsi da vincoli e limiti del passato per esplorare senza preconcetti strade nuove. Si tratta cioè di collaborare trasversalmente alla creazione di nuovi ecosistemi d’informazione, con il progressivo e inevitabile indebolimento dei media tradizionali e dei loro monopoli/oligopoli in mercati dominati dalla scarsità e l’arrivo di numerosi nuovi protagonisti in uno scenario in cui domina l’abbondanza. Né va sottovalutata l’opportunità per i giornalisti di vedersi anche come “educatoriâ€, capaci di «spingere lettori e comunità a sperimentare, condividere e costruire in autonomia, in base a proprie abilità , desideri e bisogni».
Ricordando altresì, insiste Jarvis, che la natura di fondo del lavoro giornalistico «non riguarda – come si è sempre creduto – solo la produzione di contenuti, quanto piuttosto la realizzazione di un servizio ai cittadini: la costruzione di una comunità in cui ciascuno rende più informati gli altri».
Se per certi versi questo scenario appare un po’ alieno per l’Italia, dove vigono tuttora dinamiche parzialmente diverse da quello statunitense a cui si riferiscono in primis le riflessioni di Jarvis, dobbiamo ricordarci che internet non discrimina e che le potenzialità di cambiamento sono alla portata di tutto e di tutti.
Certo, la discussione va localizzata e gli esperimenti tagliati su misura per i contesti nostrani. Favorendo la massima estensione di questo dibattito onde coinvolgere direttamente, non tanto o non solo gli addetti ai lavori, bensì anche i soggetti primi della questione: “ex-lettoriâ€, cittadini, citizen-reporter, blogger, curiosi, ragazzi e cani sciolti – oltre naturalmente a chi opera in settori complementari, dal mondo dell’istruzione alla cultura ai new media e quant’altro.
Sappiamo bene che anche nel mondo dell’informazione italiano, pur con tutti i suoi problemi, c’è una gran voglia di innovazione e sperimentazione, oltre che urgente necessità di differenziare i business model e investire nelle nuove leve. Soprattutto oggi che l’era dei media di massa, di un modello unificato da imporre a tutti su come e quando fare informazione, è decisamente obsoleta, anzi bell’e defunta, come sottolinea lo stesso giornalista statunitense.
Se vogliamo anche in Italia un giornalismo che sia davvero capace di trarre vantaggio dalla costante disruption di internet, occorre aprire le porte al nuovo nelle sue mille forme, dando spazio e sostenendo i tanti giornalismi possibili. Oltre, appunto, a coinvolgere quanti più soggetti possibili nell’articolato dibattito in corso. Quadro in cui i suggerimenti di un veterano come Jeff Jarvis, pur con le dovute differenze tra i due contesti, possono senz’altro costituire un importante spunto di discussione e, perché no?, uno stimolo per adattare e applicare anche nel Bel Paese qualche buona pratica citata di seguito.
Il Pdf completo con i cinque articoli è qui