Lo sostengono due studiosi israeliani, Zohar Kampf e Efrat Daskal – in un saggio dal titolo “Communicating Imperfection: The Ethical Principles of News Corrections†(appena pubblicato sulla rivista Communication Theory) – spiegando che i giornalisti ‘’non capiscono il grande potenziale etico che è insito nelle correzioni’’.
Ne parla su Poynter  Craig Silverman, precisando che, secondo i due ricercatori, la barriera più forte che i giornalisti vivono di fronte a una correzione è la ‘’cultura della vergogna’’ che circonda l’ errore.
I giornali non dovrebbero vergognarsi degli errori o averne paura, affermano i due studiosi, che per il loro studio hanno analizzato quasi 1.500 correzioni fatte da tre quotidiani di tre diversi paesi.
Gli errori “sono parte inevitabile di ogni condotta umana, soprattutto di chi deve rispettare delle scadenze di orario. Se direttori e giornalisti riusciranno ad interiorizzare questa idea avremo una professione migliore, che affronta le critiche con rispetto”.
Potremmo dire che una correzione è un un atto di promozione che produce fiducia – osserva Silverman -. Il pubblico da noi non si aspetta la perfezione. E diventa sospettoso se una testata giornalistica non ammette mai un errore. Come suggerisce il titolo del lavoro di Kampf e Daskal dobbiamo abituarci a praticare una buona “comunicazione dell’ imperfezione”.
Come? Kampf e Daskal offrono una serie di criteri per una correzione ideale:
Un testo ideale dovrebbe contenere una aperta accettazione della propria responsabilità , offrendo delle scuse, un atteggiamento che dimostra la posizione etica di un trasgressore nei confronti di uno sbaglio e della persona offesa e può anche servire come un gesto di compensazione nei confronti di quest’ ultima; dovrebbe riconoscere e descrivere l’ errore, spiegando il processo che ha portato a commetterlo, e le sue conseguenze; e dovrebbe identificare con chiarezza l’ autore dello sbaglio e le parti offese.
Una correzione può occupare una piccola quantità di spazio. E’ spesso una frase, nascosta, ma da essa ci aspettiamo tanto: deve riparare il danno, deve dimostrare un impegno alla responsabilità , deve essere chiara sull’ errore compiuto e la sua correzione.
Kampf e Daskal invitano dunque le redazioni ad includere più elementi nelle correzioni.
Il nostro suggerimento più semplice è di divulgare maggiori informazioni sulle pratiche giornalistiche che hanno portato a quegli errori. Dare delle spiegazioni sui processi che stanno dietro lo sbaglio (con le ovvie limitazioni, naturalmente) può essere utile ai lettori, che ne sapranno di più su metodi e le routine dei giornalisti e, di conseguenza, potranno meglio comprendere le complessità e le difficoltà di un serio lavoro giornalistico.
Lo studio
Per il loro studio, i due ricercatori hanno analizzato le correzioni effettuate da tre quotidiani : Yedioth Ahronoth, di Israele , USA Today e il Daily Express (Uk). Il campione di quasi 1.500 correzioni è stato scelto da un set di partenza che conteneva migliaia di correzioni fatte tra il 1968 e il 2008 per Yedioth Ahronoth , e dal 1998 al 2008 per le altre due testate.
Kampf e Daskal spiegano che  hanno scelto quei tre giornali perché rientravano nella categoria della stampa ‘’serio-popolare’’, a metà strada cioè fra la stampa seria e i tabloid scandalistici.
Hanno esaminato le correzioni per vedere se contenevano i quattro elementi di quello che loro definiscono “modello testuale di responsabilità “: ( 1) l’ indicatore di correzione ( 2) l’ autore del’ errore, (3) l’ errore  e ( 4) la parte offesa.
Un indicatore di correzione è una qualsiasi “forma simbolica di assunzione di responsabilità e /o qualsiasi indicatore di compensazione”. Ad esempio la frase “ci dispiace per l’ errore” si può definire un indicatore correttivo.
Kampf e Daskal hanno osservato che nel complesso i giornali erano corretti nell’ indicare quando era apparso l’ errore e che le correzioni tendevano a comparire entro una settimana da quando era stato fatto. In termini di posizione, USA Today e Daily Express hanno entrambi degli spazi specifici per le correzioni, mentre Yedioth Ahronoth le inseriva in diverse parti del giornale.
Nella maggior parte dei casi (l’ 82 % ) l’ errore e la correzione appaiono nella stessa sezione del giornale, ma spesso in una pagina diversa. Ma in generale, quando si fa riferimento all’ autore dell’ errore, la correzione non contiene nomi o indicazioni di ruolo: le testate tendono a presentare l’ errore come un fatto collettivo e quindi non ne specificano il ‘’colpevole’’. Il New York Times si distingue per il fatto che specifica se l’ errore è avvenuto nella fase di editing oppure se c’ era dall’ inizio.
Kampf e Daskal hanno rilevato anche che raramente una correzione indica la causa di un errore. Certamente in parte questo è dovuto ai limiti di spazio che impone una correzione scritta. Ma anche online, dove lo spazio è illimitato, è difficile vedere una precisazione sulla causa di un errore.
I due ricercatori vedono in questa mancanza, per le redazioni, una grande occasione mancata per fornire ai lettori una migliore “comprensione della complessità del lavoro giornalistico”.
Globalmente, i dati hanno mostrato che la maggior parte delle correzioni – la percentuale più bassa era del 79% a USA Today – chiarivano in maniera ragionevole qual era l’ errore e qual era invece l’ informazione corretta. Ma hanno anche rilevato che il 6 e il 21% delle correzioni studiate “erano senza senso”.
Correzioni ‘’corpose’’
Kampf e Daskal si augurano quindi che le redazioni offrano quelle che loro definiscono “thick correctionsâ€, e che potremmo tradurre con ‘’correzioni di spessore, corpose’’.
Correzioni cioè che forniscano un quadro più completo dello sbaglio commesso e il senso di responsabilità della testata per esso. Le redazioni, secondo i due studiosi, hanno una molto più alta potenzialità di riparare effettivamente il danno e creare un legame più forte con il pubblico. Al contrario, “correzioni sottili” sono quelle che offrono il minimo di informazioni possibili, creando a volte confusione o frustrazione per il lettore e per ogni parte offesa.
“Le rettifiche ‘corpose’ dovrebbero contenere informazioni sulla natura dell’ errore, i processi di produzione all’ interno delle redazioni che hanno determinato quell’ all’interno e identificare in maniera specifica la persona offesa’’ hanno spiegato i due autori a Poynter. Una buona correzione poi “va contestualizzata in modo da permettere ai lettori di ricostruire completamente la versione erronea fornita in precedenza. E’ abbastanza raro trovare una correzione che comprende tutti e quattro gli elementi testuali e corrisponde a tutti i valori giornalistici e deontologici”.
Gli studiosi osservano poi che i social media e gli altri canali digitali sono l’ ideale per  una buona “comunicazione dell’ imperfezione”.  Questi mezzi infatti offrono “un’ arena ampia e durevole per coinvolgere il pubblico in un dibattito aperto con i giornalisti sulle pratiche e le prestazioni della stampa e, a livello interpersonale, possono servire come mezzo di simbolico risarcimento alle singole vittime”.
A tale riguardo , una correzione diventa un segmento di contenuto che i giornalisti possono migliorare e personalizzare in modo da aggiungere valore, provocando una ulteriore attenzione. Questo gesto aiuta ad aggiungere peso ad una correzione oltre che a rispettare l’ obbiettivo più che mai.
Ma, in primo luogo, i giornalisti hanno bisogno di capire maggiormente il fatto che ogni correzione, per quanto faccia male al loro orgoglio, è l’ occasione per dimostrare i propri valori e costruire un rapporto.
Una correzione, insomma, è un’ opportunità .