”Cosa si impara lavorando in un giornale digitale” (Linkiesta)

Linkiesta

«Rispondo volentieri a Claudio Plazzotta di Italia Oggi che l’altro giorno, raccontando i conti disastrati dell’editoria digitale indipendente in Italia, mi ha chiesto sul suo giornale se mi fossi pentito di aver lasciato un posto da inviato de La Stampa per approdare a Linkiesta».

 

Apre così una lunga analisi di Marco Alfieri, direttore de Linkiesta, sulla “crisi” dell’ informazione nostrana, o meglio: sulle sfide che si trovano ad affrontare le nuove entità online nel generale cambiamento in atto (con ovvi agganci rispetto alle testate mainstream).  Ne rilanciamo di seguito alcuni passaggi salienti.

 

La verità è che negli ultimi 2-3 anni abbiamo risposto a questo cambio di paradigma, è pure sbagliato continuare a chiamarla crisi, persino peggio della politica che tanto critichiamo sui nostri giornali: arroccandoci come una casta qualsiasi. Vade retro innovazione. Ovviamente non vale per tutti i gruppi editoriali e per tutti i giornalisti, ma se ci guardiamo in casa l’ andazzo generale è sostanzialmente questo.

 

Per questo dico che è difficile avere nostalgia di un modello del genere, ben più conciato di noi tapini digitali che abbiamo il torto di essere nudi davanti al mercato: coi nostri difetti, i nostri bilanci oggettivamente inguardabili, le nostre ingenuità, senza (ancora) modelli di business sostenibili ma anche senza protezioni, senza soldi pubblici, senza santi in paradiso. Giustamente, ogni errore lo si paga salato.

 

A Linkiesta ho imparato che un giornale digitale per essere innovativo e quindi sostenibile deve avere un cuore tecnologico. La tecnologia non è una commodity o una spesa da comprimere come pensa qualcuno. La tecnologia è il motore immobile di tutto. Ti permette di non fermarti all’ esistente, di monitorare al centimetro il tuo business e dunque pianificare e correggere. La tecnologia plasma i contenuti e li veicola tra un pubblico più ampio. Negli Usa gli ultimi progetti nati, la galassia Vox media, The Verge, Quartz, Buzzfeed, il sito di Nate Silver, indipendentemente dal prodotto e dal modello di business che hanno, possiedono tutti una cifra tecnologica potentissima. La tecnologia è quasi sempre la prima voce di investimento e statistici, ingegneri, blogger e giornalisti lavorano gomito a gomito.

 

A Linkiesta ho imparato che non ci sono rendite di posizione che ti porti dietro dalla carta stampata, tutto viene misurato, tracciato. Non esistono firme, non esistono salotti e salottini che ti schermano, non esistono contenuti più contenuti di altri. E, soprattutto, guida il lettore. Sempre.

 

A Linkiesta ho imparato che non esiste un giornalismo di serie A, di serie B e di serie C ma solo buona e cattiva informazione. Giornalismo digitale (ma non solo) vuol dire:

1. scovare una notizia e farla capire nel modo più semplice possibile
2. contestualizzare una vicenda, collocarla al posto giusto, allargare la visuale
3. interpretare facendo comprendere i termini della questione
4. intrattenere perché il lettore/utente deve considerare il momento informativo come un momento (seppur impegnativo) di intrattenimento.
5. interagire perchè i social network sono un pezzo di costruzione di una community tra utenti ed erogatori di contenuti editoriali.