L’ 11 febbraio è stata la giornata di mobilitazione internazionale contro la sorveglianza di massa. L’iniziative denominata “The Day We Fight Back” vuole coinvolgere cittadini, organizzazioni della società civile e migliaia di siti in una campagna globale a tutela della privacy individuale e della libertà d’espressione.
Nel corso della giornata, su Twitter l’hashtag #surveillance ha anche raggiunto la cerchia dei “trending topic” e il flusso di rilanci, commenti e segnalazioni continua copioso. Sono previste proteste e manifestazioni a livello locale un po’ ovunque nel mondo, oltre ad hackathon e mobilitazioni online, mentre centinaia di siti in ogni lingua ne sfoggiano il banner e propongono vari interventi.
L’iniziativa fa seguito soprattutto alle ricadute dei documenti diffusi da Edward Snowden, i quali hanno portato alla luce decine di estesi programmi di raccolta dati, provocando effetti di ampia portata in ogni parte del globo. Ma oltre a evidenziare le violazioni della privacy perseguite dal governo Usa, le rivelazioni di dalla Nigeria Snowden hanno avuto anche il merito di rilanciare il dibattito generale sulla sorveglianza nell’era digitale. mentre va ricordato che non mancano certo casi di analoghe (o peggiori) restrizioni altrove, dalla Nigeria al Sudamerica ai Paesi arabi.
Entità come Electronic Frontier Foundation, ACLU, Amnesty International, Human Rights Watch e Greenpeace hanno invitato alla mobilitazione in difesa della privacy e per dire basta alle intercettazioni illegali da parte delle autorità e anche alle tante modalità di sorveglianza a livello imprenditoriale – “l’industria dei metadati”, quella che prospera sulla conoscenza della nostra rete di relazioni e sulle nostre attività quotidiane, messe a nudo soprattutto sui social media.
i