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Il New York Times pubblica la sua prima inserzione ‘’nativa’’

Il New York Times lancerà a gennaio il suo primo prodotto pubblicitario nativo, col nome di ‘’Paid Post’’, ma ha già cominciato la sua incursione nel mondo dei contenuti sponsorizzati con un inserto patrocinato dalla Shell, che è apparso sia nella versione cartacea che in quella digitale.
 


Con il titolo Cities Energized: The Urban Transition, l’ inserto – otto pagine – utilizza una serie di dati per illustrare la crescita urbana e la correlazione fra urbanistica ed efficienza energetica, secondo quanto ha riferito un portavoce del giornale.

 

Nel caso della versione su carta, l’ inserto sfrutta anche le potenzialità della ‘’realtà aumentata’’, consentendo ai lettori, col sistema Blippar, di vedere sugli smartphone una serie di video correlati.
 
Mentre altri editori si sono lanciati nell’esperienza della pubblicità ‘’nativa’’ da alcuni anni – osserva Marketingdirecto.com, il Times lo ha fatto in una maniera molto cauta. Tra l’ altro la questione era stata sullo sfondo del licenziamento dell’ ex direttrice, Jill Abramson, che nel 2013 aveva espresso la sua preoccupazione nei confronti del native ad, sostenenedo che essa avrebbe potuto provocare fra i lettori una certa confusione sul tipo di contenuti che venivano loro proposti.
 
Il giornale non ha rivelato quanto la Schell ha pagato per questo inserto, ma secondo una recente stima di Capital New York il giornale avrebbe speso circa 200.000 dollari solo per la creazione dei contenuti dell’ inserto.

 

‘’I lettori sono intelligenti e dubito che qualche lettore del Times possa pensare che quella pubblicità della Shell sia un prodotto editoriale’’, commenta sul suo blog Mario Garcia, un noto consulente editoriale americano.
 
Shell, osserva Garcia, sembra essere un rompi-ghiaccio, un pioniere in questo tipo di annunci. Il Washington Post in ottobre aveva pubblicato un annuncio della compagnia petrolifera che, contrariamente al passato, non era stato disegnato come un pluriredazionale classico, ma come un contenuto editoriale, anche se il giornale aveva avvertito che si trattava di contenuti editoriali sponsorizzati.

 

 

“Ci sono ancora un sacco di malintesi o di convinzioni non chiare nel mondo editoriale’’ sulla pubblicità nativa, osserva Lauren Pedersen, responsabile del Global Marketing per Cxense, una compagnia di software, che recentemente ha compiuto un sondaggio fra 260 dirigenti editoriali sull’ atteggiamento dei media nei confronti del native ad.
 
Se sono evidenti i vantaggi economici per le testate, le preoccupazioni sui suoi effetti continuano ad essere rilevanti. L’ indagine infatti ha mostrato che il 45% degli editori credono che la pubblicità nativa offra “un grande valore per editori, inserzionisti e utenti”, mentre il 30% ha dichiarato che essa “sminuisce il giornalismo sfocando i confini tra pubblicità e contenuti editoriali”.

 

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