Data journalism: alta specializzazione per giornalisti non disintermediati
Se il processo di progressiva disintermediazione in atto nell’ informazione digitale mette in crisi il ruolo e la figura del giornalista, lo sviluppo dell’ ecosistema dei dati produce un effetto opposto: il bisogno di giornalisti-mediatori con un livello di formazione elevato, tale da assicurare standard professionali di qualità sempre maggiore.
Ecco ad esempio che cosa il Financial Times chiedeva tempo fa in una inserzione per la ricerca di un giornalista esperto di dati: una ‘‘significativa esperienza nell’acquisizione, nel trattamento e nella presentazione dei dati nel contesto della notizia’’; una conoscenza enciclopedica delle attuali migliori pratiche nel campo del data journalism e della visualizzazione interattiva dei dati; una conoscenza di programmi come Excel, SQL, Open Refine o Stata; dimestichezza con i linguaggi HTML e CSS. E infine, ben più importante delle competenze, una ‘‘comprovata capacità di risolvere i problemi in modo indipendente e di tenere costantemente aggiornate le proprie abilità in un settore in rapida evoluzione’’.
L’ episodio viene citato da Martina Cavanna* nella sua tesi di laurea in Scienze per la Comunicazione internazionale all’ Università di Catania (relatore il professor Luciano Granozzi) dal titolo ‘’Un giornalismo di precisione? Storia ed evoluzione del data journalism internazionale’’, che Lsdi pubblica.
Nel campo del data journalism – sostiene il lavoro – si conferma e, anzi, si rafforza il ruolo di mediazione giornalistica, visto che ‘’ la precisione del lavoro è tutto: il data-driven journalism ha fatto proprio questo principio, offrendo un valore aggiunto alle proprie inchieste. La forza del metodo di analisi conferisce precisione e, quindi, obbiettività alla notizia. I giornalisti diventano il ponte e la guida tra coloro che possiedono i dati e il pubblico che vorrebbe accedervi e comprenderli. Il giornalista dei dati diventa una fonte fidata, un rifugio sicuro per l’ informazione di qualità ’’.
‘’Una carriera del genere – osserva Cavanna – comporta una formazione professionale dove il giornalista non è più un ‘narratore romantico’, ma un esperto in strumenti specifici, software, analisi ed elaborazione dei dati. L’ Italia è ancora molto indietro in questo senso – osserva l’ autrice della tesi -, ma i pionieri del data journalism sono molto attivi e si impegnano duramente affinché qualcosa cambi anche nel nostro paese. Ne sono un esempio la Fondazione <ahref o le comunità di Spaghetti Opendata e Datajournalismitaly ([email protected]), senza dimenticare la sezione italiana della Open Knowledge Foundation che condividono il loro sapere per diffondere la cultura dell’ Open Data e del data journalism’’.
La tesi parte dall’ individuazione del campo e dal ruolo di Philip Meyer, noto giornalista americano,  che nel 1968 vinse il Pulitzer con un’ inchiesta sui sanguinosi scontri di Detroit basandosi su dati raccolti da lui stesso. Un anno dopo quel metodo giornalistico acquisisce la sua definizione dal titolo di un libro dello stesso Meyer: ‘’Precision Journalism’’.
‘’Il giornalista – spiega l’ autrice – diventa uno scienziato che, attraverso il rigore del metodo di analisi dei dati, si relaziona alla storia da raccontare’’.
Cavanna analizza il reportage di Meyer e il lavoro di altri due fondatori del data journalism, Bill Dedman, con “The color of moneyâ€, 1989 (sulla discriminazione razziale da parte di banche e istituti di credito ad Atlanta, in Georgia), e Stephen K. Doig, con “What Went Wrongâ€, 1992 (Uragano Andrew), denunciando gli abusi e le frodi edilizie di Miami, che avevano portato a realizzare nel tempo case sempre meno sicure per ottenere ingenti risparmi sui materiali di costruzione.
‘’Doig – racconta la tesi – non fece semplici constatazioni sulla base di ciò che l’ uragano aveva provocato o di quello che gli intervistati avevano affermato. Egli andò oltre, procurandosi tutti i database di cui aveva bisogno per confrontare i dati al fine di dimostrare la sua tesi. Grazie a questa inchiesta, definita da Philip Meyer come l’esempio più importante di giornalismo di precisione, il suo modo di procedere diventa l’ esempio del tipo di servizio pubblico che dovrebbe offrire il giornalismo’’.
Dopo aver descritto la struttura del Data journalism, la tesi passa ad analizzare come esso si stia sviluppando in alcuni paesi, fra cui l’ Italia, e si concentra poi sul caso inglese del Guardian Data.
Una scelta non casuale: si dice che i dati siano un fenomeno nuovo ma la testata inglese ha dimostrato di essere un’ antesignana in questo campo visto che risale al 1821 la prima inchiesta basata sui dati. Una linea che ha ispirato il lavoro del quotidiano britannico finio ai giorni nostri, visto che ha fatto della trasparenza e del crowdsourcing il proprio cavallo di battaglia.
Spiega Martina Cavanna:
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Obbiettivo della ricerca è dimostrare che la data revolution non solo ha cambiato il modo di fare giornalismo, ma ha modificato in profondità anche la mentalità del cittadino e della società . È l’idea stessa di cittadinanza che si sta evolvendo verso una dimensione più attiva e consapevole e ciò che sta accadendo all’ informazione ne è soltanto lo specchio: non è più sufficiente che un articolo sia pubblicato da un giornale per renderlo affidabile; ci vogliono i dati, le informazioni che si celano dietro la creazione di quella notizia. Non è più accettabile che il governo non condivida con i suoi cittadini i dati del proprio operato. È la realizzazione pratica del passaggio da cittadino informato a cittadino informante.
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Centrale al tema in questione è la trasparenza delle istituzioni, che, rendendo aperti i propri dati, ha reso l’informazione più democratica e ha abbattuto quei limiti di accesso che sembravano essere insormontabili. Un nuovo modo di informare, a cui si è arrivati non senza fatica e che comporta ancora notevoli sforzi. Sono molti, infatti, i paesi (fra cui il nostro, ndr) che ancora lottano per uniformarsi agli standard di una vera società democratica, emulando il modello americano e, perché no, tentando anche di superarlo. La trasparenza non è una concessione, ma un diritto che, in quanto tale, deve essere esercitato e difeso.Â
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Il testo integrale della Tesi
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*Martina Cavanna, 25 anni, è nata a Cernusco sul Naviglio ma vive a Ragusa, in Sicilia. Laureata in Scienze per la Comunicazione Internazionale presso l’Università di Catania.
Sin dal giorno della sua fondazione è parte del team di DataJCrew, blog collettivo sul giornalismo di precisione, per cui scrive e cura la comunicazione e i canali social.
E’ appassionata di lingue straniere – in particolar modo quella inglese -, di comunicazione e fotografia.