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Il data journalism, specchietto per le allodole o rinnovamento del giornalismo?

Il data journalism, o «giornalismo dei dati», punta a rinnovare il mestiere mettendo a disposizione del pubblico dati statistici originali, soprattutto istituzionali, attraverso la loro elaborazione e la loro analisi. Per i loro promotori, questa nuova forma di investigazione e di  sfruttamento di fonti aperte, o non aperte – spiega Benjamin Lagues su Acrimed, il sito francese di analisi critica dei media e del giornalismo – promette di rendere comprensibili degli argomenti complessi e astrusi e di rivelare delle informazioni che non sarebbero potute uscire senza questo incrocio fra lavoro di racccolta e di trattamento dei dati e lavoro giornalistico.

 


Partendo da alcuni esempi, e senza pretendere di essere esaustivi – osserva l’ autore di questo articolo che riportiamo tradotto  -   cercheremo di valutare l’ apporto informativo di queste pratiche giornalistiche, ma anche di misurare lo scarto (a volte notevole) fra le promesse dell’ etichetta ”data journalism” e le sue realizzazioni effettive.

 

 

Le data journalism, miroir aux alouettes ou renouvellement du métier ?

di Benjamin Lagues
(Acrimed.org)
 

Molte infografie, poche gerarchie

 

 

Uno dei maggiori apporti del data journalism starebbe nella sua capacità di  semplificare  l’ informazione rendendo rapidamente accessibili e comprensibili delle questioni particolarmente complesse. Questo ‘’nuovo’’ giornalismo avrebbe in effetti come atout quello di « produrre senso » e « facilitare l’ analisi » o, ancora, di « contestualizzare meglio una informazione scritta ».

 

Un esempio tratto da L’Express. Il settimanale ha pubblicato sul suo sito una mappa dei micro-partiti politici francesi nel 2009. Il tema ha un evidente interesse pubblico, l’ insieme dei dati erano considerevoli, ma la rappresentazione grafica  che ne veniva  fornita – per quanto gradevole esteticamente – non ne semplifica affatto la comprensione, ma anzi la rende più oscura…

 

L’ infografica pubblicata da  L’Express non facilita la comprensione di ciò che il giornale intende mostrare:
« la nebulosa dei partiti politici francesi e le oro fondi di finanziamento».
Se si capisce che si tratta effettivamente di una nebulosa, si capisce meno spontaneamente
quali fonti di finanziamento vengono mobilitate, a che livello e verso chi…

Immerso in questa nuvola di bollicine, dai bei colori ma poco compensibili, il lettore non riuscirà bene ad afferrarne il senso senza ricorrere ai commenti scritti che possono spiegare la ragion d’ essere di questi micro-partiti, come vengono utilizzati dai loro dirigenti, e che cosa rappresentano, ecc.

 

Ugualmente, nel grafico qui sotto, tratto dallo  stesso dossier de L’Express, il lettore ne guadagnerebbe se venisse indicata chiaramente la parte rilevante del finanziamento pubblico che compone il bilancio dell’ UMP. Non che l’ informazione non ci sia – appare nella ‘’torta’’ in alto a destra – ma, ahimé, è immersa nelle numerose statistiche presentate. Questa assenza di gerarchia e di indicazioni che permettano di discriminare quali siano i dati essenziali, nuoce alla pertinenza del documento.

La rappresentazione grafica che fa L’Express del finanziamento dei partitinon è poco interessante,
ma soffre per l’ assenza quasi totale di gerarchia

Da questo punto di vista, un semplice articolo scritto in cui venissero spiegare le principali modalità del finanziamento politico e approfondfisse la presentazione dei dati più rilevanti, non avrebbe risposto meglio alle questioni poste dal giornale? Oppure, per i lettori più esigenti, perché non un articolo con un po’ di dati, ma a condizione che essi vengano contestualizzati e spiegati? Qui, al di là del lavoro di scavo e di aggregazione dei dati e di rappresentazione grafica, il lettore si ritrova solo davanti a queste statistiche.

 

« Decrittare» o commentare i commenti?

 

Succede anche che l’ uso dei dati venga utilizzato per commentare… dei commenti! Capitaa le Monde, in cui una rubrica dedicata alla decodifica comprenda anche un servizio che raccoglie le « datavisualisations » (sic), e che, per esempio, consacra qualche articolo a commentare l’ eventuale rientro di Nicolas Sarkozy. Nonostante che l’ articolo comporti effettivamente una « data visualisation », si afferra male l’ apporto giornalistico e in termini di ‘’decodifica’’ del giornale.

 

 

Incrociando le Prime pagine, le dichiarazioni di Sarkozy e le citazioni dell’ UMP, il suo partito, e la sua ‘’curva di popolarità’’, Le Monde arriva ad assegnare uno « score di probabilità » al rientro dell’ ex candidato alle presidenziali del 2012. L’ aggregazione di questi dati però non fa illudere sul carattere scientifico di questo procedimento: questi tre fattori (le prime pagine, le dichiarazioni di Sarkozy e quelle del suo partito) costituiscono più una illustrazione della strategia di commnicazione dei sarkozisti e della docilità della stampa nel riprenderla, piuttosto che un indicatore affidabile del ritorno dell’ ex Presidente…

Per quanto poi riguarda l’ interesse giornalistico del giornale, la sua presentazione molto ‘’scientifica’’ non riesce a far dimenticare che non si tratta, come è di norma nel giornalismo politico dominante, di una semplice aggregazione di commenti (politici) e di commenti (mediatici) sui commenti…Ma siamo sicuro che il giornale servirà sempre ad ‘’ammobiliare’’ i salotti dei quadri dirigenti, uno dei target previlegiati del  Monde da quando esso è diventato l’ accessorio preferito delle classi dominanti.

 

Giornalista o contabile?

 

La questione viene alla mente davanti ad alcune « data visualisations ». I giornalisti che praticano questo tipo di giornalismo spesso sono dipendenti dai ‘’dati’’ trasmessi dallo Stato e da organismo pubblici (operatori statali, collettivi, Corte dei conti, ecc.). Ora, la trasmissione di dati, cioè la scelta di diffonderne alcuni e non altri, non è un atto neutro e privo di retropensieri politici. I giornalisti si impadroniscono quindi di dati minuziosamente scelti dai servizi statali e a volte rilavorati per loro, per permettere loro di inviare un messaggio ben definito.

 

A monte, quindi, la produzione giornalistica è orientata a priori. Basta citare le « data visualisations » basate sulle statstiche prodotte dalla Corte dei Conti e proposte da Le Monde. Due pagine il cui messaggio è, coscientemente o meno, liberista: lo Stato spende troppo (o non incassa abbastanza).

 

Non incassare abbastanza è anche il credo dell’ articolo dedicato all’ « inventario alla Prévert » dei beni della città di Parigi. In cui, per esempio, si apprende che la città potrebbe far ‘’fruttare’’ meglio i suoi beni. Speculando?

 

Spendere troppo è invece la linea del secondo articolo, intitolato « Spese pubbliche: i rimedi da cavallo preconizzati dalla Corte dei conti », in cui si espone una lista di misure proposte dalla Corte. Elencando le misure che hanno un unico obbiettivo, « diminuire la spesa pubblica», come ad esempio, « agire sui benefit per i funzionari  » (una categoria di salariati che fa infuriare l’éditocorzia, e quindi poco convinta quando si tratta di dare qualcosa allo Stato), Le Monde nonrimette mai in discussione il postulato di partenza che sta alla base del rapporto della Corte dei conti: perché bisognerebbe diminuire a spesa pubblica? Per il giornale la questione non si pone nemmeno, tanto la risposta viene da sola, e il quotidiano che dovrebbe essere di riferimento diventa il portavoce del « cerbero dell’ austerità ».

 

Certo, queste informazioni sono probabilmente incontestabili e verificate, ma lavorare unicamente a partire da una fonte statale pone ovviamente un problema. Resta in ogni caso al giornalista la possibilità di dare una lettura diversa da quella verso cui lo postano le statistiche, ma non può essere possibile farlo se ci si basa sugli esempi citati prima.

 

***

 

Il data journalism alla fine, più che essere un « nuovo giornalismo», sembra di più un complemento possibile del lavoro giornalistico « classico », permettendo di rendere più attraente la presentazione di dati ed altri elementi informativi forniti al lettore. Esso potrebbe anche permettere di sfruttare delle informazioni statistiche, contabili, ecc., fino ad allora non sfruttate dai giornalisti.

 

Nondimeno, dipendendo da fonti scelte con cura dal potere pubblico o dalle imprese, costretti a fare del giornalismo  ‘’seduto’’ e a stendere dei  commenti di commenti, i ‘’datagiornalisti’’ non ci sembrano orientati a combattere, o quanto meno a ponderare le tare mediatiche che noi andiamo denunciando da tempo qui.

 

Si cercherà comunque di non gettare il bambino con l’ acqua sporca: un articolo realizzato attraverso dei ‘’dati’’ può essere perfettamente informativo e rischiaratore. A copndizione di non fare dell’ etichetta del  ‘’datagiornalismo’’, molto alla moda,  un modello del giornalismo in sé, oppure, peggio ancora, un’ esca per sovvenzioni generosamente distribuite da… Google, come ha rivelato « Arrêt sur images » !

 

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