Il giornalismo e l’ ambivalenza del click
In un suo saggio, ”Clicks or Pulitzer?”, Angèle Christin – sociologa a Princeton e ricercatrice dell’ EHESS, la Scuola di alti studi in Scienze Sociali di Parigi – fornisce una testimonianza delle trasformazioni del mestiere di giornalista nel digitale, costretto a dibattersi fra esigenze editoriali e imperativi economici.
Un’ analisi molto interessante – compiuta sulla base di un centinaio di interviste con redattori capo, giornalisti, collaboratori e community managers -, che la ricercatrice illustra in una ampia intervista su Inaglobal.fr, una rivista online dedicata al mondo dei media, raccolta da Vincent MANILEVE.
Il colloquio, di cui pubblichiamo la traduzione, affronta alcuni degli argomenti chiave al centro della discussione sul futuro del giornalismo.
Le journalisme au risque du clic ?
Lei ha adottato un approccio etnografico. Come si è svolto il suo lavoro?
Angèle Christin : L’ approccio etnografico è un approccio qualitativo, che si basa sull’ osservazione delle pratiche delle persone nel tempo. Questo vuol dire fare delle interviste alle persone, chiedere loro che cosa pensano del loro lavoro, dei loro percorsi, ecc. Ma consiste anche nell’ osservarle nel loro quotidiano. Ho passato con i giornalisti più di 400 ore complessivamente in sei redazioni, in Francia e Stati Uniti, per comparare quello che dicono delle loro pratiche e quello che fano realmente.
Dopo che un articolo viene pubblicato online, vengono raccolti un’ enorme quantità di dati (numero di click, tempo di lettura…). In che misura questi dati influenzano la fabbrica dell’ informazione sul web?
Angèle Christin : La questione dei dati sul comportamento dei lettori online gioca un ruolo molto importante nella fabbrica dell’ informazione. Lo si osserva soprattutto nella gestione della home page dei siti. Ci sono dei criteri e delle tecniche molto evolute per massimizzare la potenzialità di click di unn articolo. Le redazioni possono seguire il numero di visite in tempo reale, cambiare la sua posizione sulla home page, modificare il titolo… Sempre per renderlo più attraente.
Evidententemente la prima pagina di un giornale su carta non prevedeva questa opportunità . Comunque non ho osservato nessun giornalista dire:’’Io faccio degli articoli solo per fare dei click’’. Ma la questione dell’ audience rimane. I giornalisti si chiedono come valorizzare un articolo che, a priori, non piacerà ai lettori. L’ audience fa ormai parte del paesaggio cognitivo del giornalista. Anche il ‘’personal branding’’, cioè la costruzione di una sfera di influenza sulle reti sociali, è diventato molto importante. I giornalisti si preoccupano molto del numero di abbonati che hanno su Twitter perché lo ritengono una misura del loro lettorato e della loro influenza.
Lei evoca dei valori giornalistici: «editoriale» o «basato sul click ». Ci può spiegare queste due nozioni?
Angèle Christin : Tutto ciò è frutto di una tensione molto antica nel mestiere. Da un lato, il giornalismo viene visto come un bene pubblico, con degli articoli importanti, che cambiano la comprensione dell’ informazione. Dall’ altro lato il giornalismo come commercio, con una necessità di generare ricavi. E qui è un po’ la stessa cosa: c’ è un aspetto editoriale, con dei giornali che contano, argomenti centrali, che meritano il rispetto e rivendicano eccellenza giornalistica. E accanto una logica commerciale riconfigurata attorno al click, con dei contenuti che diventano virali, che circolano veloci sulle reti sociali. Si tratta di un genere di articoli più leggeri, meno seri, più popolari.
E’ il « click » ormai a governare le redazioni web?
Angèle Christin : Anche qui si può parlare di tensione. Vista l’ incertezza che caratterizza il giornalismo oggi, io penso che tutta la redazione si carica del problema dell’ audience. L’ immensa maggioranza dei siti online trae i suoi ricavi dalla pubblicità , che dipende dal numero di visitatori e quindi dal contenuto pubblicato. Il problema del click cristallizza le inquietudini sul futuro della professione, è diventato una variabile di cui tener conto. Si fanno dei discorsi molto critici, soprattutto in Francia, su questa questione. Per molti, un articolo che registrerà molti click non ha un gran valore.
E poi c’ è evidentemente una differenza di generazione. Per i giornalisti più anziani, che hanno fatto il grosso della loro carriera nella carta, andare alla ricerca del click è un po’ indegno sul piano professionale. Fra i più giovani, che al contrario sono cresciuti nel web, c’ è un rapporto sereno, ci si chiede come fare pubblico senza cedere alla ‘’tabloidizzazione’’ della scrittura.
Come si valuta il valore di un giornalista in una redazione web oggi? E come egli stesso valuta il suo lavoro?
Angèle Christin : Secondo me, la maggior parte dei giornalisti, soprattutto fra i giovani, pensano che la loro carriera si svolgerà sul web, che dà loro un buon tasso di opportunità per proporre dei contenuti innovativi. Nel corso delle interviste ho visto che c’ era molto entusiasmo sui format che mischiano testo, video, sonoro, o, ancora, sul datajournalism. Ma le principali criticità vengono individuate attorni al problema della produttività . Sul web il ritmo di pubblicazione è accelerato, sempre a causa dell’ adience. Se un sito non viene aggiornato e alimentato di continuo, le testate rischiano di perdere lettori. I giovani giornalisti ne risentono violentemente, ne ho visto diversi protestare su questo piano. Vorrebbero avere il tempo di riflettere su un argomento, di uscire, di fare interviste, sentire le fonti… E alcuni si chiedono se tutto questo sia possibile sul web.
Resta ancora dello spazio per i format giornalistici più lunghi e più ricercati?
Angèle Christin : Ho sentito spesso nelle redazioni web che bisogna fare dei pezzi brevi. Mi sono chiesta se davvero il futuro del giornalismo si possa costruire con meno di 800 parole ad articolo. E per questo ho fatto una analisi statistica di tutti gli articoli pubblicati da un pure-player nei cinque ultimi anni. Il risultato mi ha sorpreso, in quanto si vede che gli articoli più lunghi avevano avuto, in media, più visite degli altri. E questo vuol dire che c’ è spazio per i pezzi lunghi, che hanno d’ altronde una durata di vita più lunga sul web. Forse vengono più condivisi su Facebook, o diventano degli articoli-fonte su Wikipedia… E’ molto incoraggiante per il giornalismo il «longform».
Lei spiega che, in passato, i giornalisti non avevano un rapporto col lettore e scrivevano soprattutto per i loro colleghi. E’ cambiato qualcosa oggi?
Angèle Christin : Ho preso come punti di riferimento il mondo della stampa negli anni 1950-1970 e lo studio Deciding What’s News di Herbert Gans. Il saggio mostra che le redazioni avevano come abitudine quella di ignorare le lettere dei lettori o gli studi sull’ audience. I giornalisti vivevano con l’ idea, che per molti versi sopravvive ancora oggi, di sapere meglio degli altri quale informazione dovesse essere diffusa. Ma ormai, con internet e la raccolta di dati, il rapporto è completamente diverso. I giornalisti hanno spesso un’’ritorno’’ molto vivo attraverso i commenti.
Si potrebbe paragonare questa relazione ad una sorta di ‘’tirannia della folla’’, e alcuni giornalisti hanno ancora una visione cinica del lettore. Ma capita che questo o quel lettore segnali un errore, una imprecisione, o dia anche un’ idea per un nuovo articolo. Questo ritorno da parte dei lettori permette di rimettere in questione quello che i giornalisti danno per acquisito. Per esempio, nella gerarchia del mestiere, l’ attualità internazionale è prestigiosa, è al top della piramide. Ma raccogliendo i dati sui lettori ci si rende conto che gli articoli di cronaca internazionale sono i meno letti. E grazie a questi strumenti, le redazioni possono chiedersi come affrontare meglio gli argomenti importanti per agganciare i lettori.
Lei dice che ci sono tre tipi di media su internet: i grandi media tradizionali, i ‘’digitali nativi’’ e i siti di transizione. Quale di questi tre se la cava meglio attualmente?
Angèle Christin : Il mercato dell’ informazione online è composto da tre attori che, alla fine, non hanno molto in comune se non quello di essere online. Prima ci sono i grossi siti di informazione che fanno capo ai media tradizionali (Le Monde, France TV info, France Info…). Hanno il vantaggio di evere già l’ infrastruttura necessaria, ma è una cosa che costa cara ed ecco che nasce il problema dei ricavi. A lungo termine sembrano dirigersi verso il paywall (far pagare l’ accesso a determinati contenuti).
Su un altro fronte abbiamo di digital natives, arrivati dopo il 2005 e che hanno delle forme totalmente innovative, molto centrate sulla tecnologia (Buzzfeed, Huffington Post…). I fondatori di questi siti hanno spesso poca esperienza di carta stampata e danno valore pariteticamente sia al supporto che ai contenuti. Ma malgrado una espansione massiccia e dei grossi afflussi di capitali, non sempre riescono a fare profitti. Se hanno trasformato le regole del goco con dei format molto popolari, come gli elenchi di Buzzfeed, non sono ancora diventati un affare.
Infine ci sono i siti di transizione, che se la cavano meglio di quanto si potesse supporre (Slate, Salon…). Sono dei siti creati da giornalisti provenienti da media tradizionali, specialmente dalla carta stampata, ma con uno staff molto orientato sul web, un format pure-player e i ricavi provenienti dalla pubblicità . Appoggiandosi spesso a gruppi mediatici più importanti, hanno un margine di manovra editoriale e finanziaria molto ampio.
Lei fa una comparazione fra i media digitali in Francia e negli Stati Uniti: quali sono le principali differenze fra questi due paesi?
Angèle Christin : Bisogna ricordare che l’ Internet si è svilupato in Usa dieci anni prima che in Francia. C’ è dunque una differenza sul piano della tecnologia, dei capitali e dei siti fra i due paesi. Quello che ho potuto osservare è che là c’ è una vera riflessione sui ricavi e sui format pubblicitari e sui modelli economici che, per il momento, è più avanzata che in Francia. Sul problema del click e della pressione dell’ audience gli americani sono molto meno critici di noi francesi. Lì le redazioni hanno un numero impressionante di strumenti per definire meglio le preferenze del pubblico. Il click viene considerato come il nerbo economico essenziale, le redazioni sono più realiste e sanno che devono adattarsi. Altra cosa importante; il problema dell’ audience è una preoccupazione della gerarchia: soso questa si occupa dell’ aspetto commerciale dei contenuti.
I giornalisti americani hanno più spazio e meno pressioni, il muro di separazione resta ben chiaro e stabile. Lo è meno in Francia, soprattutto perché la professionalizzazione del mestiere si è verificata negli Usa molto prima che in Francia, verso la metà derl XIX° secolo. Da un po’, negli Stati Uniti si discute sulla questione del native advertising. Ma là , ancora, la critica è meno vivace. I media americani hanno accettato il principio del contenuto sponsorizzato. Ma il problema è decidere con quali brand associarsi e come farlo capire chiaramente negli articoli. I media ormai allestiscono delle sezioni dedicate in particolare ai contenuti sponsorizzati, tenendole separate dalla redazione, per evitare una eventuale ‘’contaminazione’’.
Uno dei capitoli del suo lavoro si intitola «Sesso, scandali e celebrità ». E’ questa la chiave del successo per ul media online?
Angèle Christin : In effetti questo tipo di articoli funzionano molto bene. Ma ce ne sono anche altri. Alcuni articoli politici, ad esempio, vanno meglio di quanto ci si potrebbe aspettare. E possono funzionare bene anche i contenuti partecipativi. Viene da chiedersi come mai quel tale articolo, che in apparenza non avrebbe dovuto andare, ha trovato un suo pubblico. E d’ altronde, come dicono i redattori, non si può fare un sito di informazione solo con ‘’sesso, scandali e vip’’. Bisogna distinguere per bene i contenuti ‘’caldi’’ da quelli ‘freddi’’, I primi sono articoletti pubblicati regolarmente e che portano lettori, con un grosso rischio di uniformazione e di mimetismo fra i media. Ma i giornali su carta facevano la stessa cosa, è la stessa logica del ‘’se l’ ha fatto quello, lo gaccio anche io’’.
Quanto alla parte ‘’fredda’’, non c’ è uniformazione. C’ è una vera riflessione sul modo di smarcarsi in un paesaggio web molto concorrenziale in cui tutti pubblicano dei video sui gattini. Bisogna sapere bene come mettere articoli da click come quelli per sovvenzionare il resto dei contenuti.
E’ arrivata la fine dell’ eccellenza giornalistica promossa da premi come il Pulitzer o l’ Albert Londres ?
Angèle Christin : Non credo. Esistono dei siti come ProPublica che fanno un lavoro di investigazione incredibile sul lungo periodo. Si può parlare anche del datajournalism, che ha una ‘’force de frappe’’ mai vista finora, o dei progetti estremamente innovativi del New York Times. C’ è su Internet un’ abbondanza di opportunità per dei progetti editoriali ambiziosi. I premi giornalistici creano delle sezioni per il web, che ha guadagnato ormai una vera credibilità ai loro occhi. Nessuno dbita sul fatto che il futuro del giornalismo sarà su Internet, e sin da ora dei giornalisti dell’ Huffington Post sono stati premiati col Pulitzer e anche Buzzfeed ha ha assunto un giornalista premiato con Pulitzer… Ci sono dei progetti giornalistici che non puntano a fare traffico ma a vincere premi. C’ è stato un momento in cui c’ era la giungla, in cui i siti digitali nativi hanno chiaramente trasformato le regole del gioco. Ormai però sembra che si siano calmati. I digital natives rientrano progressivamente nell’ alveo dei format tradizionali del buon giornalismo. L’ eccellenza giornalistica si sta riconfigurando su Internet, non è affatto destinata a sparire in qualche porto delle nebbie.