Su The Atlantic, Derek Thompson racconta il radicale cambiamento della ‘sostanza’ del lettore nel passaggio dalla carta al digitale, e perché è così difficile trovare un sistema di misurazione adeguato. Qualsiasi sia la metrica adottata, oltre agli aspetti positivi, ci sarà almeno una ragione per dubitarne e qualche editore pronto a manipolarla. Ecco un’ampia sintesi italiana dell’articolo.
Qualsiasi sistema di misurazione, qualsiasi metrica per misurare l’attenzione del pubblico, include un motivo per cui è utile, un motivo per cui è inutile e l’opportunità di essere manipolato dalla testata di turno.
Il sistema ‘pagine viste’ (cioè: click) era la moneta più comune dell’attenzione online, poi sostituito dai visitatori unici (cioè: lettori). Ma nell’era virale, quest’ultimo termne ha assunto un significato diverso da quello tradizionale. Per un quotidiano degli anni ’80, lettori era uguale agli abbonati che ogni mattina ricevevano il giornale. Online, lettori significava i visitatori che si fermavano sul sito un paio di volte al mese al massimo. Ma nell’era virale, lettori può significare un milione di utenti di Facebook che vedono qualche titolo particolarmente attraente, lo cliccano e che subito dopo corrono via, cancellando ogni traccia del sito (e dell’url) che ospitava quell’articolo, per non tornarci mai più.
Lettore significava una persona, mentre oggi è una sorta di spettro. Ci sono lettori appassionati da una parte e mosche tze-tze che vivono navigando su Facebook dall’altra, e nel mezzo dei lettori che si coinvolgono per un’unica volta. I quali ovviamente contano ben poco per inserzionisti interessati a un pubblico coinvolto e riconoscibile in maniera regolare.
Ecco perché alcune aziende digitali considerano Internet meno simile a un giornale e più vicina alla TV. YouTube ora misura il ‘tempo di visione’. Medium quantifica il ‘tempo totale di lettura’ dei post. Chartbeat traccia il ‘tempo medio di coinvolgimento’.
E adesso Upworthy, idrante virale del Web, ha annunciato di aver sviluppato una nuova metrica, definita ‘minuti d’attenzione’ [vedi precedente post su Lsdi], per misurare il tempo trascorso a scorrere o leggere una pagina del sito, analizzando «per quanto tempo è rimasta aperta la finestra del browser o è attivo un video e il movimento del mouse sullo schermo», come segnala il Nieman Lab.
La posizione diffusa tra i giornalisti per queste uscite di Upworthy è sostanzialmente ironica. Ecco ad esempio l’opnionione di Felix Salmon:
Se sto seduto a bocca aperta davanti a un video per  4 minuti invece che per 2 minuti, non vuol certo dire che dedico al tema il doppio della quantità di attenzione. E quando qualcuno condivide un video da Upworthy quasi mai aggiunge qualcosa su quell’ argomento o sul video stesso.
Insomma, la lezione è che qualsiasi nuova metrica si possa mettere a punto, questa avrà non solo pregi e limiti, ma anche un incentivo per spingere le aziende editoriali a manipolarla. Analizziamone rapidamente alcune.
Visitatori unici: È una buona metrica, perché misura i lettori nell’arco di un mese, non solo i click che non significano niente. È fallace perché misura il numero di persone e non un dato più significativo, il coinvolgimento. Ad esempio, i successi virali di Facebook rappresentano oggi gran parte del traffico su molti siti. E sul web ci sono lettori mordi-e-fuggi e quelli invece affezionati. Il dato dei visitatori unici mensili non riesce a rappresentare questa differenza.
Pagine viste: Funzionano perché quantificano i click, indicazione di coinvolgimento che la metrica dei visitatori unici non riesce a cogliere (ad esempio: un blog con lettori affezionati avrà un più alto rapporto di pagine-viste-per-visitatore, dal momento che le stesse persone vi tornano spesso). Non funzionano per il fatto che possono essere falsate. Una presentazione con 25 slide delle migliori università avrà visitatori un numero di ‘pagine viste’ 25 volte superiore a una pagina unica con le stesse informazioni. Secondo questa metrica, la presentazione con le slide avrebbe un valore 25 volte superiore se le inserzioni vengono ricaricate su ogni slide – un dato ridicolo.
Minuti d’attenzione: Le due opzioni precedenti ci dicono un fatto importante ma incompleto: le pagine caricate. Ma non quantificano cosa succede dopo il caricamento della pagina. Il lettore fa click sui link? O ci rimane per 20 minuti? Apre la pagina del browser ma non legge l’articolo? Sarebbero delle belle cose da sapere, e metriche come i minuti d’attenzione possono cominciare a spiegarcele. Tuttavia, come sottolinea Salmon, non riescono ancora a fornire un quadro completo. Guardare un video di 5 minuti e decidere che era stupido, sembra meno prezioso di guardarne uno di un minuto che si condivide con gli amici e che viene apprezzato. Conta il dato delle pagine viste e quello del tempo dedicato loro, ma conta molto anche il dato reazioni. E questo suggerisce altre due metriche.
Condividi e cita: Il social sharing (su Facebook, Twitter, LinkedIn , Google+) apparentemente offre dati che nessuna delle metriche precedenti può darci: gli utenti non sono solo in visita bensì hanno delle reazioni concrete. Ma che tipo di azioni compiono? Un brutto ‘editoriale’ potrebbe ottenere parecchia attenzione su Twitter ma solo per schernirlo. Un articolo imbarazzante può diventare virale su Facebook. Le condivisioni e le citazioni possono comunicare il livello di attenzione su un pezzo, ma non sempre chiariscono la direzione resa dal vettore-condivisione: lo si condivide perché ci piace o perché ci piace detestarlo?
Misurare i lettori digitali è tecnicamente più facile che misurare quelli dei giornali o i telespettatori. Possiamo vedere dove sono, pagina dopo pagina, tab per tab, e siamo in grado di tracciare quello che condividono e dove concentrano l’attenzione. Teoricamente, ciò dovrebbe rendere più facilitare per le testate online ‘conoscere’ il proprio pubblico. Ma, quando i siti si muovono in ambito virale, con gli articoli che provocano un grande volume di traffico composto però da ruminanti di Facebook, si comincia a discutere se non sia invece il caso di massimizzare le metriche vecchio stile.
In ogni caso, la conclusione è che le metriche vanno sempre prese con le molle: qualsiasi metrica adottiamo, ci sarà una ragione per dubitarne e qualche editore pronto a manipolarla.