Ne parleremo passo a passo su LSDI.
Per ora cerchiamo di introdurre il tema.
Che cosa possono avere in comune le cicale, il microcontroller Arduino e il giornalismo? E soprattutto: come possono aiutarsi a vicenda?
Chiedetelo a John Keefe, dell’emittente “public radio” WNYC di New York, e vi risponderà che per il punto di intersezione tra i canterini omopteri, l’open hardware per eccellenza e l’antica ma ansimante professione del cronista, oggi passa una nuova modalità di raccolta e analisi delle informazioni e delle storie da raccontare. Una modalità “collaborativa” capace, anche in virtù di una tecnologia alla portata di tutti, di trasformare i numeri in servizi utili per gli abitanti delle grandi città o per gli agricoltori, aiutare politici e amministratori a gestire meglio la cosa pubblica, affiancare medici e personale sanitario nell’affrontare le emergenze e le malattie, contribuire insomma al benessere e alla crescita dell’intera collettività .
John Keefe è, nel suo genere, quello che potremmo definire un pioniere. Il suo interesse riguarda sostanzialmente il vasto fenomeno del big e open data, la disponibilità di grandi volumi di dati di diversa natura (magari raccolti da un sensore ambientale, da una fotocamera, o da qualsiasi altro strumento tecnologico di rilevamento) e la possibilità di condividerli in maniera aperta, sfruttando le tecnologie questa volta software per analizzare il dato grezzo, incrociarlo ed estrarne informazioni utili dal punto di vista pratico. In una intervista concessa al blog O’Reilly Strata, Keefe racconta la sua personale visione del nuovo mestiere del “data journalist”, il cronista del dato.
«Candidati alle elezioni, aziende, municipalità , enti e organizzazioni no-profit, tutti stanno utilizzando dei dati. E molti di questi dati riguardano te, me e le persone di cui scriviamo nei nostri articoli. Quindi, tanto per cominciare il giornalismo ha bisogno di capire i dati disponibili e che cosa ne può fare. Oggi questo fa semplicemente parte della copertura di una storia. Saltare a pié pari questa parte del mondo significherebbe togliere qualcosa al tuo pubblico, alla nostra democrazia. Parlo sul serio. Per cui meglio riusciamo a presentare i dati al pubblico in generale e a raccontare con forza le storie che nascono o dipendono dai dati, meglio riusciremo a fare del grande giornalismo.»