In fermento il mondo digitale in Spagna per la legge sulla ‘’Google tax’’

SpagnaI giornali spagnoli hanno imparato dall’ esperienza tedesca. In Germania, quando passò la legge che imponeva a Google di pagare gli editori delle testate usate come fonti di Google News, l’ azienda li aveva esclusi dall’ elenco imponendo a chi intendeva tornare ad essere citato e linkato di dichiarare esplicitamente la propria rinuncia al compenso. Tutte le testate aderirono alla richiesta. Google aveva vinto.

 

La proposta di legge spagnola – approvata la settimana scorsa in commissione Cultura della Camera e che a settembre verrà discussa in senato – dichiara invece che gli editori non possono rifiutare l’ uso da parte di terzi di ‘’frammenti non significativi dei loro articoli’’, ma stabilisce un tributo per compensare gli editori e lo definisce un ‘’diritto inalienabile’’ (derecho irrenunciable).

 

L’ introduzione di questo diritto inalienabile – spiega Julio Alonso* su Medium.com – è stata concepita per evitare quello che è accaduto in Germania.

 

Google – osserva Alonso – non può escludere i siti che chiedono un compenso e deve pagare tutti i siti utilizzati, anche quelli che non volessero essere pagati.

 

Cosa rilevante è il fatto che la legge non riguarderebbe solo Google, ma qualsiasi ‘’sistema di aggregazione elettronica delle notizie’’ e quindi, alla fine, chiunque cita qualcosa di più di un link. La disposizione colpirebbe in particolare il sito spagnolo di aggregazione giornalistica Menéame. Un software gratuito che è la versione spagnola di Digg / Reddit e che, lanciato nel 2005, è un servizio di ricerca delle notizie molto popolare in Spagna. E naturalmente, con lui, qualsiasi altro servizio che fa aggregazione di qualsiasi tipo o forma. Inclusi Flipboard, Zite, Tasca, ma anche Facebook o Twitter.

 

La legge – racconta Alonso – è stata approvata alla Camera in una sessione speciale in piena estate, dalla Commissione cultura e non in seduta plenaria, praticamente senza dibattito, con molti parlamentari che hanno dichiarato alla stampa, in qualche caso senza rendersene conto, che sapevano molto poco di quello che stavano votando.

 

Le reazioni sul web spagnolo

 

La Rete spagnola aveva già una storia di opposizione alla legislazione sulla proprietà intelettuale, in particolare contro la legge più famosa, la ‘’Ley Sinde’’ del 2009, che metteva nelle mani di un organo amministrativo la decisione di chiudere siti web, che precedentemente era affidata alla magistratura.
La legge vigente era già stata contestata nei suoi principi di fondo.  Essa tra l’ altro dà alla Commissione Sinde (cui spetta decidere sulla chiusura dei siti in caso di violazione delle norme sulla proprietà intelletuale) poteri più ampi, e coinvolge inserzionisti e sistemi di pagamento con la minaccia di multe fino a 300.000 euro se non collaborano.

 

Per opporsi a questa nuova proposta di legge è stata creata una organizzazione, chiamata Coalición Pro Internet. Che include ovviamente Google (che in Spagna fino ad ora aveva fatto solo lobbying e nessun attivismo pubblico) e Menéame, ma anche AEEPP, la maggiore associazione spagnola di editori di giornali, Adigital (l’ associazione delle aziende digitali) e alcuni editori solo digitali, come  Weblogs SL (l’ azienda di Alonso), eldiario.es, ADSLZone, Hipertextual e vari altri. Uno studio che la Coalizione ha commissionato stima in  1.1 miliardi di euro i danni che la legge provocherebbe all’ industria di inernet in Spagna. Facebook e Twitter, sebbene invitati, non hanno aderito alla Coalición.

 

La sezione spagnola dell’ IAB ha espresso la sua opposizione, così come hanno fatto varie altre associazioni, mentre la CNMC, l’ Autorità garante della concorrenza, ha pubblicato un rapporto molto critico verso la proposta di legge.

 

I partiti politici spagnoli non sono stati troppo ricettivi rispetto alle critiche avanzate. La legge è stata approvata in commissione cultura con 22 voti a favore del Partito popolare, contro 20 contrari, ma – continua Alonso -  la maggior parte di coloro che hanno votato contro lo hanno fatto perché volevano più severità per le violazioni del copyright.

 

Il probabile esito

 

Si dice che se la legge alla fine passasse, Google sarebbe pronta a chiudere la versione spagnola di Google News. Chiaramente non vorrebbe creare un precedente di un paese in cui verrebbe costretta a pagare, a causa di quel ‘’diritto inalienabile’’.
Servizi come Menéame stanno apertamente parlando di trasferirsi all’ estero. Tutti i protagonisti della comunità di Internet spagnola sono sconvolti del modo con cui il governo continua a rendere sempre meno attraente per le aziende internet perare in quel paese.

 

Alla fine – conclude Alonso -, gli editori dei giornali non vedranno un centesimo. Chi i soldi ce li ha, come Google, preferirà chiudere il servizio spagnolo. Quelli che non ne hanno, come Menéame, dovranno lasciare il paese o chiudere. Insomma alla fine tutta l’ operazione porterà a una riduzione della presenza e della visibilità dei nuovi media. Ma forse era proprio quello che volevano dopo tutto.

 

*Fondatore e Ceo di Weblogs SL, una testata spagnola digitale ‘’nativa’’ che ha aderito alla Coalición Pro Internet e ad  Adigital.