Secondo Morozov i problemi dello spionaggio, della sorveglianza e dell’ intrusione nella vita privata – osserva Xavier de la Porte, coordinatore del sito rancese – non cominciano con le registrazioni illegali della NSA ma sono connaturati all’ informatica. Morozov tira fuori un testo del 1967, scritto dal matematico e informatico Paul Baran, The Future Computer Utility, che, prima di Internet e prima dei personal computer, anticipava le questioni relative alla privacy che presto avrebbe posto il mondo digitale.
Invece di prendere sul serio quelle previsioni, spiega Morozov, si è creduto alle utopie digitali degli anni ‘80 e ’90 che ci promettevano un Mondo Nuovo emancipato dal capitalismo e dalla burocrazia. Insomma secondo Morozov abbiamo perduto 20 anni immersi nell’ allucinazione collettiva.
E mentre noi ci beavamo nelle allucinazioni, il capitalismo e la burocrazia si adattavano perfettamente al Mondo Nuovo digitale. Nello stesso tempo, dice Morozov, abbiamo visto convergere attorno alla raccolta dei dati gli interessi di due diverse entità : le grandi imprese del digitale da un lato (per realizzare un modello pubblicitario) e il governo dall’ altro (per assicurare la sicurezza dei suoi cittadini).
Con un’ ambizione comune: la predizione dei comportamenti. Per i governi si tratta di impedire un atto invece di dover poi ripararne le conseguenze. A prezzo di qualche attentato alla democrazia. E questo modo di governare, attraverso l’ anticipazione del comportamento grazie alla raccolta di dati ha un nome: ‘’regolazione algoritmica’’. Interviene quando le democrazie, grazie ai dati raccolti, cercano di risolvere i problemi pubblici senza dover spiegare ai loro cittadini cosa stanno facendo. Perché? Perché sono degli algoritmi che lo fanno.
Per esempio, è un algoritmo che decide quake comportamento o quale individuo deve essere considerato a rischio, senza che si sappia esattamente come quel risultato è stato ottenuto. E’ quesllo lo scopo del sistema di sorveglianza della NSA.
E da qui Morozov arriva al secondo aspetto della sua riflessione: invocare il rispetto della privacy è davvero il mezzo migliore per opporsi a questa deriva tecnologica? La sua risposta – dice Xavier de La Porte – è molto interessante. Morozov difende l’ idea che la vita privata non è sempre un agente di democrazia, che troppa privacy può essere un ostacolo alla democrazia quando l’ informazione condivisa non è sufficiente. Non bisogna quindi incaponirsi sulla questione della privacy o farne il perno della nostra lotta contro la sorveglianza, ma puntare più lontano, puntare alla democrazia.
Morozov propone tre strade:
- Politicizzare la questione della privacy. Cioè allo stesso tempo essere molto vigili sul carattere antidemocratico della raccolta di dati, ma anche accettare più rischi, più coraggio, più sperimentazioni, in nome di una democrazia che sia veramente viva (a volte meno privacy può andare d’ accordo con più democrazia).
- Imparare a sabotare il sistema: rifiutare di registrarsi, fare una sorta di boicottaggio informazionale. La privacy allora può tornare a sembrare come un mezzo per rivivificare la democrazia: se vogliamo degli spazi privati è perché crediamo ancora nella nostra capacità di riflessione sui mali del mondo e i mezzi per rimediare e non vogliamo lasciare questo compito agli algoritmi.
- Più servizi digitali che facciano scattare delle provocazioni. Dei servizi che non si accontentino di chiederci se vogliamo dare accesso ai nostri dati personali. I siti dovrebbero fare appello alla nostra immaginazione per mostrarci le conseguenze dei nostri atti digitali: ‘’Non vogliamo un maggiordomo elettronico, ma vogliamo ujn provocatore elettronico’’. Politicizzare le applicazioni, politicizzare i programmi, politicizzare le interfacce.
Ecco perché– conclude dela Porte – Morozov è sempre interessante: è molto critico nei confronti delle tecnologie ma è convinto che essere fanno parte delle risposte.