Di seguito pubblichiamo i video integrali della presentazione del Rapporto, avvenuta durante digit14 (#digit14), la manifestazione annuale che Lsdi dedica al giornalismo digitale (l’ultima edizione si è svolta a Prato il 19 e 20 settembre scorsi).
Il panel cui hanno partecipato il presidente dell’Odg Enzo Iacopino, il segretario della Fnsi Franco Siddi, Mario Tedeschini Lalli del gruppo l’Espresso e l’esperto di marketing Pierluca Santoro, è stato moderato da Pino Rea, il quale coordina anche tutto il lavoro di ricerca del gruppo “Giornalismi”.
Alla ricerca hanno contribuito: Fabio Amoroso, Paola Cascella, Carmen Lentini, Franco Nicastro, Andrea Pattaro, Pier Luca Santoro, Alessandro Savoia Antonella Cardone, Mario Derenzis, Andrea Morigi e Mario Rebeschini.
Ogni video viene introdotto da un estratto testuale dell’ intervento di ognuno dei relatori presenti.
Perchè questa ricerca? Introduce il lavoro Pino Rea:
<<Il campo di lavoro sui cui abbiamo agito ha riguardato un po’ tutte le declinazioni possibili del giornalismo. Uno dei temi principali di cui ci siamo occupati è stato il rapporto fra la carta e il mondo che avanza, diciamo il digitale.
Dai primi risultati dell’ indagine emerge chiaro il messaggio che nelle redazioni domina ancora il modello analogico ma il cambiamento è in atto. Siamo in una fase di passaggio dominata dall’ introduzione di novità anche se la resistenza della cultura giornalistica tradizionale è molto forte e radicata, persino in testate “native digitaliâ€. Come ad esempio Affari Italiani, una delle prime testate all digital italiana, 18 giornalisti in redazione, in cui i meccanismi interni di produzione delle notizie sono sostanzialmente analoghi a quelli precedenti alla rivoluzione digitale.>>
Dopo Rea completa l’ introduzione all’ analisi della ricerca il contributo “tecnico” dell’ esperto di marketing e nuovi media Pier Luca Santoro:
<<Il rapporto si compone di circa 70 pagine; è un rapporto che fotografa la realtà del giornalismo in senso più qualitativo che quantitativo. Di tabelle ce ne sono veramente poche e sono più di contorno e di scenario che riferite specificamente a quanto emerge dall’ indagine e dallo studio. La via italiana all’ informazione 2.0 il cosiddetto “digital first†è ancora agli inizi, agli albori. Il cambiamento è sicuramente iniziato, che abbia visto la luce nel 2014 e che sia ancora agli albori nella stragrande maggioranza dei casi e con tutte le eccezioni virtuose che ci sono inevitabilmente, certo non rassicura e non tranquillizza. Il futuro? – come dice il caporedattore di Repubblica.it Giuseppe Smorto – sarà del giornalismo nel suo complesso. Ci sarà sempre più bisogno di giornalisti che non sanno per chi scrivono, ovvero capaci di lavorare per più piattaforme >>.
Mario Tedeschini Lalli, responsabile italiano di ONA, Online News Association, e vice responsabile sviluppo e innovazione del gruppo l’Espresso, su sollecitazione di Rea prova a spiegare la frase di Smorto:
<<Non sono sicuro di aver compreso completamente quello che volesse dire Giuseppe Smorto, ma immagino volesse dire che dobbiamo lavorare in manierea neutra rispetto ai canali di diffusione. Io penso di sì, ma penso anche che ci sia ancora molto da fare e che il problema sia più culturale che tecnologico. Il digitale è ancora immaginato, nelle redazioni italiane, come lo strumento di diffusione delle notizie che produciamo, e che quindi sia digitale il giornalista che diffonde il proprio lavoro attraverso strumenti digitali. Io sostengo che dovrebbe essere digitale qualunque giornalista anche se per caso un domani ci fosse mercato per un giornale scritto sulla pergamena e con la penna d’oca, saremmo idioti a non sfruttare quel mercato perché evidentemente c’ è un pubblico che lo desidera, ma chi scrivesse su quel giornale dovrebbe essere un giornalista digitale perché l”universo digitale è l’ universo in cui viviamo, cioè dunque l’universo che dobbiamo descrivere.>>
Sulla questione e nella stessa clip, ( minuto 8,40 del video), interviene il presidente dell’ Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino:
<<Devo dire che il gruppo di lavoro che ha redatto questa indagine è stato bravissimo nel mantenere riservato questo rapporto fino ad oggi. Sia io che il segretario della Fnsi Siddi siamo completamente all’oscuro dei risultati del rapporto. Io credo di capire cosa abbia voluto dire Giuseppe Smorto. Smorto è in linea con il suo datore di lavoro Carlo De Benedetti. Perchè proprio De Benedetti nella tavola rotonda d’apertura dell’ultimo congresso nazionale della Fnsi di Bergamo disse : ”Ma se io ho un giornalista mio dipendente, perché lo debbo pagare se lo faccio scrivere per l’online? Non gli dò forse maggiore visibilità ?”.
Personalmente ero convinto che la platea l’ avrebbe sommerso dai fischi. Invece l’ hanno applaudito. Ed è quello che sta accadendo e che dice Smorto. Uno ti paga e usa il tuo lavoro a prescindere. Lo usa tutte le volte che vuole. Lo cede tutte le volte che vuole e a chi vuole e quando vuole. Ultimamente pare possa anche poterlo modificare a suo piacimento e senza dirti niente se sei un collaboratore. Anni di diritti e di battaglie buttati a mare nel nome della crisi che imperversa nel settore e che travolge il settore>>.
A questo punto del dibattito Pino Rea chiamo in causa Franco Siddi segretario dell’Fnsi, chiedendogli un giudizio sul fronte sindacale sulla situazione contrattuale del mondo del giornalismo digitale.
Franco Siddi:
<<Il sindacato credo non sia arrivato impreparato rispetto alla sfida del rinnovamento, non abbiamo letto ancora questo rapporto, ma non siamo sorpresi. Dentro tutto quanto viene analizzato, criticato, certificato con dei dati, ci siamo da alcuni anni come sindacato immersi. Pur non potendo del tutto tradurre nella pratica costante di ciò che caratterizza di più il sindacato – il contratto – le novità . Ma quelle novità non solo non ci hanno trovato assenti, ma ci hanno stimolato verso una sfida che non ha trovato interlocuzione. Il cambiamento c’è, la carta è ancora al centro, e pur tuttavia il cambiamento scava come una talpa. L’ avete detto questo. Però avete anche detto che il digitale non ha trovato nuovi editori. Ecco credo che su questo ci dobbiamo interrogare >>.
Al termine dell’intervento di Siddi torna a prendere la parola Pierluca Santoro:
<<Credo che nessuna persona ragionevole possa essere contenta quanto si perdono posti di lavoro, quando le condizioni lavorative complessivamente si deteriorano. Mi sento però altrettanto autorizzato ad affermare che quello che sta succedendo nel settore editoriale nell’abito dei giornali e del giornalismo è ciò che è successo in tutti gli altri settori e in tutti gli altri mercati almeno 10 o 15 anni fa e quindi forse la buona notizia è che ci sono stati vent’anni in più di condizioni lavorative straordinariamente differenti da altri settori e da altri mercati >>.
A seguire Santoro prende nuovamente la parola Mario Tedeschini Lalli : << Il vostro gruppo di lavoro si chiama giornalismi, due anni fa uscì un libro con lo stesso titolo di Angelo Agostini, che è stato un collega che ci ha insegnato molto e che dobbiamo ringraziare molto per come siamo, con tutti i nostri limiti e i nostri difetti >>.
Si passa, in conclusione, alle domande del pubblico. Fabio Frangipani di Arezzo chiede ai rappresentanti dell’Ordine e del Sindacato cosa viene fatto nel settore delle competenze. Un aspetto fondamentale della discussione e di tutto il futuro delle professioni digitali.
Un altra domanda che arriva dal pubblico la pone Alessio Cimarelli e riguarda il tema della valutazione dei comparti produttivi e dei singoli giornalisti nel mondo dell’ editoria giornalistica. Come si fa a capire se un giornalista è migliore di un altro? Se fa meglio il suo lavoro e ha un valore maggiore il suo lavoro nell’ambito del contesto in cui lo svolge e quindi di conseguenza può essere pagato di più?
Conclusioni e saluti di Pino Rea.
Ma prima di chiudere una suggestione di Mario Tedeschini Lalli :
<< c’è una questione più generale, tradizionalmente in tutti i giornali un po’ in tutto il mondo fino a non molto tempo fa l’unico vero pubblico che contava era il direttore si scriveva, non per compiacere, ma per seguire una certa linea editoriale. E se la direzione amava il tuo modo di lavorare, era congruo al tuo modo di lavorare andava bene. In questo momento a prescindere dalla questione sollevata nella domanda sulle retribuzioni, una delle cose che ha cambiato in profondità l’assetto redazionale è che quello che un tempo chiamavamo il pubblico sta già producendo informazione a sua volta mentre io produco informazione. E io, giornalista, non posso non tenerne conto >>.