In crisi anche le riviste musicali, ma se molte si rifugiano sul web c’ è anche quella che dall’ online sbarca su carta
Per cercare di capire meglio la direzione verso la quale si sta muovendo l’ editoria musicale italiane, Lsdi ha chiesto ai direttori di alcune tra le principali (e sopravvissute) testate su carta cosa pensano dell’ attuale situazione, quali secondo loro le cause della crisi, come giudicano il moltiplicarsi di blog dedicati alla musica, qual è il rapporto attuale web–carta e quale potrebbe essere il futuro di quest’ultima.
Il panorama di un settore editoriale che, al pari di altri, non sembra godere di ottima salute.
Â
di Fabio Dalmasso
Â
Che l’editoria italiana (e non solo) sia in crisi, non è una novità : basta dare uno sguardo ai dati relativi alle vendite di quotidiani e periodici per accorgersi che le difficoltà economiche sembrano colpire tutte le tipologie di giornali. Un discorso a parte merita però il settore delle riviste specializzate, quei periodici, solitamente mensili, che si occupano cioè di un argomento specifico e hanno come target una fetta piuttosto precisa delimitata del mercato.
Su Lsdi abbiamo già analizzato le difficoltà che anche questi periodici stanno attraversando con due articoli: quello sui 500 numeri del Giornale dei Misteri  e un suo probabile ritorno in edicola, e quello sulla chiusura di Horror causata da un sistema di distribuzione assurdo.
Purtroppo anche un altro settore editoriale, quello musicale, ha dovuto recentemente registrare le sue “vittimeâ€: sia Jam che XL di Repubblica infatti non sono più in edicola e hanno salutato i proprio lettori “cartacei†alla fine del 2013. Entrambe le testate proseguono la loro vita su Internet, aggiornando sia il sito che le relative pagine Facebook, ma la fine delle edizioni da edicola ha lasciato comunque un vuoto e ha puntato l’ attenzione su un settore editoriale che, al pari di altri, non sembra godere di ottima salute.
Calo della pubblicitÃ
Un primo tentativo di fare luce sulla situazione è arrivato da Il Giornale della Musica di gennaio che ha pubblicato un lungo servizio dal titolo “La carta sopravvive†che parte da un presupposto: le riviste di musica sono in crisi e molte hanno scelto di chiudere le edizioni cartecee per concentrarsi unicamente sul web, dove i costi sono sicuramente minori. Esempi clamorosi sono, oltre alle due testate citate in precedenza, Il Giornale dello Spettacolo, organo dell’Agis, e M&D – Musica e dischi, punto di riferimento per l’industria discografica nazionale, che esce solo on-line già dal 2009. Una scelta, quella del web, che sembra spesso dettata più dal calo delle inserzioni pubblicitarie che dalla diminuzione del numero dei lettori: secondo i dati dell’Osservatorio Stampa Fcp relativi al periodo gennaio – novembre 2013 raffrontati allo stesso periodo del 2012, infatti, il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale ha fatto registrare registra un calo del -21,6% e, nello specifico, i mensili hanno percentuali negative sia a fatturato -24,7% che a spazio -25,0%.
 Dalla carta all’on-line…e viceversa
Un destino segnato dunque? Cosi sembrerebbe leggendo le dichiarazioni di Gaetano Santangelo, direttore di Amadeus, mensile dedicato alla musica classica: «Il futuro delle riviste di carta, salvo rare e sofisticate eccezioni, è segnato». O forse, come suggerisce Daniela Federico, direttore del Mucchio Selvaggio, le riviste musicali diventeranno come i vinili, «qualcosa di unico che non può morire». Stupisce positivamente, in questo scenario, l’iniziativa di The Pitchfork Review, testata musicale nata on-line che nel tempo si è assicurata una certa fama e autorevolezza e che a dicembre ha fatto il grande passo e, mentre la carta si trasferisce in massa sul web, ha dato alle stampe il suo primo numero cartaceo.
Per cercare di capire meglio la direzione verso la quale si stanno muovendo le riviste musicali italiane, Lsdi ha chiesto ai direttori di alcune tra le principali (e sopravvissute) testate su carta cosa pensano dell’attuale situazione, quali le cause della crisi, come giudicano il moltiplicarsi di blog musicali, il rapporto web–carta e quale potrebbe essere il futuro di quest’ultima.
Rolling Stone: tanti lettori, poca pubblicitÃ
Michele Lupi, direttore di Rolling Stone, fa subito notare come la chiusura di Jam e di XL sia, oltre che una triste notizia, anche «un segnale di restringimento del mercato, del fatto che quel campo specifico suscita sempre meno interesse».
Dopo aver definito la situazione critica, Lupi porta come esempio il paradosso nel quale si trova la sua rivista: «Se dal punto di vista delle diffusioni, dei lettori e dell’edicola siamo soddisfatti e continuiamo a vendere a prezzo pieno ogni mese tra le 22.0000 e le 35.000 copie, dal punto di vista della raccolta pubblicitaria la situazione è drammatica. La moda, perché di moda si tratta, delle aziende che hanno voluto spostare gli investimenti pubblicitari sul web si è rivelata scriteriata: senza pubblicità le riviste muoiono, senza il traino delle riviste cartacee i siti muoiono. Se noi di Rolling Stone abbiamo un problema, quello è nella pochezza del mercato pubblicitario, perché sulle vendite il giornale va bene, se devo giudicare in base ai numeri delle altre riviste che vedo in giro, non solo musicali».
Per quanto riguarda il proliferare dei blog che fanno informazione musicale e sulla loro qualità , per Lupi essi sono, da circa due anni, «visti e rivisti, pubblicano sempre la stessa roba» e sottolinea un fenomeno che ne sta causando la morte giornalistica. «Per stare in piedi sono costretti a fare molte più “marchette†di quello che facevano una volta le riviste: facendo così perdono in autenticità , in autorevolezza, in credibilità e muoiono. Sopravvivono i più piccoli, quelli minuscoli, ma proprio perché minuscoli hanno una voce quasi impercettibile».
Una posizione, quella di Lupi, che non esclude ovviamente la coesistenza di carta e web, anzi, secondo il direttore di Rolling Stone l’ una ha bisogno dell’altro: «Bisogna farli convivere puntando ovviamente sulle hard news per il web e sulle storie per la rivista cartacea. C’è da sottolineare però come ci siano segnali chiari di un certo ritorno alla carta stampata: negli USA stanno nascendo nuove riviste cartacee, alcuni siti digitali si rendono conto di aver bisogno di un supporto cartaceo. Comunque Internet e carta stampata sono due cose diverse: devono convivere».
Blow Up: sui blog non è critica
Anche Stefano I. Bianchi, direttore di Blow Up, punta il dito sul calo pubblicitario quale principale causa di una situazione sicuramente non facile: « La mia rivista ha sofferto poco, o almeno molto meno delle altre, l’ attuale contingenza. Il panorama complessivo non è comunque incoraggiante; e per “complessivo†intendo quello della carta stampata in generale, non solo quello delle specializzate musicali e/o culturali».
Sui blog che fanno “informazione†musicale, Bianchi è molto critico: «Fare informazione musicale è molto diverso da fare critica musicale; come per qualunque altro settore, riprendere notizie e tradurle per gli italiani è un esercizio molto semplice. I blog, in generale, sono il veicolo che fan e osservatori utilizzano per raccontare le proprie impressioni personali su un musicista o un disco, che è evidentemente molto diverso da fare critica».
Dopo aver sottolineato come la convivenza tra Internet e carta non debba necessariamente trasformarsi in concorrenza, Bianchi conclude dicendo che le riviste cartacee non scompariranno mai «o almeno non fino a quando Internet continuerà a essere regolato dalle leggi vigenti, o almeno non fino a quando non si sarà compiuto il ricambio plurigenerazionale che Internet ha iniziato a delineare negli ultimi dieci anni, il che significa non meno di una cinquantina d’anni.
L’improvvisazione e la‒libertà †(virgolette d’obbligo, e non ho detto “democraziaâ€) di Internet non possono garantire la professionalità e la libertà (senza virgolette) di cui godono le riviste cartacee che vengono finanziate dai loro lettori; e non è un paradosso: la libertà è garantita esclusivamente dal finanziamento di chi vuol leggere nei confronti di chi scrive».
Jazzit: «Soddisfatto dei nostri risultati»
 «La loro scomparsa segna la fine di due piccoli, grandi sogni dell’editoria musicale italiana»: Luciano Vanni è il direttore di Jazzit e commenta così la chiusura di Jam e di XL. La situazione della rivista che edita e dirige dal 1996 non sembra così negativa: «Si fa fatica, certo, ma devo dire che sono soddisfatto dei nostri risultati. La nostra forza risiede in una gestione artigianale, per certi a conduzione familiare, e la nostra fortuna è direttamente proporzionale alla nostra militanza. I nostri lettori, e la comunità di riferimento, quella jazz, ci sono vicini perché siamo sempre in prima linea per la diffusione e valorizzazione di questa musica».
La presenza, con appositi stand, ai principali festival e rassegne jazz in Italia rafforza l’immagine della rivista che punta molto anche su quella che Vanni definisce «una identità marcatamente militante: organizziamo corsi di formazione, un festival, il Jazzit Fest – Italian Jazz Expo, un vero e proprio meeting di settore, e da qualche mese abbiamo dato vita a numerosi Jazzit Club sparsi in tutta Italia. Con i Jazzit Club stiamo mettendo in scena una politica rivoluzionaria di sharing music economy: una programmazione senza contributi pubblici, con direzione artistica “open source†e con ridistribuzione dell’incasso al 50% tra struttura ospitante e musicisti».
Una grande vivacità e capacità di rinnovamento che Vanni ha messo nella rivista e che, però, manca spesso nel settore editoriale di riferimento: secondo il direttore, infatti, una delle cause dell’attuale crisi è il fatto di «non capire che sono cambiati i tempi. Ancora oggi si legge e si spende in promozione: ma lo si fa in maniera diversa. Molto spesso i miei colleghi non hanno reagito positivamente alle novità tecnologiche».
Positivo il giudizio dei blog e sulla loro qualità , anche se ammette, salomonicamente, «ci sono riviste fatte male e blog fatti bene e viceversa. Ma è ingiusto, a priori, considerare dilettantesca l’attività dei blogger». Il futuro delle riviste musicali su carta? Per Vanni «di certo, sarà un futuro evoluto. Probabilmente diventeranno monografiche, da collezione; e l’informazione più nuda e cruda diventerà necessariamente, e fortunatamente, liquida e digitale».
Rumore: i giornali hanno un futuro
Rossano Lo Mele, direttore di Rumore, ha commentato la chiusura di Jam e di XL scrivendo, nell’ editoriale di gennaio, che «i giornali che chiudono sono altrettante voci ufficiali in meno che possono far luce su scene artisti, dischi, movimenti, storie».
L’attuale situazione delle riviste musicali non è sicuramente fantastica, ammette Lo Mele, che però sottolinea come il settore, forse, risenta meno della perdita di lettori in quanto composto da appassionati che hanno comunque voglia di informarsi e che rappresenterebbero, inoltre, un ottimo target anche per la pubblicità , non solo musicale. Pubblicità che sembra però voltare le spalle ai giornali come Rumore, preferendo concentrarsi sui «grandi gruppi, sulle corazzate: preferiscono andare sul sicuro, ma non portano niente a casa. Chi legge Rumore è gente che può spendere, quindi sarebbe un ottimo target».
Sull’ offerta informativa proposta dalla rete Lo Mele dice che «la maggior parte dei siti e dei blog sono fatti piuttosto male, esattamente come esistono riviste fatte in modo pessimo». Sulle convivenza tra Internet e la carta, il direttore di Rumore fa notare come il futuro possa sicuramente assegnare un ruolo importante alla rete, ma non sul medio e breve termine: «I giornali hanno comunque un futuro: se fatti e letti bene sono l’unica vera nostra chance per recuperare storie e informazioni. Inoltre se si chiede agli interlocutori del settore musicale, come uffici stampa etc.., dove preferiscono uscire, la risposta è sempre quella: sulla carta. La carta ha comunque più valore per il momento».
Un valore destinato a soccombere? «Sul futuro non sono così pessimista – conclude Lo Mele – il funerale della carta va avanti da anni, ma il giornale mantiene comunque il suo status, tra 10 anni sarà diverso, ma non sono pessimista».