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#DigitalVenice: molti “cosa fare” e pochi “come farlo”. Ma la speranza resta accesa

“Trasformare l’ambizione in azione”.

 

È l’invito che il Commissario europeo per l’ Agenda Digitale, Neelie Kroes, muove all’ Italia e al Premier Renzi in occasione di Digital Venice.

 

E la trasformazione riguarda (riguarderebbe) praticamente tutto, dalla Pubblica Amministrazione all’ istruzione, dal turismo alla gastronomia, dall’energia all’ambiente, ma anche sicurezza, diritto d’autore, privacy, ecc.

 

Eppure, al di là della sensibilizzazione, della presentazione di buone prassi, del confronto tra stakeholder, ciò che a Venezia (ma anche e soprattutto a Roma) pare mancare è proprio l’azione, il “come fare” rispetto al “cosa” ci si propone di fare.

 


 
di Andrea Fama

 

Le proposte italiane in materia di digitale per il semestre europeo sono contenute nella Venice Declaration, non ancora diffusa. Chi ha avuto il privilegio di leggerne un estratto parla di 10 punti chiave. Come di consueto, il Presidente Renzi ci ha concesso qualche anticipazione via Twitter: mercato e authority digitale unici.

 

E da subito si palesa la prima importante incongruenza: l’Italia è orfana di un’Agenda Digitale, e da giugno anche del suo dimissionario direttore. L’annuncio del nuovo incarico era atteso proprio a Venezia. Invano. Il dubbio è legittimo: come si fa a sostenere che il digitale è la strada maestra e non avere poi neanche una guida per percorrerla?

 

O ancora: secondo il Censis il ritardo digitale ci costa 3,6 miliardi di Euro l’anno (su LSDI ne abbiamo parlato qui). I nostri decisori dicono di voler rianimare il settore aprendolo a nuove opportunità, e la prima cosa che fanno qual è? Tassare i dispositivi mobili. È colpa mia, lo so, ma proprio non ci arrivo.

 

La questione, come spesso accade, è innanzitutto culturale. La tassa sui device è un modo micragnoso e miope di spremere qualche soldo dal frutto succoso dell’innovazione. Pochi maledetti e subito, potremmo dire.

 

Ma l’ innovazione digitale ha molto più da offrirci che un facile bottino alla “prendi i soldi e scappa”. Per beneficiarne, però, c’è bisogno di visione, programmi e strategie di lungo periodo, nella consapevolezza che in fin dei conti investire nel digitale significa risparmiare (come dimostrano anche i dati Censis), e non semplicemente spendere né tantomeno sprecare denaro pubblico. D’altronde, lo scorso anno la PA italiana ha speso più soldi in traslochi e facchinaggio che in consulenze informatiche. Significherà pur qualcosa.

 

Tornando strettamente a Venezia, un altro tema caldo ha riguardato l’alfabetizzazione e le competenze digitali.

 

Se n’è parlato nell’ambito della Pubblica Amministrazione, e l’inglese imbarazzato (e a tratti imbarazzante) del funzionario che ne esponeva gli alti principi suggeriva che l’alfabetizzazione della nostra PA dovrebbe partire da ben più lontano.

 

E, soprattutto, se n’è parlato in ambito scolastico. Questo è il vero nodo nevralgico: formare nuove generazioni in grado di abitare attivamente il mondo digitale e, auspicabilmente, migliorarlo. Si è insistito sulla necessità di insegnare programmazione già dalle scuole elementari. Fantastico! Ma come si fa senza computer? Il rapporto tra studenti e PC è bassissimo. Bisognerebbe comprarne di nuovi, e parecchi. Ma come si fa senza soldi? I presidi dovranno decidere se riparare tetti e finestre (secondo la teoria del “rammendare” suggestivamente rilanciata da Renzi) o dotarsi di adeguate attrezzature informatiche. Mmm …

 

Un’ultima nota la merita il tema della Pubblica Amministrazione, la sua trasparenza e il rapporto con i cittadini (in ambito digitale e non solo).

 

L’Italia è penultima in Europa per uso dei servizi on-line della Pubblica Amministrazione. L’interazione digitale con gli utenti è molto scarsa (riguarda solo il 34% dei cittadini, in Francia 72%, la media europea è 54%), e quella analogica molto faticosa.

 

La partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica è minima, la sfiducia nel suo operato massima. Oggi una delle cifre caratterizzanti dell’innovazione digitale è rappresentata dal crowd, inteso come intelligenza competenza e impegno collettivi. Una vera riforma della PA dovrebbe, tra le altre cose, promuovere proprio la partecipazione in un rapporto non verticale ma orizzontale, o meglio ancora circolare, tra PA e cittadini. È ora che le istituzioni ci riconoscano come partner e non come subalterni elettori/consumatori/utenti/ecc.

 

È questa la svolta – culturale prima che normativa – di cui abbiamo davvero bisogno. Un primo passo sarebbe l’adozione di un Freedom of Information Act, una legge che la società civile continua a chiedere (anche dai palchi di Digital Venice – qui il pezzo di LSDI) e che Matteo Renzi continua a promettere da tempo.

 

È ora di “trasformare l’ambizione in azione”, dicevamo all’inizio; ma per farlo bisogna avere il coraggio delle proprie ambizioni, senza temerle o limitarsi alla loro narrazione, per quanto suggestiva.

 

Insomma, si è parlato e si parlerà tanto a (e di) Digital Venice; tanti buoni principi che bisognerà tradurre dalle parole ai fatti. Solo l’ennesima passerella, si potrà obiettare. Può darsi. Ma è pur vero che fino a poco tempo fa non avremmo avuto neanche occasione di affrontare certi temi con certi interlocutori in un appuntamento pubblico-istituzionale di alto livello. Non è sufficiente, ma è un inizio. Gli obiettivi 2020 sembrano ancora lontani, e il viaggio digitale dell’Italia e dell’Europa è ancora lungo. Ma anche il viaggio più lungo inizia con un piccolo passo.

 

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